Nuove ambizioni, legate soprattutto alla sicurezza e all’incentivo delle industrie strategiche, richiedono nuove risorse. E così la Commissione europea ha messo nero su bianco una strategia per racimolare questi denari. È la proposta (COM(2025) 574 final) per una nuova decisione del Consiglio sul sistema delle risorse proprie dell’UE. Le risorse proprie, per chi non mastica il gergo di Bruxelles, sono quelle che entrano direttamente nel bilancio europeo, senza che ogni anno i singoli stati debbano autorizzarle. Tra le risorse proprie troviamo ad esempio parte dei dazi doganali, dell’IVA, degli introiti legati al sistema di scambio di emissioni (ETS) e la plastic tax. Proprio quest’ultima ci interessa qui. Anticipo che la Commissione intende alzare gli oneri carico degli stati membri. E che non sono mancate le critiche a questa decisione.
Un sistema di finanziamento rinnovato
“Il bilancio dell’UE mira a creare un valore aggiunto europeo per tutti e ciò richiede un finanziamento congiunto delle priorità comuni”, afferma la Commissione. L’introduzione di nuove risorse proprie “ridurrà l’onere per gli Stati membri e garantirà il finanziamento sostenibile delle politiche comuni dell’UE e il rimborso di NextGenerationEU”. E poi ci sono le crisi, dal Covid all’invasione dell’Ucraina: “Negli ultimi anni è diventato evidente che il bilancio dell’UE deve essere in grado di rispondere in modo più flessibile alle crisi e a un mondo in evoluzione”.
La Commissione propone quindi un nuovo sistema di finanziamento dell’UE basato su risorse proprie aggiuntive, minore dipendenza dal PIL degli stati e un meccanismo straordinario per fronteggiare le crisi future. Oltre all’aumento della plastic tax cui ho accennato, i nuovi affluenti del bilancio pubblico europeo sarebbero, secondo le intenzioni dell’esecutivo europeo, una tassa sulla quantità di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche non raccolte (2 €/kg basato sui dati Eurostat, con adeguamento annuale all’inflazione), una sul tabacco (TEDOR– Tobacco Excise Duty Own Resource, 15% sulle entrate), una “risorsa societaria per l’Europa (CORE – Corporate Resource for Europe, contributo forfettario annuale per grandi imprese con ricavi superiori a 100 milioni €, basato su scaglioni).
E arrivo alla plastic tax. Ma qui serve una precisazione.
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Quale plastic tax
È facile dire plastic tax. Ma le plastic tax di cui si parla sono in realtà di due tipi. E colpiscono soggetti diversi.
C’è infatti una plastic tax europea: introdotta dall’UE nel 2021 come risorsa propria del bilancio comunitario per incentivare il riciclo, ridurre i rifiuti plastici e finanziare il budget europeo (anche in sostituzione delle entrate mancanti post-Brexit) prevede che ogni stato membro versi all’UE 80 centesimi per ogni kg di rifiuti di imballaggi in plastica non riciclato. Si tratta quindi di una tassa a carico degli Stati, non direttamente di imprese o consumatori. Ma ovviamente ogni governo decide come reperire le risorse per saldare i conti con l’Europa: può riversarla in parte sui produttori di plastica o coprirla con fondi dalla fiscalità generale.
L’altra plastic tax è quella nazionale. In Spagna la “Ley 7/2022 de residuos y suelos contaminados para una economía circular” ha introdotto la plastic tax a partire dal 1° gennaio 2023: 0,45 euro per chilogrammo di plastica non riciclata contenuta in imballaggi non riutilizzabili a carico di chi produce, importa e acquista imballaggi in plastica monouso non riciclata (anche semilavorati). In Italia una plastic tax è stata prevista dalla Legge di Bilancio 2020 e, più volte rinviata, non è ancora entrata in vigore. Prevede che produttori, importatori o acquirenti di MACSI (manufatti con singolo impiego: oggetti in plastica monouso destinati a contenere, proteggere o manipolare merci o alimenti) versino 0,45 € per kg di plastica vergine contenuta nel prodotto.
La plastic tax UE è quindi un contributo che l’Italia e gli altri paesi UE pagano a Bruxelles in base al peso della plastica da imballaggio non riciclata. La plastic tax italiana sarebbe invece un’imposta diretta sulle imprese che producono o importano plastica monouso, con possibili effetti anche sui prezzi al consumo.
Cosa propone la Commissione
Oggi la plastic tax europea prevede un prelievo di 0,8 euro per ogni chilo di imballaggi in plastica non riciclati dagli Stati membri. Nel 2023 i ricavi complessivi sono stati pari a 7,2 miliardi di euro: il 4 % delle entrate totali dell’UE. Complice l’inflazione, “il gettito reale si è eroso rapidamente, riducendo l’efficacia dello strumento sia sul fronte delle entrate che su quello dell’incentivo ambientale”, rimarca la Commissione. Che propone quindi un rialzo della tariffa a 1 euro/kg a partire dal 2028, con un meccanismo automatico di adeguamento annuale all’inflazione.
L’obiettivo dell’esecutivo è duplice: da un lato assicurare entrate più consistenti e stabili per il bilancio dell’Unione, dall’altro spingere governi e imprese ad aumentare gli sforzi nel riciclo, così da ridurre i costi derivanti dalla mancata gestione della plastica.
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Le perplessità
La proposta non ha ricevuto grandi plausi. La filiera della produzione e trasformazione europea della plastica (European Plastics Converters-EuPC, Plastics Europe e Petcore Europe) ha lanciato l’allarme contro l’aumento del contributo: “Chiediamo alla Commissione europea e agli Stati membri di mantenere gli 0,80 centesimi/kg e di destinare i proventi della plastic tax Ue a un Fondo dedicato finalizzato alla costruzione di un’economia più circolare per la plastica”. Le associazioni fanno poi notare che la Commissione “dovrebbe presentare una valutazione d’impatto degli effetti dell’imposta, considerando i problemi di competitività della catena di valore della produzione di materie plastiche”. E ricordano anche come una relazione dalla Corte dei Conti europea (“Le entrate dell’UE basate sui rifiuti di imballaggio in plastica non riciclati”), abbia appurato che “gli Stati membri non sono adeguatamente preparati ad attuare il meccanismo delle risorse proprie legato ai rifiuti di imballaggio in plastica non riciclati. L’aumento della tassa in questa fase potrebbe non portare a miglioramenti ambientali, ma piuttosto scoraggiare gli investimenti nelle infrastrutture necessarie”.
Critico anche Paolo Glerean, consigliere Assorimap (Associazione nazionale riciclatori e rigeneratori di materie plastiche) e presidente di RecyClass (piattaforma europea per promuover il riciclo della plastica): “La risorsa è nata per coprire l’ammanco di fondi dovuto alla Brexit, ma nella sua progettazione è stato chiaro il disegno di fungere da incentivo per gli Stati membri nell’accelerare il percorso verso l’uso circolare delle plastiche, più segnatamente degli imballaggi plastici”. Ma a diversi anni dalla sua applicazione, “il vero tema non è l’innalzamento del valore euro/tonnellata del calcolo, ma il fatto che l’incentivo non sia stato colto dai Paesi membri. A costo zero, o con investimenti ridotti, avrebbero infatti potuto beneficiare di riduzioni nell’ammontare dei fondi trasferiti al budget della Commissione europea. Resta ancora un mistero capire anche perché i Governi nazionali non abbiano realizzato delle strategie specifiche per aumentare la raccolta e l’avvio a riciclo degli imballaggi plastici, il cui aumento avrebbe degli impatti di peso sul bilancio nazionale”. Non a caso la plastic tax nazionale sarà uno dei temi portati da Assorimap alla riunione sulla crisi dei riciclatori dell’8 ottobre presso il ministero dell’Ambiente. Glerean mi fa un esempio. Considerando che un solo impianto medio di riciclo di plastiche ha una taglia di circa 25mila tonnellate in ingresso, “alimentarlo in modo corretto e continuativo, agevolando il mercato di sbocco del materiale riciclato, consentirebbe al bilancio dello Stato un risparmio di 20 milioni di euro ogni anno” (con l’attuale valore di 80 centesimo per chilogrammo).

Sono critici anche gli ambientalisti. Aline Maigret, Responsabile delle politiche di Zero Waste Europe (ZWE), mi dice che “in teoria, una tassa sulla plastica può essere efficace se ben concepita. Ma quella attuale si basa su una motivazione sbagliata. È stata progettata per raccogliere fondi per il bilancio generale dell’UE, ma non ha fatto nulla per ridurre l’inquinamento da plastica o scoraggiare il consumo. Aumentare semplicemente l’aliquota non servirà, perché i difetti di progettazione e gli incentivi sbagliati rimangono”.
Una corretta tassazione e incentivazione hanno un ruolo importante nella lotta all’inquinamento da plastica e nell’accelerazione della transizione verso un’economia circolare, secondo ZWE. Ma fondamentali sono motivazione, progettazione, attuazione. “Una tassa sulla plastica funzionerà solo se concepita per influenzare il comportamento dei produttori e dei consumatori, piuttosto che per aumentare le entrate”, scriveva già nel 2018 l’associazione, che sul tema ha elaborato due report (entrambi del 2018: Research paper on a European tax on plastics; e, con Rethink Plastic Alliance, “The price is right … or is it? The case for taxing plastic” ).
Nei quali ha sottolineato possibili effetti perversi di forme di tassazione come questa: “Sebbene nel breve periodo una nuova tassa sulla plastica potrebbe generare entrate significative, fare affidamento su questo aspetto nel lungo periodo potrebbe portare a conseguenze perverse, come l’opposizione politica a un’azione ambiziosa per ridurre l’uso della plastica”. Meno plastica significherebbe infatti meno introiti.
Dall’introduzione, nel 2021, della plastic tax UE “la sua efficacia nel ridurre la quantità di rifiuti di plastica non riciclati è discutibile”, ragiona Zero Waste Europe. Questo perché le entrate “non sono state in alcun modo destinate a misure per la riduzione degli imballaggi in plastica non riciclati, ad esempio migliorando le rispettive infrastrutture di riciclaggio”. Non c’è quindi, lamenta ZWE, alcun legame tra lo strumento fiscale e l’impatto ambientale. E l’aumento proposto ad 1 euro per chilogrammo sconta lo stesso problema. Secondo l’associazione, una tassa efficace dovrebbe incoraggiare la “riduzione della plastica alla fonte”, invece di limitarsi a tassare i rifiuti già prodotti. E dovrebbe essere una tassa di scopo, con le entrate raccolte destinate a rafforzare la circolarità della filiera (investimenti in prevenzione, infrastrutture per il riutilizzo, riciclaggio di alta qualità).
Potenzialmente in vigore dal 2028
Le decisioni sulle risorse proprie dell’UE sono regolate dall’articolo 311 del TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione europea), che prescrive che il Parlamento dia il suo parere, ma non cambi il testo del Consiglio. È richiesta l’approvazione all’unanimità del Consiglio e la ratifica da parte degli Stati membri. Con queste premesse, l’entrata in vigore delle novità proposte dalla Commissione è prevista dal 1° gennaio 2028.
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