Non c’è ancora l’ufficialità ma l’appuntamento del 10 dicembre, la data in cui la Commissione europea avrebbe dovuto pronunciarsi sullo stop al 2035 per la produzione di auto col motore a combustione (benzina, diesel, metano, gpl), è praticamente saltato. In un’intervista al quotidiano tedesco Handelsblatt, il commissario ai Trasporti Apostolos Tzitzikostas ha confermato le voci che indicavano le difficoltà della Commissione su un piano di rilancio per il settore automobilistico e, appunto, sulle pressanti richieste di alcuni governi – Germania e Italia in primis – e delle associazioni di categoria di rivedere o posticipare lo stop al 2035, fissato nella scorsa legislatura nell’ambito del pacchetto di riforme Fit for 55 (il piano che dovrebbe ridurre le emissioni dell’UE del 55% al 2030 rispetto ai livelli del 1990).
Tzitzikostas ha spiegato che “ci vorrà ancora tempo, alcune settimane”, anche se le indiscrezioni riportate dalla newsletter Il mattinale europeo indicano che, in realtà, potrebbe volerci molto di più. Quel che è certo è che il pantano in cui annaspa la Commissione ha origine ben più profonda. Ed è l’ulteriore conferma del cambio di passo dell’attuale legislatura che, in ambito ambientale, in poco più di un anno ha realizzato una vera e propria inversione a U.
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L’appello della Germania e le richieste dell’Italia
Sullo stop alle auto termiche dal 2035 si è già delineata l’ennesima divisione tra gli Stati membri. Solo per citare i più grossi tra i 27 Paesi dell’UE, Francia e Spagna e i Paesi nordici intendono mantenere l’obiettivo fissato nella scorsa legislatura mentre Germania e Italia guidano una coalizione, dove si possono annoverare anche la Polonia e l’Ungheria, che chiede a gran voce di eliminare lo stop. L’aspetto in parte inedito di questi giorni è la netta posizione assunta dalla Germania. Se finora il governo Merz si era mantenuto equilibrato nei toni e possibilista nelle scelte, negli scorsi giorni ha invece scelto di passare all’attacco. In una lettera inviata alla Commissione, proprio in vista dell’appuntamento del 10 dicembre, il governo tedesco ha chiesto di puntare sulle auto ibride. Innanzitutto attraverso una regolamentazione delle emissioni di CO₂ che sia “tecnologicamente neutra, flessibile e realistica”, ma soprattutto chiedendo che “dopo il 2035, oltre ai veicoli puramente elettrici a batteria, dovrebbero continuare ad essere immatricolate auto con doppio sistema di propulsione composto da motore a batteria e motore a combustione, a condizione che le emissioni residue nei settori automobilistico e dei carburanti siano compensate”.

Una richiesta che è un evidente assist ai colossi tedeschi dell’automotive – come Volkswagen, Mercedes e BWM – che, chi più chi meno, non sono ancora pronti a una riconversione del modello industriale basato esclusivamente sulle auto elettriche. Inoltre, per Merz, “è necessario evitare sanzioni a livello europeo derivanti dalla violazione dei limiti di emissione delle flotte” per le quali il governo tedesco accoglie “con favore l’elettrificazione delle flotte aziendali in linea di principio, ma respingiamo una quota definite per legge generalizzata“. In questo caso il governo tedesco sembra farsi portavoce delle richieste di ACEA, l’associazione europea dei costruttori di automobili.
Infine vale la pena ricordare che, come abbiamo riportato più volte in questo giornale, in questo scenario è significativo anche il ruolo dell’Italia, che alla data del 10 dicembre sullo stop delle auto termiche al 2035 avrebbe voluto ottenere la deroga per i biocarburanti, così come già definita per gli e-fuels tedeschi nella scorsa legislatura. Un appuntamento rimandato al 2026 e che appare sempre più certo, con l’Unione Europea che in questi anni sembra aver superato le proprie ritrosie sui biocarburanti e sempre più spesso li definisce “carburanti a basse emissioni” quando non addirittura “climaticamente neutri”. Anche se restano i dubbi sulla reale sostenibilità della filiera.
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Quello che non si dice: i ritardi sulle ricariche delle auto elettriche
“L’Unione europea terrà conto di tutti i progressi tecnologici quando rivaluterà i limiti di emissione, compresi i motori a combustione alimentati con e-fuel e biocarburanti” ha affermato il commissario Tzitzikostas al quotidiano Handelsblatt nell’intervista che abbiamo citato all’inizio di questo pezzo. Ma c’è un’assenza che spicca di più rispetto alle parole pronunciate. Vale a dire i ritardi dei Paesi che più spingono per una deroga rispetto rispetto alle infrastrutture dedicate alle auto elettriche. In questo senso l’Italia è un esempio paradigmatico.

Secondo lo studio “Il futuro della mobilità elettrica in Italia al 2035”, presentato da Motus-e e dalla società di consulenza Pwc strategy a ottobre, le colonnine di ricarica per le auto elettriche sono ancora largamente insufficienti. Per Fabio Pressi, presidente di Motus-e, “il mercato italiano è indubbiamente in ritardo rispetto agli altri grandi paesi europei, ma grazie agli imponenti investimenti sulla rete di ricarica ha un enorme potenziale di crescita sull’elettrico, che può essere concretizzato con un supporto alla domanda di veicoli”. Un potenziale che però va incentivato con politiche adeguate. “Il rapporto – scrive Vaielettrico – presenta due scenari (uno conservativo e uno accelerato): entrambi tengono conto del clima di incertezza normativa e di come impatta sulle aspettative e sui comportamenti dei consumatori”.
Ed è proprio questo clima a essere messo in discussione: che interesse per le auto elettriche potrà avere un nuovo acquirente se nel frattempo i governi nazionali e le istituzioni europee tendono a conservare l’esistente e a promettere modifiche ad hoc affinché le auto termiche, con qualche aggiustamento tipo l’ibrido o i biocarburanti, possano restare dominanti? Senza spinta all’innovazione da parte italiana ed europea, non ci si può sorprendere poi del predominio cinese.
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