La notizia, arrivata qualche settimana fa dalla Spagna, ha avuto il suono secco di un conto presentato alla cassa dopo una cena fin troppo abbondante. Il governo spagnolo ha infatti deciso che i produttori di salviettine umidificate e palloncini debbano farsi carico dei danni ambientali causati dai loro prodotti. A quanto ammonta la cifra stimata? É presto detto: circa 230 milioni di euro all’anno, un costo esorbitante che lo Stato sostiene per liberare le arterie delle sue città, ovverosia i sistemi fognari e gli impianti di depurazione, da un nemico silenzioso e ostinato.
Questa mossa, un’applicazione decisa del principio di Responsabilità Estesa del Produttore (EPR), è molto più di una semplice sanzione economica. È un faro che si accende su un’abitudine quotidiana e sulle sue pesantissime conseguenze ed è giunta all’inizio del periodo estivo, stagione durante la quale, tra viaggi e giornate all’aperto, l’uso di questi prodotti “usa e getta” aumenta esponenzialmente. È stato il momento perfetto per capire a fondo il problema e imparare a fare scelte diverse, più consapevoli e rispettose.
Perché l’uso delle salviette costa a uno Stato milioni di euro
Il problema più grande, e purtroppo più comune, inizia con un gesto apparentemente innocuo: gettare la salvietta usata nel water. È un errore quasi istintivo, alimentato da decenni di (cattive) abitudini e da una certa confusione. Eppure, quel piccolo pezzo di tessuto intraprende un viaggio insidioso ben diverso da quello della carta igienica, progettata per sfaldarsi in pochi istanti. La stragrande maggioranza delle salviettine è realizzata in “tessuto non tessuto”, un materiale resistente che spesso contiene fibre plastiche. Questa resistenza, un pregio dal punto di vista dell’utilizzatore, si trasforma però in una calamità ambientale una volta che il prodotto entra nel sistema di scarico. Non si disintegra, ma, al contrario, prosegue il suo percorso pressoché intatta, addirittura aggregandosi ad altri rifiuti non correttamente smaltiti, come oli da cucina e grassi. Insieme, finiscono per formarsi agglomerati mostruosi, i tristemente noti “fatberg“, ammassi solidi e compatti che possono raggiungere dimensioni impressionanti, ostruendo completamente le tubature. Questi “mostri delle fogne” possono essere la causa diretta di blocchi e allagamenti, con conseguenti tracimazioni di liquami non trattati nelle strade, nei fiumi e nei mari, specialmente durante le piogge intense.
Le salviettine che, malgrado tutto, riescono a superare gli impianti di depurazione, finiscono per inquinare i nostri ecosistemi acquatici, frammentandosi lentamente in microplastiche che vengono ingerite dalla fauna marina, entrando così nella nostra catena alimentare.
A contribuire a questo disastro è un vero e proprio labirinto di diciture e autodichiarazioni presenti sulle confezioni, che disorientano anche il consumatore più attento. Termini come “biodegradabile” o “con fibre naturali” possono essere facilmente fraintesi. “Biodegradabile” significa semplicemente che un materiale può essere scomposto da microrganismi, ma non specifica in quanto tempo né in quali condizioni avviene questo processo. Una salvietta biodegradabile può, infatti, impiegare mesi o anni a decomporsi e, nel frattempo, contribuisce a intasare le fognature esattamente come una salvietta sintetica. La dicitura “compostabile” è già un passo avanti, ma deve essere supportata da una certificazione precisa: si deve fare espresso riferimento alla norma europea UNI EN 13432. Solo questo standard garantisce che il prodotto si disintegri e si biodegradi completamente in un impianto di compostaggio industriale, trasformandosi in compost di qualità. Senza questa certificazione, anche una salvietta definita compostabile non può essere gettata nell’umido. Infine, esiste la categoria delle salviette “gettabili nel WC” (o “flushable”). Per poter vantare questa caratteristica, un prodotto deve superare test rigorosi (stabiliti su standard tecnici specifici) che ne assicurino la rapida disgregazione in acqua, con un comportamento simile a quello della carta igienica. In assenza di queste certificazioni specifiche e chiaramente visibili, la prudenza non è mai troppa.
Partendo da tale quadro, la decisione spagnola ci insegna che la soluzione non può e non deve ricadere unicamente sulle spalle dei cittadini. La Responsabilità Estesa del Produttore è lo strumento normativo che spinge le aziende a guardare oltre la vendita, a considerare l’intero ciclo di vita del prodotto. Obbligare i produttori a pagare per i costi di pulizia e smaltimento è un potente incentivo ad investire in eco-design, a ricercare materiali innovativi che siano realmente idrosolubili o compostabili e a comunicare in modo trasparente e inequivocabile le corrette modalità di smaltimento. In attesa che questo approccio diventi la norma, possiamo però fare la nostra parte, armati di consapevolezza.
Intanto noi però cosa possiamo fare?
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Una guida pratica per un uso a minor impatto delle salviettine monouso
- La regola d’oro: il bidone giusto è (quasi) sempre l’indifferenziato. Come spiegato chiaramente anche nell’indagine Contenitori senza trucco, a meno che sulla confezione non sia esplicitamente riportata la certificazione “Compostabile UNI EN 13432” (che ne autorizza il conferimento nell’umido) o una chiara e affidabile dicitura “Gettabile nel WC” basata su test certificati, la salvietta usata va sempre e solo nel secco residuo/indifferenziato. Nel dubbio, l’indifferenziato è la scelta più sicura per l’ambiente.
- Limita l’uso all’indispensabile. Le salviettine sono indubbiamente comode in viaggio o in assenza di acqua, ma non dovrebbero mai diventare la soluzione generalizzata. Lo strumento più efficace, igienico e sostenibile per la pulizia personale (specie quando non siamo in giro) resta l’utilizzo di acqua e sapone accompagnate, quando serve, da asciugamani lavabili (e no, il consumo idrico del lavaggio non sarà mai e poi mai quanto quello di un omologo prodotto monouso). Riscopriamo il valore di un gesto semplice ma fondamentale.
- Scegli alternative a basso impatto anche in giro. Per le esigenze di pulizia fuori casa, esistono soluzioni creative e riutilizzabili. Piccoli panni in microfibra o cotone, inumiditi con acqua e conservati in un contenitore a tenuta, possono sostituire egregiamente le salviette monouso. Per i più piccoli, il mercato offre opzioni di salviette lavabili o prodotti monouso certificati compostabili, realizzati con fibre naturali come bambù o cellulosa.
- Impara a leggere l’etichetta con occhio critico. Non fermarti agli slogan, ma cerca le certificazioni ufficiali (es. Compostabile CIC, OK Compost). Privilegia prodotti “plastic-free” e con un INCI (l’elenco degli ingredienti) corto e comprensibile, specialmente se destinati alla pelle. Un consumatore informato è un consumatore potente.
Il segnale che arriva dalla Spagna è forte e chiaro non solo verso i produttori, ma anche verso noi consumatori: il modello “produci, usa, getta e dimentica” non è più sostenibile. Ogni nostro gesto, anche il più piccolo, ha una conseguenza. Responsabilizzare i produttori è quindi il primo, fondamentale passo per innescare un cambiamento virtuoso, ma la vera rivoluzione circolare si compie quando la politica, l’industria e i cittadini lavorano insieme, trasformando un rifiuto problematico in un’opportunità di innovazione e rispetto per il nostro Pianeta.

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