Siamo senza parole e ci sentiamo impotenti davanti all’orrore di Gaza e a ciò che da anni subisce la popolazione palestinese. Decine di migliaia di vittime, un intero stato in macerie e sempre meno giornaliste e giornalisti a raccontare.
Secondo Reporters Sans Frontières (RSF), in meno di 23 mesi l’esercito israeliano ha ucciso oltre 210 giornalisti e giornaliste nella Striscia di Gaza, di cui almeno 56 volutamente presi di mira mentre svolgevano il loro lavoro. La notte del 10 agosto, l’attacco a una tenda adibita a postazione stampa presso l’ospedale Al-Shifa ha ucciso sette persone fra cui il giornalista Anas al-Sharif, noto corrispondente di Al Jazeera, e altri suoi colleghi. E il 25 agosto un doppio attacco al Nasser Hospital di Khan Yunis ha ucciso cinque giornalisti, tra cui membri delle redazioni di Reuters, AP e Al Jazeera.
RSF, il Comitato per la protezione dei giornalisti e il giornale israeliano Avaaz hanno rilanciato una campagna globale ricordandoci che di questo passo non avremo più notizie accreditate dalla Palestina: “At the rate journalists are being killed in Gaza… there will soon be no one left to inform you”. Oltre 150 testate in più di 50 Paesi hanno aderito, oscurando le prime pagine, lanciando banner e messaggi audio/video, chiedendo protezione per i cronisti palestinesi, la fine dell’impunità e accesso libero per la stampa estera. Perché la verità che non arriva, muore.
Poiché il quadro umanitario è sempre più devastante e non possiamo rischiare che a darci notizie sia la propaganda del governo israeliano o gli influencer pagati per farci sapere che va tutto bene. Per la prima volta nella regione mediorientale, l’Integrated Food Security Phase Classification (iniziativa globale multistakeholder che analizza nutrizione e sicurezza alimentare) ha confermato l’esistenza di una carestia in atto nella zona di Gaza City. Sono oltre 500.000 le persone già intrappolate in condizioni di povertà estrema e mortalità legata alla fame. Entro la fine di settembre le persone coinvolte in questa crisi potrebbero arrivare a più di 640.000, mentre oltre 1,14 milioni saranno in situazione di emergenza acuta, e altre 396.000 in stato di crisi. Gaza sta vivendo una catastrofe umanitaria senza precedenti, riconosciuta dalla FAO, dall’Unicef, dal World Food Program e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come un disastro causato dal blocco sistematico degli aiuti e dalla distruzione delle infrastrutture alimentari.
Questi dati generano una sensazione di impotenza dolorosa, ma ora abbiamo una piccola grande ragione di speranza in più: la Global Sumud Flotilla, la più grande missione civile indipendente per portare aiuti nella Striscia, salpata da Barcellona per rompere l’assedio su Gaza. Coordinata da attiviste e attivisti, medici, artisti e volontari da oltre 40 Paesi, la Flottilla parte senza bandiere politiche, spinta della volontà di superate il senso di impotenza con un’azione concreta, finalizzata a portate milioni di occhi sul luogo del genocidio e ad aprire un corridoio umanitario via mare. Il sostegno arrivato da tutto il mondo, gli equipaggi misti, le mani tese: è una risposta concreta alla fame, alla sospensione della legge, alla sofferenza, all’occultamento della verità, alla negazione del diritto e dei diritti.
Ora più che mai il silenzio rischia di diventare complicità, perché abbiamo una via d’uscita al senso d’impotenza: la redazione di EconomiaCircolare.com si unisce a queste mobilitazioni. Possiamo e dobbiamo stare accanto alle operatrici e agli operatori dell’informazione ancora presenti a Gaza, facendo pressione sui governi affinché garantiscano vie d’accesso sicure per la stampa e aiuti umanitari. E dobbiamo dare voce e supporto alla Global Sumud Flotilla, contribuendo con donazioni e partecipando alle iniziative di sostegno e mobilitazione.
Portiamo i nostri occhi, migliaia, milioni di occhi a far rotta verso Gaza, per non spegnere la verità, per costruire un ponte di resistenza e di civiltà in grado di oltrepassare il mare di orrore e autoritarismo che abbiamo davanti. Mai come in questi tempi, dove l’autoritarismo è l’anticamera di forme più o meno velate di fascismo, il silenzio è complice.
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