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domenica, Gennaio 5, 2025

Esperti Ue, una tassonomia “a semaforo” per correggere gli errori su gas e nucleare

Tassonomia a tre colori e maggiore integrazione dei criteri green con quelli sociali. Come la piattaforma per la finanza sostenibile tenta di migliorare la tassonomia: ma intanto la guerra in Ucraina aumenta le pressioni sul mercato Esg

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

Nel tentativo di “mitigare” i danni causati dalla decisione dell’Unione europea di includere il gas e il nucleare tra le fonti di energia verde della tassonomia, la piattaforma per la finanza sostenibile, il gruppo di esperti istituito dalla stessa Commissione Ue per fornire indicazioni nella realizzazione della tassonomia, ha presentato un nuovo documento, in cui da un lato tenta di migliorare i criteri di classificazione e dall’altro punta a una maggiore integrazione delle tematiche green con quelle sociali.

Siamo a livello di proposta, e si è visto quanto la Commissione sia stata sorda su gas e atomo nonostante il parere contrario della piattaforma. Gli esperti Ue adesso, nella corposa relazione presentata alcuni giorni fa, sostengono che per aiutare gli operatori di mercato a investire su attività davvero sostenibili sia necessario adottare una classificazione a tre colori: rosso, arancione e verde. La tassonomia “a semaforo” sostituirebbe l’attuale tassonomia “verde”.

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Una tassonomia estesa “oltre il verde”

Il criterio alla base della tassonomia è l’individuazione delle attività economiche che realizzano un “contributo sostanziale” al raggiungimento di almeno uno dei sei obiettivi ambientali individuati dall’Unione Europea (dalla mitigazione dei cambiamenti climatici alla riduzione dell’inquinamento fino alla difesa della biodiversità e delle acque) e “non danneggiano significativamente” gli altri cinque. Sono le attività verdi: completamente sostenibili.

Poiché gli obiettivi del Green Deal sono ambiziosi, il criterio del “contributo sostanziale”, tuttavia, è difficile da soddisfare per molte attività, che pur non “danneggiando significativamente” hanno “un basso o assente impatto sull’ambiente” (LEnvI: Low environmental impact). Sebbene ad esse non sia possibile associare un colore, se restassero escluse dalla tassonomia, ciò potrebbe essere interpretato come un segnale negativo dagli investitori: si tratta di un problema che riguarda un 30 per cento delle attività e che va risolto.

Il colore rosso è invece assegnato alle attività inquinanti che richiedono il loro immediato abbandono o interventi per eliminare gli impatti negativi. Nel mezzo, la categoria arancione (o ambra) per le attività di transizione, permettendone da un lato l’inclusione nella tassonomia e, dall’altro, offrendo una soluzione alla controversia sulla patente verde a gas e nucleare.

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Contro il “transition wash”

Con la tassonomia estesa, nessuna delle due fonti di energia (nucleare e gas) sarebbe più dichiarata green, ma avrebbe comunque un ruolo, sebbene provvisorio, nella transizione ecologica. L’obiettivo è non scoraggiare gli investimenti dei privati. Infatti, è innegabile che per raggiungere gli obiettivi del Green Deal serviranno attività e fonti energetiche di transizione e non tutte le nazioni sono allo stesso punto di partenza o hanno le medesime potenzialità.

“Il modo peggiore – notano tuttavia gli esperti – sarebbe definire in maniera indiscriminata come ‘green’ qualsiasi attività di transizione”, senza descrivere accuratamente il suo contributo sostanziale agli obiettivi ambientali. Una sorta di ‘transition wash’, come lo ha definito il capo della piattaforma per la finanza sostenibile Nathan Fabian. Eppure è proprio quello che è stato fatto finora per giustificare l’inclusione in tassonomia del gas e dell’energia nucleare.

Distorsioni nei criteri Esg e pressioni legate alla guerra in Ucraina

Una decisione contrastatissima, che secondo Eric Pedersen, del fondo di investimenti Esg Nordea Investment, intervistato da Bloomberg, “ha aperto la strada a nuove distorsioni dei criteri Esg”. E una volta spianata la strada, è il timore nel settore degli investimenti “sociali e responsabili”, l’impensabile potrebbe diventare realtà.

Si è visto con la crescente pressione nata dopo l’invasione russa dell’Ucraina per includere le azioni dei produttori di armi fra gli attivi considerati rispettosi dei criteri Esg: “Se due anni fa avessimo parlato di una idea simile ci avrebbero riso in faccia”, il commento a Bloomberg del capo investimenti della Tam asset management di Londra, James Penny.

Permetterlo, spiegano i gestori di fondi ed esperti del settore, renderebbe, infatti, privi di senso i criteri stabiliti dall’Ue. “Molti fondi Esg escludono gli investimenti in armi tout court. Non ritengo comunque che siano da considerare Esg i fondi che hanno esposizioni alle armi non convenzionali”, chiude la porta Francesco Bicciato, segretario generale del Forum per la finanza sostenibile.

Leggi anche: Perché la lobby delle armi preme per entrare nella tassonomia sociale dell’Unione europea

Crisi energetica e investimenti nelle rinnovabili

Insomma, le lobby delle armi ci hanno provato, ma difficilmente la spunteranno. E lo stesso, probabilmente, vale per quelle dei combustibili fossili. Il dubbio principale, in seguito all’aumento del prezzo delle materie prime e la crisi energetica nel post pandemia e con lo scoppio della guerra in Ucraina, è se gli investimenti Esg diminuiranno a favore degli investimenti nelle fonti fossili, tornati più remunerativi.

Sebbene sia questo il messaggio che puntano a far passare le lobby, per Andrea Baranes, vicepresidente di Banca Etica, innanzitutto “non è corretto definire meno remunerativi gli investimenti Esg: lo sono solo nell’ottica di breve periodo degli speculatori e di quei cittadini per cui la finanza è solo un gioco di scommesse da fare con lo smartphone. La finanza sostenibile – sottolinea Baranes – è l’opposto: investo perché credo che quell’impresa possa produrre valore nella società nel tempo”.

E se nel breve periodo, ammette Bicciato, “è possibile che si osservi una contrazione degli investimenti nelle energie rinnovabili, nel medio-lungo periodo la decarbonizzazione continuerà a offrire opportunità importanti di investimento, perché la produzione di energia da fonti rinnovabili è caratterizzata da una minore volatilità. L’importante – conclude Bicciato – è che gli investimenti per la neutralità climatica non dimentichino il reskilling e l’upskilling dei lavoratori, fondamentali per gestire i rischi occupazionali della transizione energetica e creare nuovi posti di lavoro verdi”.

Necessaria più integrazione tra ambiente e sociale: la tassonomia sociale

Segnali positivi che si scontrano con una contraddizione di fondo del mercato Esg: “Una galassia variegata al cui interno di trova un po’ di tutto: da chi propone investimenti seri e con criteri rigorosi a chi fa solo green e social washing”, fa notare Baranes. Eppure, anche per effetto della pandemia, nell’ambito finanziario l’attenzione verso i temi sociali è aumentata.

Bicciato fa un quadro più dettagliato: “Gli investimenti sociali si indirizzano soprattutto verso settori quali l’housing sociale, la sanità, il welfare aziendale, il contrasto al digital divide, l’integrazione delle diversità, la promozione del lavoro dignitoso e della parità di genere. Le emissioni di social bond – conclude – hanno superato nel 2020 i 300 miliardi di dollari secondo Climate bonds initiative, mentre il settore dell’impact investing a fine 2019 ha mobilitato investimenti per 715 miliardi, secondo il Global impact investing network”.

Senza una definizione precisa di cosa siano questi investimenti e cosa sia sostenibile, però, tutto cambia a seconda del singolo gestore. “Perché ci sia vera sostenibilità è necessario che questa riguardi le tre dimensioni economica, ambientale e sociale che la compongono”, fa notare Bicciato. Il motivo lo spiega Baranes con un esempio: “Le grandi dighe sono considerate energia rinnovabile, però hanno effetti sociali disastrosi sulle popolazioni. Non è detto che un progetto green sia sostenibile”.

La piattaforma per la finanza sostenibile è al lavoro per una tassonomia sociale che si integri con quella green, con l’obiettivo in futuro di arrivare a un’unica tassonomia estesa: “I tre macro-obiettivi inseriti nella tassonomia sociale – spiega Bicciato – sono stati definiti sulla base degli impatti delle attività economiche sui portatori di interesse lungo l’intera catena del valore: lavoro dignitoso; adeguati standard di vita e benessere per consumatori e utilizzatori di un bene; comunità sostenibili e inclusive”.

Leggi anche: La tassonomia alla prova della guerra in Ucraina: come si applica e quali sono le tempistiche

Le difficoltà di una tassonomia estesa

Non è un’operazione semplice: “Monitorare le emissioni di CO2 o l’energia prodotta dalle fonti rinnovabili non è la stessa cosa di trovare indicatori sul rispetto dei diritti umani o dei lavoratori”, avverte il presidente di Banca Etica, Andrea Baranes. “Non è neppure impossibile”, precisa Bicciato: “Sicuramente saranno necessari un’armonizzazione normativa a livello comunitario e un rafforzamento della cooperazione internazionale sul modello della partnership internazionale con il Sudafrica per la transizione energetica, che ha mobilitato 8,5 miliardi di dollari di investimenti”.

Se si arrivasse questo punto, sostiene il segretario del Forum per la finanza sostenibile, la tassonomia sociale potrebbe rappresentare un’utile guida anche per gli investimenti pubblici, a partire dal Pnrr. Da un lato la tassonomia estesa sarebbe lo strumento adatto, dall’altro il pericolo, che riconoscono gli stessi esperti della piattaforma per la finanza sostenibile, è di “buttare il cuore oltre l’ostacolo”.

La maggiore complessità normativa di una tassonomia estesa per gli attori economici, i costi aggiuntivi per gli obblighi di trasparenza e i superiori rischi reputazioni che deriverebbero da una più approfondita valutazione sull’allineamento delle attività economiche sono altrettanti aspetti negativi su cui riflettere. E tutto questo mentre la tassonomia, dopo il travagliato percorso degli ultimi mesi, sta solo cominciando a essere utilizzata e ancora non si hanno informazioni sufficienti per valutarne l’impatto iniziale.

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