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domenica, Gennaio 5, 2025

Plastic tax solo in Spagna e Regno Unito, ma tutti paghiamo Bruxelles per la plastica non riciclata

La Spagna ha introdotto una plastic tax simile a quella italiana, rinviata dal governo. Nel Regno Unito, dopo l’entrata in vigore della tassa, arrivano i primi dati, tra luci e ombre. C’è poi la tassa europea che pagano già tutti gli Stati membri. Risparmiare, però, è semplice: riciclare di più

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

Dal primo gennaio 2023 la Spagna è la nazione pioniera nell’Unione Europea della plastic tax, la tassa sugli imballaggi in plastica non riutilizzabili. Si tratta di una tassa simile a quella italiana introdotta dal governo Conte II e mai entrata in vigore, passando di sospensione in sospensione fino al probabile affossamento, vista la contrarietà dell’attuale governo di centrodestra. Una tassa sulla plastica è presente da alcuni mesi anche nel Regno Unito, mentre dal 2020 è stata istituita una “plastic tax” europea, da non confondere con le “varianti” nazionali.

“La plastic tax europea è infatti un contributo che gli Stati membri versano al bilancio dell’Unione europea, calcolato in base alla quantità di rifiuti di imballaggio non riciclati”, spiega Enzo Favoino, di Zero Waste Europe. Il prelevo è di 80 centesimi per ogni chilogrammo di plastica. Nel 2021, ad esempio, l’Italia ha versato al bilancio dell’Ue circa 744 milioni di euro. Uno stimolo, nei piani di Bruxelles, per incoraggiare il riciclo negli Stati membri: più aumenta la quota di plastica riciclata, minore è, infatti, il contributo da versare.

La plastic tax spagnola e italiana sono perciò tasse aggiuntive rispetto al prelievo di Bruxelles, ma al tempo stesso ne ridurrebbero l’impatto perché favoriscono il riciclo e scoraggiano l’acquisto di plastica monouso, diminuendo l’imponibile, cioè la quantità di plastica in circolazione. C’è da aspettarsi quindi che in tutta Europa guarderanno con interesse l’evolversi del caso spagnolo, mentre cominciano ad arrivare i dati dall’esperimento Oltremanica. Del resto il tema della plastica monouso non è certo un problema esclusivo della Penisola Iberica o del Regno Unito.

La plastic tax spagnola e il Regio decreto sugli imballaggi

Più nel dettaglio la plastic tax spagnola è una tassa di 45 centesimi per chilogrammo di imballaggi in plastica prodotti, importati o acquistati all’interno dell’Ue e non riciclati. La nuova tassa ha un impatto sulla maggior parte delle attività industriali e di prodotti di consumo: copre sia i materiali di imballaggio, i cosiddetti vuoti, sia i prodotti confezionati. Include quindi contenitori di plastica non riutilizzabili, semilavorati in plastica (ad esempio i fogli termoplastici) destinati alla produzione di contenitori in plastica non riutilizzabili e prodotti in plastica con lo scopo di facilitare la chiusura, la commercializzazione o la presentazione dei contenitori non riutilizzabili.

I prodotti contenenti più materiali saranno tassati solo in base al peso effettivo della plastica non riciclata. La plastica riciclata non è naturalmente tassabile. Sono previste, infine, esenzioni per medicinali, prodotti sanitari, pasti per usi medici speciali, rifiuti sanitari pericolosi. Per il mancato pagamento della tassa sono previste sanzioni dal 50% al 150% dell’importo non pagato. Lo Stato punta a raccogliere dalla tassa nel primo anno di applicazione circa 456 milioni di euro.

L’obiettivo della plastic tax non è punitivo

“L’obiettivo principale della tassa – spiega Carlos Arribas dell’associazione Ecologistas en accion – non è l’extra-gettito, ma ridurre del 20% le plastiche monouso rispetto ai livelli attuali entro il 2030 e incoraggiare l’utilizzo di imballaggi realizzati con plastica riutilizzabile o che contengano plastica riciclata nella loro composizione”. Oltre a questa misura fiscale, la Spagna ha appena completato l’adeguamento della normativa ai requisiti richiesti dall’Ue, con l’approvazione il 28 dicembre 2022 del Regio decreto sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio.

Questo standard obbliga l’industria a ridurre le bottiglie di plastica monouso e promuovere la vendita di alimenti sfusi o con imballaggi riutilizzabili. Soprattutto, interviene sulla responsabilità estesa del produttore: saranno i produttori a farsi carico del costo totale della gestione dei rifiuti di imballaggio. Una norma simile entrerà in vigore nel futuro prossimo anche in Germania. In Italia non è ancora un tema in agenda, sebbene sia la stessa Direttiva Sup a richiedere un intervento normativo.

Leggi anche: La proposta tedesca sulla plastica monouso: “I produttori paghino i costi del littering”

L’entrata in vigore travagliata e le contestazioni

Fino all’ultimo momento le associazioni ambientaliste hanno temuto un forte annacquamento della norma, rispetto a come era stata prevista dalla Legge sui Rifiuti approvata in Spagna nell’aprile del 2022. La tassa, infatti, ha messo sul piede di guerra il settore delle imprese della grande distribuzione e dei produttori di bevande. Gli imprenditori sono molto critici nei confronti della norma, che considerano un balzello, e fino all’ultimo hanno fatto pressioni per convincere il governo a rimandare l’entrata in vigore come successo in Italia.

La Federazione spagnola delle industrie alimentari e delle bevande (FIAB), stima che l’insieme delle normative sulla plastica, in totale, costeranno alle imprese 6 miliardi di euro per adeguarsi e ritiene possa minacciare la sopravvivenza di 2.400 aziende e oltre 25.000 posti di lavoro, mentre la sola plastic tax avrà un impatto di circa 690 milioni di euro per le imprese.

Numerosi esperti di diritto tributario, intervistati dai quotidiani spagnoli, hanno sottolineato tutta una serie di obblighi gestionali in materia fiscale contenuti nel testo della legge che aggraveranno notevolmente gli oneri amministrativi per le imprese. Ci sono, poi, dubbi sull’applicazione pratica, come per la norma che fa riferimento all’obbligo delle aziende di ottenere dai loro fornitori esteri informazioni sulla natura della plastica nei loro contenitori, imballaggi e peso. Secondo l’associazione spagnola dei consulenti fiscali è quasi impossibile adempiere a tutti questi obblighi.

Le critiche alla plastic tax sono in gran parte infondate

Che la tassa possa aumentare i costi di gestione e influenzare in maniera negativa la competitività e gli investimenti delle imprese, in particolare piccole e medie, oltre a rendere meno attrattiva la Spagna agli occhi delle multinazionali, non può essere escluso. Soprattutto in un periodo di forte inflazione come quello attuale, tassi di interesse in crescita e alti prezzi dell’energia. Il vero timore, però, è che i costi ricadranno, alla fine, sulle famiglie.

Conclusioni, tuttavia, rimandate al mittente dalle associazioni ambientaliste. È altamente plausibile, infatti, che saranno le stesse aziende a chiedere ai fornitori di non utilizzare imballaggi in plastica non riutilizzabili per risparmiare piuttosto che “scaricare” l’aumento dei costi sul consumatore finale. “Il trasferimento della tassa sui cittadini – sostiene Arribas – non sarà automatico: i produttori che utilizzano meno plastica monouso saranno in grado di offrire prezzi più competitivi per i loro prodotti e ne beneficeranno a livello di concorrenza”, nota.

Mentre per quanto riguarda gli oneri per i cittadini, Arribas fa notare che la Spagna nel 2022 ha pagato a Bruxelles 500 milioni di euro per le 800.000 tonnellate di plastica non riciclata. Ridurre la quantità di plastica che finisce in discarica o negli inceneritori e aumentare il tasso di riciclo ridurrà gli importi versati per la tassa europea e, dunque, la spesa pubblica, e l’impatto della plastic tax nazionale sarà quindi in parte livellato. Ecco perché le critiche mosse alla misura non hanno convinto nemmeno il governo. “La lobby della plastica e della distribuzione ha fallito nella sua intensa campagna per ritardarne l’attuazione”, conclude Ana Dewar, di Zero Waste Europe.

Leggi anche: Quelli che… stop al monouso! L’impegno di Spagna, Paesi Bassi e Austria

Cosa insegna il caso del Regno Unito

Se per la Spagna si parla soltanto di stime e previsioni, dati più concreti arrivano dal Regno Unito, dove la plastic tax è stata introdotta nell’aprile del 2022. La nuova tassa, a differenza della versione spagnola, è sugli imballaggi di plastica prodotti o importati con una componente di plastica riciclata inferiore al 30%. L’aliquota dell’imposta è di 200 sterline per tonnellata metrica di imballaggi in plastica. Sei mesi dopo l’entrata in vigore, i primi dati delineano un quadro con luci e ombre.

La plastic tax ha generato un gettito di oltre 135 milioni di sterline: la stima è quindi di raccogliere intorno ai 270 milioni di sterline in un anno. Le tonnellate di imballaggi in plastica tassati sono state 679.143, mentre quelle esentate sono state 1.162.776 tonnellate: quindi circa il 63% conteneva almeno il 30% di plastica riciclata. Cinque anni fa il Regno Unito riciclava il 34% della plastica (330.000 tonnellate), nel 2021 la percentuale è arrivata al 54% (590.000) tonnellate.

La tassa non è stata tuttavia esente da critiche. I produttori contestano, come in Spagna, gli oneri aggiuntivi per le aziende. La stima del governo è che la tassa costerà in un anno alle imprese circa 235 milioni di sterline, ma le aziende ritengono sia una previsione al ribasso. Gli ambientalisti, invece, sono preoccupati per i possibili effetti indesiderati del tetto del 30% per il contenuti di plastica riciclata: alla lunga potrebbe, infatti, scoraggiare ulteriori miglioramenti.

Senza dubbio per evitare di pagare la tassa la domanda di plastica riciclata da parte dei produttori di imballaggi è aumentata. È emerso, tuttavia, un problema: c’è difficoltà nel reperirne una quantità sufficiente. A risentirne sono soprattutto le piccole e medie imprese, dotate di minori leve finanziarie: a causa dell’offerta insufficiente il costo della plastica riciclata è schizzato così in alto che in tanti preferiscono pagare la tassa, mentre le grandi aziende riescono ad accaparrarsi facilmente tutta la produzione. Questo effetto indesiderato può evidentemente limitare in maniera notevole l’efficacia della misura.

Leggi anche: Arriva la plastic tax, la legge voluta dall’Ue e che l’Italia continua a rinviare

Le catene di supermercati cercano scappatoie (a danno dell’ambiente)

Per questo associazioni ambientaliste e produttori hanno chiesto al governo di utilizzare l’extra gettito della tassa per migliorare i sistemi di riciclo della plastica sul territorio nazionale e aumentare la produzione, in modo da venire incontro alla maggiore domanda. In base ad alcuni calcoli, se tutti i produttori di bottiglie di plastica usassero il 30% di plastica riciclata, per averne a sufficienza l’intera Europa dovrebbe aumentare di tre volte il tasso di riciclo.

Le catene dei supermercati stanno incontrando gli stessi problemi di penuria di plastica riciclata. Tesco è rimasta coinvolta in una polemica per aver sfruttato una scappatoia per raggiungere il target del 30% utilizzando plastica ottenuta con il riciclo chimico. Una scelta contestata da associazioni come Plastic Planet e parlamentari del Labour Party e dei Verdi perché si tratta di un processo ad alta intensità di carbonio e quindi annullerebbe i benefici ambientali. Il riciclo chimico secondo i critici rilascia nell’ambiente il 50% del carbonio contenuto nella plastica sotto forma di gas serra, per ottenere una plastica riciclata di qualità molto bassa.

Peraltro il Dipartimento per l’ambiente del Regno Unito classifica il riciclo chimico sotto la voce “incenerimento”, ma nella plastic tax britannica c’era un vuoto normativo su questo tema. Il governo ha cominciato a tassare anche il contenuto in plastica riciclato con la pirolisi, ma la questione resta spinosa perché i produttori e le aziende della grande distribuzione sostengono di aver solo seguito le indicazioni del governo investendo per cercare “metodi alternativi” nella produzione di imballaggi e, in effetti, questo non gli può essere contestato.

Insomma, la plastic tax nel Regno Unito funziona, ma non quanto era stato previsto sulla carta e ci sono stati degli effetti indesiderati. La Spagna è avvertita, sebbene le due misure siano concepite in maniera differente. Per quanto riguarda l’Italia, invece, tutto rimandato di almeno un anno. Mentre sul deposito su cauzione fatta la legge, manca ancora il decreto attuativo.

Leggi anche: Anche il governo Meloni rinvia di un anno la plastic tax e la sugar tax

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