Lo scorso 9 novembre a Rimini, durante la fiera Ecomondo – The Green Technology Expo, si è tenuto presso lo stand di EconomiaCircolare.com il talk intitolato “Sottoprodotti: soluzioni per la sostenibilità in azienda”. A discutere, insieme al direttore editoriale Raffaele Lupoli, sono stati il COO e cofondatore di Sfridoo Mario Lazzaroni, il giornalista e analista ambientale Antonio Pergolizzi e l’avvocato ambientale Stefano Palmisano, che ha introdotto per primo la specificità e il valore dei sottoprodotti: poiché sono scarti di produzione che possono non essere gestiti come meri rifiuti, bensì come nuova materia prima (evitando l’estrazione di quella vergine), essi sono “il cuore pulsante dell’economia circolare e della simbiosi industriale”.
Eppure, “sottoprodotto” è un concetto ancora poco familiare ai non addetti ai lavori, anche a causa della ritrosia spesso mostrata verso l’idea che gli scarti di un’impresa possano essere efficacemente trasferiti a un’altra capace di valorizzarli e di reimmetterli nel ciclo produttivo. Eliminare questi pregiudizi e il concetto stesso di rifiuto industriale è il lavoro che Sfridoo svolge dal 2017 e per il quale ha ricevuto il “Premio per lo sviluppo sostenibile” (edizione 2023) della Fondazione per lo sviluppo sostenibile e dell’Italian Exhibition Group Spa. Durante il talk, Mario Lazzaroni ha raccontato in che modo, tramite il lavoro svolto con Sfridoo, sia possibile intervenire a fianco delle aziende che abbiano compreso i benefici ambientali, economici e d’immagine derivanti dall’impiego circolare dei sottoprodotti: a partire dal supporto alla costruzione della documentazione tecnica probatoria della sussistenza dei requisiti per qualificare i residui come sottoprodotti, Sfridoo accompagna le aziende fino a comprendere qual è la filiera in cui tali sottoprodotti possono trovare maggior valore e quali devono o possono essere le dotazioni impiantistiche da implementare a valle del processo produttivo per fare in modo che “la simbiosi industriale sia sempre più efficace ed efficiente”.
Avanzare lungo questa direttrice – spiega Antonio Pergolizzi – significa rendere sempre più sistemica la simbiosi industriale in Italia, un Paese che si presterebbe bene a realizzarla grazie al suo tessuto industriale e tramite la valorizzazione dei sottoprodotti. Eppure, “esiste ancora una sorta di timore, di diffidenza da parte del mondo produttivo rispetto alla classificazione del residuo in sottoprodotto”, una diffidenza che la giurisprudenza per prima cerca di sciogliere: dalla direttiva del 1998 al decreto 264 del 2016 si sono consolidati alcuni strumenti, definizioni e autorizzazioni, ma ciò che è necessario continuare a tenere a mente è che la nozione di rifiuto non sarà mai legata a una caratteristica intrinseca degli oggetti, bensì a una scelta. Il rifiuto è infatti ciò di cui il detentore ha l’intenzione o l’obbligo di disfarsi, mentre il sottoprodotto risponde all’esigenza opposta di continuare a utilizzare quel “rifiuto” come materia prima potenziale.
D’altronde, specifica l’avvocato Stefano Palmisano, assistiamo ancora a oscillazioni degli stessi orientamenti giurisprudenziali in materia di sottoprodotti. Se sulla stessa questione ci sono tutt’ora sentenze di segno diverso, allora significa che la norma non è ancora scritta in maniera sufficientemente univoca. Risulta dunque necessario innanzitutto fissare degli addentellati normativi più stabili e chiari, a partire dai quali contemplare, già nella fase autorizzatoria e tra le BAT (Best Available Techniques), la circolarità del processo di produzione. Questa impostazione dovrebbe inoltre essere rafforzata dalle norme tecniche di settore, come le UNI, per garantire la massima trasparenza. A questo proposito, la formazione e l’informazione sui temi della circolarità dovrebbero estendersi dalle imprese agli enti di controllo e fino ai consumatori per diventare soluzione-chiave della simbiosi industriale.