Se la plastica usa e getta che utilizziamo come imballaggi per bevande ed alimenti rappresenta un serio problema per l’ambiente quanto, spesso, per la nostra salute, cosa sappiamo da questo punto di vista della plastica riutilizzabile?
Sebbene i portavivande in plastica siano un’alternativa certamente più sostenibile dell’usa e getta e, a volte, anche la soluzione più pratica per trasportare o conservare cibo rispetto al vetro o al metallo, in alcune condizioni potrebbero essere dannosi per la nostra salute. Il tempo e l’usura potrebbero infatti causare la dispersione di microplastiche, ma non sono gli unici parametri da tenere in considerazione.
Se quindi anche voi avete avuto dubbi sulla sicurezza di un contenitore in plastica che giace da anni nella vostra dispensa, è tempo di riprenderlo in mano per capire se sia ancora sicuro farne uso.
I danni delle microplastiche
Come lettori e lettrici di EconomiaCircolare.com sanno, sono ormai diversi gli studi che testimoniano i danni che le micro e nanoplastiche possono avere sul nostro organismo: si tratta di un inquinante davvero pervasivo che ha finito per interessare ogni organo, dal sangue alla saliva, dal fegato a reni e polmoni e persino alla placenta.
Ma non tutto è ancora chiaro: sulla percentuale di permanenza di queste particelle nel nostro corpo non sembrerebbero esserci ancora dati sufficienti. Come sostiene Bernardo Lemos, professore aggiunto di epigenetica ambientale presso la Harvard T.H. Chan School of Public Health: “Ci sono così tante incognite ma stiamo vedendo più dati che suggeriscono che le microplastiche influenzano la biologia umana”.
Inoltre, utilizzando un modello di rivestimento intestinale umano, un team guidato da Philip Demokritou, direttore dell’Environmental Health Nanoscience Laboratory presso la Harvard Chan School, ha scoperto che le nanoplastiche possono penetrare nelle cellule in due modi diversi e persino entrare nei nuclei cellulari.
Tra le tante minacce alla nostre salute vi sono quelle che derivano dalle sostanze chimiche presenti nelle particelle di microplastica, compresi i componenti della plastica – come il BPA, gli ftalati e i metalli pesanti – che sono noti o sospettati di causare disturbi ai sistemi nervoso, riproduttivo e di altro tipo.
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Che tipo di plastica è?
Potrà esservi capitato, magari ricevendo un contenitore in plastica con del cibo fatto in casa da parenti o amici, di chiedervi se fosse riutilizzabile o meno. Non sempre è facile capire se il contenitore che abbiamo tra le mani sia sicuro per il contatto ripetuto con il cibo e se sia adatto per essere lavato e utilizzato nuovamente. Come fa notare in un articolo l’Huffpost, la prima cosa che possiamo fare – e che si rivela utile con tutti i tipi di plastiche che entrano in contatto con i nostri alimenti – è controllare il simbolo che dovremmo trovare sul fondo del contenitore e che indica la tipologia di plastica di cui è composto: all’interno di un simbolo triangolare, dovrebbe esserci un numero da 1 a 7.
Secondo Michael Tunick, chimico ricercatore presso il Dipartimento di Gestione degli Alimenti e dell’Ospitalità della Drexel University, i numeri che dovreste vedere sono 2, 4 o 5. Il 2 rappresenta HDPE, cioè polietilene ad alta densità che si trova in articoli come i contenitore del latte. “È difficile da scomporre e viene considerato sicuro per gli alimenti”, ha detto Tunick.
Il 4 indica invece il polietilene a bassa densità, noto con la sigla LDPE, che si trova in articoli come i sacchetti per il pane ed è “considerato sicuro e riutilizzabile”. Il 5 sta per invece per PP, o polipropilene, che si trova anche nei sacchetti delle patatine e nei contenitori dello yogurt, e che, nel caso dei nostri contenitori, “è sicuro da riutilizzare”.
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Da quanto tempo è con noi?
Naturalmente se il contenitore presenta graffi, crepe, è deformato, ha un cattivo odore che non va via o si è scolorito, è arrivato il momento di dirgli addio. Questo perché attraverso l’usura è più facile che si stacchino delle microplastiche e che queste vengano poi a contatto con gli alimenti che ingeriamo.
Sebbene poi da un punto di vista ambientale si tenda sempre a consigliare di allungare il più possibile il ciclo di vita di un prodotto, usandolo per molti anni o rivendendolo o cedendolo quando non ci è più utile, questo non deve essere ovviamente a scapito della nostra salute.
Secondo quanto riportato da Huffpost, i contenitori di plastica acquistati più di dieci anni fa non dovrebbero più essere utilizzati. Questo non solo perché ovviamente il rischio che siano usurati è maggiore ma, anche nel caso apparissero come nuovi, c’è comunque un’insidia per la nostra salute.
“Nei decenni passati, – riporta l’Huffpost – molti produttori di contenitori lavoravano con plastiche che includevano il bisfenolo A, o BPA, una sostanza chimica che può penetrare negli alimenti e potenzialmente influenzare lo sviluppo di condizioni come l’ipertensione, il diabete di tipo 2 e le malattie cardiovascolari”.
A questo proposito, già in un’intervista ad EconomiaCircolare.com Maria Grazia Petronio, vicepresidentessa ISDE, aveva spiegato che “l’Agenzia europea per l’Ambiente stima che il bisfenolo A sia presente nel corpo del 92% degli europei. Di questa sostanza, che è un interferente endocrino, conosciamo molto bene gli effetti sulla salute: come le alterazioni del tratto riproduttivo femminile e maschile e molte altre patologie, anche tumorali. Recentemente è stato associato anche ad una maggiore prevalenza di malattie cardiovascolari”.
Alla luce di queste evidenze scientifiche è necessario ripensare le nostre abitudini, per avere sì un impatto positivo sull’ambiente ma anche sulla nostra salute. Una di queste potrebbe essere lavare i contenitori a mano, invece che in lavastoviglie, quest’ultima infatti comporta un periodo più lungo di esposizione all’acqua calda rispetto al lavaggio a mano, è dannosa per la longevità dei contenitori. Se proprio si decide di mettere i vostri contenitori di plastica in lavastoviglie, meglio usare il cestello superiore che non si scalda come quello inferiore.
Meglio prediligere comunque il lavaggio a mano con acqua calda, da effettuare il prima possibile per evitare che il cibo si secchi e quindi sia più difficile da rimuovere, rischiando magari di graffiare il contenitore.
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