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venerdì, Novembre 29, 2024

Ridurre la produzione, argomento tabù nel Piano per la Transizione Ecologica

All'esame della Commissione Ambiente c'è il documento di 161 pagine con il quale il governo Draghi intende definire la propria idea di transizione ecologica, per applicare i fondi del Pnrr. Le associazioni ambientaliste e le organizzazioni di settore si dividono tra apprezzamenti e critiche

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Redazione EconomiaCircolare.com

“Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è mancata la partecipazione dei territori e della società civile”. La constatazione di Rossella Muroni, vicepresidente della Commissione Ambiente alla Camera, spiega il motivo per cui da due giorni in Parlamento si susseguono le audizioni in merito al Piano di Transizione Ecologica (d’ora in poi PTE), il documento di 161 pagine redatto dal ministero retto da Roberto Cingolani in cui vengono delineati 5 macro-obiettivi, con la priorità della neutralità climatica al 2050.

Si tratta, in pratica, delle linee programmatiche che aiutano a capire l’idea di transizione ecologica che il governo Draghi ha in mente – e sulla quale finora non sono state poche le ambiguità e le critiche. Dopo l’approvazione e le integrazioni della Commissione, il Piano tornerà al ministero per l’approvazione finale.

A essere ascoltate sono state le organizzazioni ambientaliste e di settore. Pur nella diversità di vedute, è possibile rintracciare alcuni punti in comune, soprattutto sul versante delle critiche:

  • assenza di coinvolgimento – persino l’Ispra ha lamentato di non essere stata coinvolta nella redazione del PTE –
  • obiettivi poco ambiziosi, mancata definizione delle competenze necessarie per attuare la transizione ecologica e digitale. È noto, infatti, che la pubblica amministrazione non dispone del personale adatto.
  • assenza della riduzione – dei rifiuti, certamente, ma che deve estendersi più in generale ai consumi e a un rinnovato modo di stare al mondo. Il Pianeta non ci sopporta più, letteralmente, e serve delineare un cambio di paradigma.

A dire il vero, poi, anche negli interventi rivolti alla Commissione sono stati pochi i riferimenti relativi all’economia circolare.

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“Questo non è un Piano di Transizione Ecologica”

Viene in mente il famoso dipinto surrealista di René Magritte, Ceci n’est pas une pipe, di fronte alla critica che il Wwf rivolge al PTE delineato dal ministero. “Ma questo è un Piano? – chiede retoricamente la nota associazione ambientalista – Nell’audizione del ministro Cingolani del 14 ottobre abbiamo avuto la conferma che questo non è un Piano. Il ministro ha detto che si tratta di uno strumento di comunicazione, la traduzione in termini divulgativi di quel che c’è nel Pnrr. Sull’economia circolare abbiamo ancora un rapporto di 1 a 3 tra materie e rifiuti e si destina a questo scopo soltanto l’1%, così come all’agricoltura – soldi tra l’altro divisi soltanto tra macchinari e impianti. Servirebbe inserire dei limiti ben precisi e da lì poi dovrebbe discendere un Piano realmente fattivo e preciso”.

Poco soddisfatti del Piano anche i giovani attivisti dei Fridays for Future. “La politica non sta facendo abbastanza per contrastare il collasso climatico – hanno detto – Nel merito del Piano, per quanto concerne l’energia si cita la sostituzione delle fonti fossili con fonti rinnovabili e pulite, ma poi si lascia intendere un ruolo ancora preponderante del gas naturale. Investire sul gas e decarbonizzare allo stesso tempo è impossibile. Non può esistere la crescita infinita in un mondo finito. Per questo dobbiamo ridurre i consumi, ridurre le disuguaglianze e puntare sull’efficientamento energetico. Serve poi che l’Italia si doti di governance multilivello: è sbagliato che a occuparsi della transizione sia soltanto il comitato interministeriale ma serve il coinvolgimento degli enti locali e delle comunità. Non basta poi piantare tanti alberi se poi questi bruciano. Serve avere meno auto, prima ancora che queste siano elettriche, e non solo sostituire le auto fossili”.

Sulla necessità di introdurre una riduzione della produzione è concorde anche Greenpeace: “Nel Piano si parla di economia circolare ma non si parla di lotta alla plastica monouso né tantomeno di riduzione della produzione. Si parla ad esempio di mobilità sostenibile senza indicare la riduzione dei veicoli circolanti. Inoltre questo Paese intende investire, attraverso soldi pubblici, in tecnologie che peggioreranno le emissioni, come ad esempio l’idrogeno blu. Nel Piano una pagina è pure dedicata alla bufala della fusione nucleare, e non viene inserito che se ne parla come minimo nel 2060. La transizione così intesa è una finzione”.

Per Isde, l’associazione dei medici, il PTE manca di obiettivi ambiziosi e di integrazione: “C’è una netta discrasia tra gli obiettivi della proposta di Piano e le conoscenze scientifiche. È vero che le azioni sono sparse tra vari Piani, come il Pniec o il PiTESAI, ma allora invitiamo a unirle in un unico documento che può essere questo. Ciò che ci preoccupa è che le azioni minime che sono previste sono aderenti al Pnrr, e perciò ci chiediamo cosa succederà quando questi fondi finiranno. Pensiamo per esempio al consumo di suolo: ci saremmo aspettati che venisse bloccato ogni tentativo di ulteriore insediamento, e invece si trova un leggero divieto, a 1 chilometro dalla costa, per le zone balneari. Oppure: il PTE prevede 570 chilometri di piste ciclabili urbane, mentre la sola Parigi ne prevede 520 km in 3 anni. Ai ritmi della capitale francese, l’Italia dovrebbe dotarsi di 60mila chilometri di piste ciclabili”.

La mancata comunicazione tra i vari strumenti attuativi è al centro dell’audizione di Legambiente: “Il Piano non va oltre il Pnrr e mal si collega ad altri strumenti. Chiediamo che la neutralità climatica vada anticipata al 2040, mentre non c’è nessun riferimento all’uscita dalle fonti fossili. Per combattere la povertà energetica chiediamo che oltre all’efficienza energetica vengano inserite anche le comunità energetiche. L’agricoltura biologica deve poi avere un ruolo primario e non solo essere indicata tra gli strumenti per raggiungere la sostenibilità. Sugli allevamenti si fa soltanto un riferimento alla riduzione ma a nostro avviso bisognerebbe spiegare come, partendo ad esempio da un luogo cruciale come la Pianura Padana”.

Sul Piano si registra poi una diversità di vedute tra i due enti pubblici che sono stati auditi: se Enea è sembrata più affine alla linea del ministero, Ispra invece si è schierata dalla parte delle critiche. A partire, come già accennato in precedenza, dal mancato coinvolgimento nelle attività preparatorie di redazione del documento: “Le nostre osservazioni dipendono dalla lettura ex post. Auspichiamo perciò che nelle fasi successive il nostro istituto venga pienamente coinvolto, soprattutto nelle fasi di monitoraggio del PTE. Anche il nostro istituto partecipa a Glasgow alla Cop26, quindi pensiamo di poter dare un buon contributo sulla decarbonizzazione, così come sugli indicatori ambientali. I dati che riguardano i cambiamenti climatici vanno aggiornati, mentre sul tema dell’economia circolare, ricordando che in atto c’è la strategia nazionale, questioni come le materie prime critiche, il conferimento in discarica dell’organico e l’utilizzo della plastica vanno affrontate meglio”.

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Gli elementi positivi del Piano

Non ci sono state solo critiche al Piano. Tra le associazioni ambientaliste il Kyoto Club è quella che è sembrata avere un atteggiamento più costruttivo, e ha concentrato il proprio intervento su un singolo aspetto, spiegando che la priorità è “puntare sulla transizione digitale per essere davvero sostenibili. Gli esempi in questo senso sono tanti, e possono servire a diffondere le buone pratiche che vengono poi interiorizzate dalle persone. Per questo pensiamo che la trasformazione digitale debba permeare non solo tutto il PTE ma anche le varie applicazioni del Pnrr”.

Anche Enea, come dicevamo in precedenza, si è concentrata più su ciò che sarà necessario valorizzare: “Al PTE Enea può fornire un utile contributo per un ecosistema dell’innovazione. Apprezziamo il ruolo dato nel Piano alle tecnologie sostenibili, per accompagnare la crescita economica alla sostenibilità ambientale, con attenzione all’equità. È importante focalizzare l’attenzione sull’economia circolare, che è trasversale a quasi tutti i temi legati alla sostenibilità, oltre a essere un importante modo per assicurare materie prime e materie prime seconde. Nell’ottica della chiusura dei cicli bisogna poi valorizzare i distretti circolari, immaginando il rafforzamento dell’ecoprogettazione. Serve perciò destinare risorse importanti alla ricerca pubblica”.

Soddisfatta del Piano, e più in generale della direzione impressa dal ministro Cingolani, si è dichiarata l’Ance, l’associazione nazionale costruttori edili: “Il ministero si presenta con una visione strategica nuova rispetto ai predecessori, e questo lo abbiamo apprezzato, così come la formula aperta del documento che è suscettibile di cambiamenti e modifiche. Tuttavia per dare attuazione a quel che è previsto serviranno strumenti di semplificazione, perché ci sono ancora ostacoli nelle procedure e rallentamenti burocratici, sia in materia fiscale che sul tema ambientale. Noi sappiamo bene che il 40% totale delle emissioni prodotte nel nostro Paese è legato al settore delle costruzioni e l’11% è legato ai materiali da costruzione. Il Piano nazionale fissa il consumo di suolo netto al 2030: noi riteniamo che una legge nazionale che ribadisca i principi della rigenerazione e del riuso sia necessaria, per definire il futuro dell’edilizia. Dal nostro punto di vista il passaggio dall’economia lineare a quella circolare necessita un intervento legislativo per il settore, e quindi sollecitiamo nuovamente il decreto end of waste e le norme per il riutilizzo dei materiali di scarto”.

L’intervento più “tecnico” è stato poi quello di Utilitalia, l’associazione delle imprese idriche, energetiche e ambientali: “a noi il Piano è piaciuto perché unisce un quadro concettuale e alcuni strumenti. Noi puntiamo molto sul biometano, soprattutto da Forsu. Nel PTE ci si limita al tasso di circolarità del materiale ma sarebbe meglio misurare e tracciare l’effettivo riciclo e riutilizzo. Il Piano parla poi di responsabilità estesa del produttore ma si limita a parlarne come strumento gestionale e non anche finanziario. Si dovrà poi valutare l’apporto dell’idrogeno alla decarbonizzazone e del gas in una fase di transizione. Rifiuti zero è un obiettivo a cui tendere ma certamente non in tempi brevi, vista la carenza di impianti, specie al CentroSud”.

L’ultima audizione è stata infine riservata all’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (Asvis): “Accogliamo con grande favore l’iniziativa del Piano e allo stesso tempo auspichiamo che questo sia efficacemente integrato nel quadro di sistema, con la predisposizione di una legge annuale sullo sviluppo sostenibile, assumendo gli impegni internazionali su clima e biodiversità. Chiediamo poi che vengano individuati gli strumenti attuativi del PTE, oltre a una quantificazione del personale necessario alla pubblica amministrazione. E vale la pena ribadire che se il PTE servirà a delineare la cornice noi restiamo in attesa dei piani settoriali, dal PNIEC al Piano per la biodiversità. Pensiamo inoltre che il governo dovrebbe dotarsi di un Piano nazionale delle competenze. In un recente documento della Commissione europea, si legge che per la transizione ecologica e digitale servono 650 miliardi di euro da qui al 2030. E allora il Pnrr diventa una sorta di aperitivo di quello che dovremo mettere in tavola, servirebbe un NextGenerationEu ogni anno. Anche se i soldi sono una parte del problema, è tutto un sistema che deve lavorare insieme e va costruito”.

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