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giovedì, Novembre 14, 2024

Perché le riduzioni di metano potrebbero non bastare per contrastare la crisi climatica

Nuove ricerche rivelano che le emissioni di metano da fonti naturali, come le zone umide tropicali e il permafrost artico, stanno aumentando e potrebbero minare gli sforzi globali. Nonostante l'impegno di ridurre il metano del 30% entro il 2030, la mitigazione appare lontana

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Redazione EconomiaCircolare.com

Le promesse globali di ridurre le emissioni di metano del 30% entro il 2030 potrebbero non essere sufficienti per rallentare il riscaldamento globale come previsto. Nuove ricerche rivelano che le emissioni di metano da fonti naturali stanno aumentando, complicando gli sforzi per limitare il riscaldamento. Le zone umide tropicali, già note per la loro produzione di metano, e il permafrost artico stanno contribuendo in modo inatteso all’accumulo di questo potente gas serra.

Recenti studi, pubblicati su Frontiers in Science e Nature Communications, hanno scoperto che le zone umide tropicali stanno emettendo più metano a causa dell’aumento delle precipitazioni e della crescita vegetativa accelerata. Questo fenomeno, un effetto collaterale del riscaldamento globale, fornisce ulteriore materiale organico che viene decomposto, liberando metano nell’atmosfera. Inoltre in Artico le emissioni di metano invernali sono risultate molto più elevate del previsto, probabilmente a causa dello scioglimento del permafrost.

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A livello globale l’aumento del vapore acqueo, causato dal riscaldamento, sta rallentando la velocità con cui il metano viene distrutto dai radicali idrossilici, le molecole che normalmente “pulirebbero” l’atmosfera da questo gas. Questo rallentamento nella degradazione del metano potrebbe annullare gli sforzi per ridurre le emissioni da fonti antropiche, come i combustibili fossili e l’agricoltura.

Leggi anche: Così l’Ue vuole diminuire le dispersioni di metano. Legambiente: “In Italia dati preoccupanti”

Più metano più crisi climatica, e viceversa

L’estate 2024 che stiamo per lasciarci alle spalle è stata l’estate più calda di sempre ma, come ripetiamo da un po’ di tempo, rischia di essere la più fresca dei prossimi anni. E tra i responsabili maggiori va individuato proprio il metano, formula chimica CH4. Dal periodo preindustriale la concentrazione di metano è aumentata drammaticamente, passando da circa 0,7 parti per milione (ppm) a circa 1,9 ppm nel 2023. Questo incremento ha contribuito al 20-30% del riscaldamento globale. Attualmente il 60% delle emissioni di metano proviene dall’uso di combustibili fossili, dall’agricoltura e dalle discariche, mentre il resto proviene dalle zone umide e dal permafrost.

Ridurre rapidamente le emissioni di metano è essenziale per limitare il riscaldamento futuro, come ha affermato un noto studio Onu del 2021 che però, da allora, è rimasto il solito libro delle buone intenzioni. Tutte le stime attuali indicano che le emissioni da operazioni di petrolio e gas sono significativamente più alte di quanto riportato dalle autorità, e le riduzioni nel settore agricolo rimangono difficili da implementare nel breve termine (come hanno insegnato le proteste europee prima delle elezioni di giugno).

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Figure esperte come Drew Shindell della Duke University e Euan Nisbet dell’Università di Cambridge avvertono che se non si riducono drasticamente le emissioni di metano gli sforzi globali per contenere il riscaldamento globale potrebbero essere vanificati. La persistente alta concentrazione di metano, aggravata da feedback climatici imprevisti, rende urgente una revisione delle strategie globali per il clima.

In sintesi, mentre l’impegno globale del 2021 per ridurre le emissioni di metano è cruciale, le nuove evidenze mostrano che è necessario un intervento più deciso per affrontare l’impatto crescente di questo gas serra e limitare il riscaldamento globale.

Leggi anche: “Ridurre le emissioni di metano è una tripla vittoria: per l’ambiente, le persone e l’economia”

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