“L’industria del riciclaggio della plastica in Europa sta crollando, e il responsabile non è chi ci si aspetterebbe” scrive in un post Joan Marc Simon, fondatore di Zero Waste Europe (ZWE). Plastic Recyclers Europe, che raccoglie le imprese continentali del riciclo della plastica, prevede infatti che l’UE avrà perso entro l’anno quasi un milione di tonnellate di impianti di riciclaggio rispetto al 2023. Sono tante? Sono più o meno la metà della capacità italiana. Eppure la politica in genere resta a guardare. “Perché il continente più attento all’ambiente dovrebbe assistere alla distruzione della capacità di riciclaggio proprio nel momento in cui dispone delle politiche di riciclaggio più avanzate di sempre?” si chiede Simon. E poi, come un bravo investigatore, passa al vaglio tutti i possibili colpevoli.
Colpa della politica?
Il fondatore di Zero Waste Europe ritiene che la politica europea sia ingabbiata in una contraddizione: regolamenta in modo eccessivo il riciclo e i flussi di materiale, ma nel contempo continua a favorire l’economia lineare. Un doppio strandard che pecca di incoerenza e che crea un effetto dannoso: le imprese del riciclo faticano a operare in modo competitivo, mentre le filiere “lineari” restano privilegiate. Tuttavia, scrive Simon, “non credo che la fine del riciclaggio della plastica possa essere attribuita esclusivamente alle politiche dell’Unione Europea”.
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Colpa delle ONG?
Può darsi che la responsabilità delle difficoltà delle imprese sia da imputare alla crisi della plastica e alle ONG che la denunciano senza sosta? “Forse si tratta di una cospirazione del movimento Break Free From Plastic che cerca di abbattere la soluzione miracolosa per affrontare l’inquinamento da plastica?” scrive. Purtroppo no, per un motivo molto semplice: “Temo che non siamo abbastanza potenti da abbattere un intero settore”. E comunque la maggior parte delle ONG desidera un aumento del riciclaggio.
Colpa della competizione della carta?
È sotto gli occhi di tutti che moltissime imprese provino a darsi una ritinteggiata di sostenibilità sostituendo il packaging in plastica con quello in carta, ritenuto generalmente dai consumatori più sostenibile. Sarà questa la causa della crisi del riciclo della plastica? Negli ultimi negoziati dell’UE sugli imballaggi, ricorda Simon, “l’industria della carta e del cartone ha giocato tutte le sue carte per ottenere un accordo molto vantaggioso e ora il regolamento sugli imballaggi (PPWR) promuove sostanzialmente la sostituzione della plastica monouso con la carta monouso (rivestita di plastica)”. Se questo è certamente un buon risultato per l’industria cartaria, tuttavia è “un cattivo risultato per il pianeta e l’industria della plastica”. Ma nonostante il PPWR, il consumo di plastica continua ad aumentare in tutto il mondo, “quindi – conclude Simon – non è certo stata l’industria cartaria a uccidere il riciclaggio della plastica”.
L’insospettabile
Non le norme soffocanti, non i complotti delle associazioni, non la competizione selvaggia con la carta, ma allora “chi ha ucciso il riciclaggio della plastica?”. Come in uno dei più intriganti casi di Sherlock Holmes, il colpevole è molto più vicino e insospettato, dice il fondatore di ZWE. Chi, direte voi? “Sono i diversi membri della famiglia petrolchimica che si sono uniti per uccidere il riciclaggio della plastica”, risponde Simons. “E forse la cosa più triste di tutte è che non si è trattato nemmeno di un crimine intenzionale e ben pianificato, ma di un danno collaterale. Un chiaro segno di quanto sia seria e organizzata l’industria petrolchimica nell’affrontare l’inquinamento da plastica”.
L’industria petrolchimica, ricorda, spende miliardi per influenzare le autorità di regolamentazione e l’opinione pubblica sulle meraviglie della plastica e ha promosso il riciclaggio, in particolare quello chimico, come “la soluzione miracolosa per affrontare l’inquinamento da plastica. La stessa industria che incolpa i cittadini di non riciclare, i responsabili politici per l’eccessiva regolamentazione e le ONG per spaventare la gente, ha deciso di darsi la zappa sui piedi e uccidere l’unica soluzione, per quanto parziale, che aveva da offrire: il riciclaggio”.
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Una crisi da eccesso di offerta
Per sfuggire al calo di redditività dei mercati dei combustibili fossili, secondo Simon l’industria petrolchimica “ha aumentato in modo esagerato la capacità di produzione di prodotti petrolchimici e plastica, anche se la crescita della domanda ha subito un rallentamento. Di conseguenza, l’industria petrolchimica sta attraversando la crisi di redditività più lunga e profonda della sua storia centenaria. L’offerta supera ora di gran lunga la domanda”.
A sommergere di plastica i mercati mondiali contribuiscono la Cina, che “per ragioni strategiche che non hanno nulla a che vedere con la redditività, continua ad espandere la propria capacità petrolchimica”; gli USA, che sotto il governo Trump “hanno aumentato la capacità produttiva oltre ogni necessità”; l’Arabia Saudita e i paesi del Golfo, che costruiscono nuovi impianti petrolchimici “per compensare il futuro declino dei mercati dei combustibili fossili”.
Danni collaterali
Come insegna la prima regola dei corsi di economia, quando l’offerta aumenta (in questo caso “ampiamente sovvenzionata”) il prezzo dei beni (la plastica vergine) cala: “Finché ci sarà disponibilità di petrolio e il mercato non risolverà magicamente la situazione – sapendo che la maggior parte di questa nuova produzione non segue i segnali del mercato – il prezzo della plastica vergine rimarrà artificialmente basso”. Tra le “vittime collaterali” di questa situazione proprio il riciclo: “Le materie plastiche di origine realmente riciclata non sono e non saranno in grado di competere con i materiali vergini più economici”.
Un altro soggetto danneggiato sono i cittadini e le cittadine che, con i soldi delle tasse pagano due volte: per i sussidi alle fonti fossili e per sovvenzionare impianti di riciclaggio che non possono competere con materiali vergini artificialmente economici.
Simons segnala poi un paradosso nel paradosso: le semplificazioni. Il mantra del legislatore europeo – i lettori e le lettrici di EconomiaCircolare.com lo sanno bene – è divenuto la semplificazione che sfocia spesso nella deregolamentazione. “Sono assolutamente favorevole a semplificare la vita delle aziende che contribuiscono al benessere degli europei, creando posti di lavoro e attività economiche sostenibili, ma mi sembra che il settore petrolchimico abbia bisogno di più regolamentazione, anche se diversa, non di meno”, riflette.
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Azioni strategiche per l’Europa, non per le aziende fossili
Forse il mercato delle plastiche è talmente sovvenzionato e soggetto a interventi che “non è nemmeno un vero e proprio mercato”: non risponde più elle logiche tipiche dei mercati. Quali dovrebbero essere allora le regole giusto per questo mercato-non mercato? “Mi sembra più sensato regolamentarlo in modo che serva gli interessi strategici dell’UE, che non devono necessariamente coincidere con quelli del settore petrolchimico”, scrive Simon. Che immagina un mercato in cui “il prezzo di produzione sia tale da rendere ancora conveniente produrre nell’UE, mantenendo gli standard sociali e ambientali, e in cui il contenuto riciclato sia più economico di quello vergine”. Questo comporta ovviamente la necessità di proteggere il mercato europeo della plastica per salvare le industrie dell’UE che la producono e la riciclano.
“Senza un intervento forte e strategico sul mercato – sostiene il fondatore di Zero Waste Europe – sinceramente non vedo come l’UE potrà mantenere la produzione di plastica o la capacità di riciclaggio nel continente nel medio-lungo termine. Questo tipo di intervento sul mercato sarebbe molto più efficiente dell’attuale mosaico di tentativi di affrontare le inefficienze e le irregolarità con sussidi alla produzione e al riciclaggio della plastica, obiettivi di contenuto riciclato, restrizioni alle importazioni, ecc…”.
Mancanza di volontà da parte dell’Europa
Amare le conclusioni di Simon, che nel problema legge anche l’opportunità, per ora persa: “Risolvere il problema creando un mercato europeo della plastica ben funzionante e conforme alle norme sul clima rappresenta un’opportunità per l’UE di riaffermare il proprio ruolo sulla scena mondiale. Si dice che ‘volere è potere’. Temo che per l’UE il potere ci sia, ma non ancora la volontà”.
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