La britannica Advertising Standards Authority (ASA) ha bacchettato il produttore di detergenti OceanSaver per alcune sue pubblicità sconfinate nel greenwashing. Oggetto della sanzione, come spiega l’ASA, sono le affermazioni contenute in alcune pagine web e in uno spot televisivo.
In particolare, a subire la censura sono:
- Il sito web www.ocean-saver.com, includeva le seguenti affermazioni: “Pellicola biodegradabile. Ogni capsula è realizzata in pellicola PVOH, e anche se tecnicamente è plastica… è una delle plastiche buone che si dissolvono e si biodegradano completamente!”; “Senza plastica”; “100% senza plastica e contengono zero microplastiche”; “Zero plastica. Zero microplastiche”; e “Ogni prodotto acquistato ha un impatto, con oltre 2 milioni di pezzi di plastica […] salvati dal nostro oceano finora”. L’annuncio presentava anche inserzioni con immagini della confezione delle “Eco Capsule per il bucato” e delle “Eco Compresse per la lavastoviglie” di OceanSaver, entrambe con l’indicazione “Senza plastica”;
- Lo spot televisivo mostrava una persona che utilizzava una lavatrice mentre dei granchi generati al computer cantavano una canzone che includeva la frase “Hai cambiato tutte le tue pulizie per essere senza plastica, senza sostanze chimiche dannose, così non danneggi il mare […] OCEAN SAVER, l’oceano ti ringrazierà”.
Leggi anche: Quando la reticenza porta al greenwashing: il caso di Lloyds Bank
I claim, la difesa, il giudizio dell’ASA
A far partire l’indagine è stata la denuncia del competitor People Against Dirty Holdings e della sua controllata Ecover. Hanno chiesto di verificare se alcune del affermazioni green usate per le “Eco capsule per bucato” e le “Eco compresse per lavastoviglie” di OceanSaver, contenute in una pellicola dissolvibile che contiene alcool polivinilico-PVOH, fossero ingannevoli o meno.
Vediamo.
CLAIM 1: “senza plastica”, “zero microplastiche”
A sostegno di queste affermazioni, OceanSaver porta la dichiarazione di un produttore di film PVOH che ne affermava la conformità al Regolamento Ue per la restrizione sulle microplastiche” (Regolamento UE 2023/2055). L’ASA non si accontenta: sebbene la norma UE non citi il PVOH, ritiene tuttavia “che la sua omissione dal Regolamento non significhi di per sé che non sia una plastica o una fonte di microplastiche. Né l’omissione dimostrava che non avrebbe causato danni al mare o alla vita acquatica”.
Per questi motivi secondo Advertising Standards Authority l’affermazione “non è stata comprovata”.
CLAIM 2: “Così non danneggi il mare”
Quanto all’affermazione “così non danneggiare il mare”, OceanSaver cita il regolamento UE relativo all’etichettatura delle sostanze chimiche (Regolamento CE n. 1272/2008) ricordando che le sostanze valutate come dannose per la vita acquatica “devono riportare un’indicazione di pericolo”. In particolare l’indicazione H412: “Nocivo per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata”. Ma, fa notare l’azienda, le capsule per bucato di OceanSaver non devono riportare questa dicitura.
Anche questa volta l’ASA non è d’accordo. Preso atto delle osservazioni del produttore sul codice di pericolo H412, “abbiamo capito che tale avvertenza riguardava solo il contenuto chimico delle cialde, piuttosto che la loro membrana in PVOH. Abbiamo quindi ritenuto che l’assenza di un’avvertenza di pericolo H412 sul prodotto pubblicizzato non fosse di per sé una prova adeguata dell’affermazione implicita che il prodotto nel suo complesso non avrebbe danneggiato la vita marina o acquatica”.
Per questi motivi, conclude l’Authority, l’affermazione “non è stata comprovata”.
Leggi anche: Il greenwashing nell’era dell’intelligenza artificiale
CLAIM 3: “pellicola biodegradabile” e “completamente biodegradabile”
Diverso il materiale informativo e scientifico portato a sostegno di questa dichiarazione. Come l’articolo di una rivista che tratta l’uso di pellicole biodegradabili nelle capsule di detersivi liquidi e che aveva preso in considerazione sei studi sulla biodegradazione del PVOH. L’articolo conclude che il PVOH utilizzato nelle pellicole possa essere considerato microplastica. Tuttavia, obietta l’ASA, “ci è parso di capire che gli studi esaminati non riguardavano specificamente il prodotto OceanSaver”. Ragion per cui “abbiamo ritenuto che i risultati dell’articolo non potessero essere applicati trasversalmente ai prodotti pubblicizzati e che, di conseguenza, non costituissero un’adeguata giustificazione delle affermazioni”.
Anche altri articoli prodotti da OceanSaver fanno riferimento all’uso del PVOH nelle cialde per bucato. Ma, segnala l’ASA, “non si riferivano alle cialde per bucato di OceanSaver né a un prodotto con la stessa composizione e non dimostravano che fossero completamente biodegradabili attraverso il normale utilizzo in lavatrice. Inoltre, uno degli articoli esaminava studi che mostravano livelli di degradazione diversi, compresi tra il 38% e l’86%, il che significa che rimaneva del PVOH”.
Le conclusioni sono scontate: le affermazioni sulla biodegradabilità “non erano state adeguatamente comprovate e potevano indurre in errore”.
CLAIM 4: “Oltre 2 milioni di pezzi di plastica e 11.000 litri di sostanze chimiche nocive salvati dal nostro oceano”
OceanSaver sostiene questa affermazione citando il WWF, e in particolare una scheda informativa secondo cui l’80% della plastica presente negli oceani ha origine sulla terraferma.
Secondo l’Authority, dall’affermazione “oltre 2 milioni di pezzi di plastica e 11.000 litri di sostanze chimiche nocive salvati dal nostro oceano fino ad oggi” i consumatori deducono “che acquistando i prodotti OceanSaver contribuiscano in qualche modo a questo sforzo”. E lamenta che “sebbene OceanSaver avesse fornito informazioni sulle sue unità di vendita, non avevamo visto prove che dimostrassero che avevano impedito alla plastica e alle sostanze chimiche dichiarate di entrare in mare, né che acquistando i prodotti OceanSaver i consumatori avrebbero contribuito a questo livello di prevenzione”.
L’affermazione, ovviamente non è stata comprovata.
Leggi anche: Studio: il greenwashing (purtroppo) funziona anche sugli esperti
Il dilemma dei comunicatori
OceanSaver è costretta quindi a ritirare gli annunci che, sentenzia l’ASA, “non devono apparire o essere trasmessi nuovamente nella forma contestata. Abbiamo chiesto a OceanSaver di garantire che le affermazioni ambientali fossero adeguatamente documentate, se del caso in relazione all’intero ciclo di vita di un prodotto”.
Il giorno della pubblicazione della sentenza, l’azienda scrive sul suo sito web: “È chiaro che, sebbene le nostre intenzioni fossero buone, avremmo potuto fornire spiegazioni più dettagliate sull’impatto ambientale della plastica e delle sostanze chimiche nocive e su ciò che i nostri prodotti fanno per affrontarle”. Utilizzando la musica, leggiamo ancora, “abbiamo cercato di trovare un equilibrio tra attirare l’attenzione e offrire informazioni sul prodotto. Col senno di poi, riconosciamo che avremmo dovuto essere più specifici”.
E, non senza restituire un filo di ironia, mostra degli esempi di come questo “più specifici” avrebbe potuto essere. “Abbiamo descritto i nostri prodotti come ‘biodegradabili’. Una dichiarazione più accurata sarebbe stata: ‘Biodegradabili secondo le metodologie di test ASTM D6691, UNI EN ISO 14852 e OCSE 301-F’“.
Ancora. “Abbiamo anche dichiarato ‘zero microplastiche’ senza approfondire. La spiegazione completa avrebbe dovuto recitare: ‘La pellicola si dissolve a contatto con l’acqua e non contribuisce all’inquinamento da microplastiche, in linea con la restrizione UE sulle microparticelle polimeriche sintetiche ai sensi del Regolamento (UE) 2023/2055 della Commissione che modifica l’allegato XVII del Regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH)’”.
E poi, per concludere: “Nel tentativo di rendere semplici le scelte sostenibili, abbiamo talvolta evitato di utilizzare nomi tecnici o riferimenti normativi. Tuttavia, in futuro cercheremo di essere più precisi e trasparenti”.
Leggi anche: Imballaggi e prodotti che si dissolvono in acqua: buona pratica o greenwashing?
© Riproduzione riservata





