mercoledì, Novembre 5, 2025

Bruciare i rifiuti è un rischio economico: la denuncia di Politico

La giornalista Marianne Gros sottolinea il rischio che gli impianti di termovalorizzazione dei rifiuti possano diventare degli “stranded assets”, cioè impianti incapaci di ripagare le anticipazioni di capitali necessari per costruirli. Anche la Banca Europea degli Investimenti non finanzia più gli inceneritori

Andrea Turco
Andrea Turco
Giornalista glocal, ha collaborato per anni con diverse testate giornalistiche siciliane per poi specializzarsi su ambiente, energia ed economia circolare. Redattore di EconomiaCircolare.com. Per l'associazione A Sud cura l'Osservatorio Eni

“Nella migliore delle ipotesi gli impianti di termovalorizzazione rischiano di diventare reliquie impopolari di una politica sbagliata sui rifiuti. Nel peggiore dei casi gli impianti esistenti e già finanziati potrebbero diventare “asset bloccati” (stranded assets, ndr) che devono lottare tra loro per trovare abbastanza rifiuti da bruciare per garantire che rimangano commercialmente fattibili”. Una sintesi così spietata e così efficace arriva da Politico, una delle testate europee più note e apprezzate, specie per quel che riguarda l’analisi delle strategie e delle politiche dell’Unione Europea. 

Ed è in fondo ciò che sosteniamo da tempo a EconomiaCircolare.com. Il passo in avanti dell’analisi di Politico è legato agli stranded assets: è la definizione che riguarda i cosiddetti “beni incagliati”, e cioè quegli impianti che rischiano di non potersi più ripagare, a causa della tecnologia vetusta o non più in linea con le nuove politiche di sostenibilità. Si tratta di una definizione creata una decina d’anni fa per gli impianti fossili – il rischio di stranded assets, ad esempio, in Italia è legato ai pozzi petroliferi e ai gasdotti – e che però comprende in maniera più estesa tutti quegli impianti che potrebbero non essere in grado di restituire le anticipazioni di capitali necessari per costruirli. Col rischio che il sistema ad esso legato, che sia la gestione dei rifiuti o le forniture energetiche, venga a propria volta ingolfato.

inceneritori forlì

In un ampio pezzo scritto dalla giornalista Marianne Gros, in passato reporter finanziaria presso With Intelligence (specializzata in finanza etica e conformità ESG), si analizza il sistema legato alla termovalorizzazione dei rifiuti, raccontato come il sistema più pratico per evitare il conferimento in discarica e che però in Europa, specie negli ultimi anni, è diventato un sistema che per alimentarsi, e produrre energia, ha bisogno di una produzione continua di rifiuti. In un’era in cui invece l’economia circolare preme per ridurre, riusare e riciclare sempre di più, dunque, continuare a puntare sull’economia lineare per la gestione dei rifiuti rischia di rendere l’UE dipendente dall’approvvigionamento delle materie prime anche per quanto riguarda i rifiuti. Un rischio che, secondo Politico, è concreto e che può essere evitato “soltanto” applicando in maniera puntuale le norme già esistenti. 

Leggi anche: lo Speciale sugli inceneritori

I rifiuti in Europa? Un problema irrisolto

L’approfondimento di Politico parte da un singolo impianto di termovalorizzazione, quello spagnolo di Gipuzkoa, dove ogni anno vengono condotti fino a 200mila tonnellate di rifiuti che generano abbastanza elettricità per alimentare 45mila case. Peccato che lo stabilimento di Gipuzko, scrive la giornalista Marianne Gros, “doveva essere un’alternativa ecologica alla discarica ma sta facendo il contrario”. La popolazione locale, infatti, ha accusato “i proprietari dell’impianto e il governo regionale di aver violato le leggi ambientali dell’Unione europea e di rilasciare livelli pericolosi di inquinamento nell’acqua, nell’aria e nel suolo circostanti”, avviando inoltre un procedimento penale. 

Una vicenda che, ricorda giustamente Politico, non è isolata e che ha anche stimolato un procedimento penale. “In tutta Europa – si legge ancora – centinaia di impianti di termovalorizzazione si sono moltiplicati nel corso degli anni, costruiti sulla promessa che la spazzatura in fiamme per generare elettricità è meglio per l’ambiente che seppellirla in una discarica. Ma gli studi affermano sempre più che l’inquinamento generato da queste strutture danneggia anche l’ambiente e la salute delle persone. L’UE, nel frattempo, ha ridotto in modo massiccio i finanziamenti per tali progetti, mentre i Comuni stanno ancora rimborsando il debito accumulato per finanziarli”.

Ed è proprio qui il punto principale dell’analisi di Politico. Lo stesso impianto spagnolo di Gipuzkoa, ad esempio, è stato finanziato con 80 milioni di euro di obbligazioni la cui data di rimborso è il 2047. L’impianto, in altre parole, deve continuare a funzionare per altri due decenni, indipendentemente dal costo ambientale, e sempre mantenendo l’attuale quota di rifiuti. Attualmente, secondo i calcoli di CEWEP, oggi in Europa sono attivi circa 500 impianti di termovalorizzazione, che da soli  bruciano circa un quarto della spazzatura quotidiana prodotta nel Vecchio Continente. 

Nonostante il riciclaggio abbia raggiunto in media nell’Unione Europea un tasso di circa il 40% (dati Eurostat), l’UE conferisce ancora in discarica più di 50 milioni di tonnellate di rifiuti urbani (dati 2023). Per diminuire tale quota, come è noto, si preferisce ricorrere all’antica pratica della combustione dei rifiuti, che però, da qualche anno, è stata “ammodernata” attraverso il teleriscaldamento. E ciò avviene nonostante le stessi leggi dell’UE, come ricorda Politico, “impongono alle aziende di dare priorità al riutilizzo e al riciclaggio rispetto all’incenerimento dei rifiuti e allo smaltimento in discarica”.

Leggi anche: Amager Bakke, la vera storia dell’inceneritore di Copenaghen

Gli inceneritori sono i nuovi stranded assets?

A questo punto del pezzo Marianne Gros ripercorre le funzioni e le criticità degli impianti di termovalorizzazione. Sono aspetti su cui ci siamo soffermati a lungo su EconomiaCircolare.com, per cui ci limitiamo a citarli e vi rimandiamo al nostro portale per ulteriori approfondimenti:

  • ricorrere alla combustione dei rifiuti vuol dire comunque aumentare le emissioni di CO2;
  • i rischi per la salute di chi vive vicino agli inceneritori sono sottovalutati, nonostante le continue rassicurazioni degli operatori degli impianti, tanto che le proposte popolari stanno crescendo (come insegna la vicenda romana di Santa Palomba);
  • sono diminuiti di molto i finanziamenti pubblici dell’UE per nuovi impianti di termovalorizzazione.
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Progetto dell’inceneritore di Roma presentato lo scorso 14 ottobre

Quest’ultimo punto è, nell’analisi di Politico, il più rilevante. “Molti impianti di termovalorizzazione richiedono già più rifiuti di quelli che tendono ad essere disponibili nell’area circostante” ricorda la testata. “A Copenaghen, ad esempio, il famigerato inceneritore della pista da sci della città, a sua volta finanziato attraverso un prestito di 30 anni, importa decine di migliaia di tonnellate di rifiuti dall’estero ogni anno per alimentare le sue fornaci. La Danimarca ha una sovraccapacità nel settore dell’incenerimento fino a 700mila tonnellate, secondo il suo ministero del clima e dell’energia. Il Paese sta già preventivamente cercando di coprire i costi degli inceneritori di rifiuti non necessari. Nel 2020 la Danimarca ha introdotto un piano per rendere verde il settore dei rifiuti, che includeva l’assegnazione di 200 milioni di corone danesi (26 milioni di euro) ai Comuni per coprire proprio gli stranded assets”. 

Insomma: puntare ora sugli inceneritori è un rischio economico, oltre che ambientale e sociale. Le agenzie che forniscono crediti, compreso il braccio ufficiale dell’UE, cioè la Banca Europea per gli Investimenti (BEI), da tempo hanno cominciato a chiudere i rubinetti su questo versante. La conferma a Politico arriva dalla stessa BEI, la quale aggiunge che  “ci sono stati molti casi in cui la banca ha rifiutato i finanziamenti per motivi finanziari o ambientali”. Bisogna comunque precisare che l’UE non esclude del tutto la possibilità di supportare la realizzazione di nuovi inceneritori. Come ricorda Politico, il Modernisation Fund è uno degli ultimi programmi di finanziamento dell’Unione Europea che sostiene chi vuole bruciare i rifiuti per produrre energia, e si rivolge soprattutto ai Paesi a basso reddito – dal 2021 ha versato poco meno di 2 miliardi di euro in progetti situati in Repubblica Ceca e in Polonia. 

Due paradossi in uno: si finanziano con un fondo legato alla modernizzazione impianti che nell’idea, e a volte anche nella realizzazione, sono vecchi – cosa c’è di più antico che bruciare i rifiuti – e lo si fa in Paesi a basso reddito, che invece avrebbero bisogno di maggiore supporto per uscire fuori dal predominio dell’economia combustiva – rifiuti e fossili. Resta il fatto, infine, che nonostante questi fattori, conclude Politico, “nuovi impianti di termovalorizzazione sono in lavorazione“.

Leggi anche: Gli inceneritori in Sicilia sono figli di un’economia che brucia

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