Come nasce una coscienza sociale ed ecologista all’interno di un territorio martoriato da scelte volte solo a salvaguardare il lavoro e non la salute? Lo ha raccontato Pierluigi Sanna, sindaco di Colleferro e vicesindaco della Città Metropolitana di Roma Capitale, nella video-intervista registrata nel corso di Intelligenza Circolare, l’evento internazionale organizzato lo scorso ottobre a Roma da ISIA Roma Design e dal magazine EconomiaCircolare.com.
Incalzato sullo sviluppo dei territori e il legame con l’economia circolare, Sanna ha parlato di tutela ambientale, diritto alla salute e diritto al lavoro, ma per comprendere appieno le sue parole è necessario fare un passo indietro.
L’inquinamento che ha segnato la storia di Colleferro
Come racconta lo stesso sindaco, nel 2005 scoppiò il caso della Valle del Sacco.
Secondo quanto riportato in un documento dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), l’emergenza socio-economico-ambientale scaturì dal rilevamento di concentrazioni di esaclorocicloesano superiori a quelle consentite dalla normativa comunitaria in un campione di latte prodotto dalle aziende presenti nel bacino del fiume Sacco. La contaminazione è stata messa in relazione all’utilizzo di foraggi coltivati lungo le sponde del fiume o comunque irrigati con le sue acque.
Il comprensorio industriale di Colleferro comprende sostanzialmente l’area di impronta dell’ex industria chimica SNIA-BPD che ha un’estensione pari a circa 1000 ettari e opera prevalentemente nella produzione di armi e munizioni e nel settore chimico (per la produzione di pesticidi ed altro). Ha iniziato la sue attività nell’area di Colleferro a partire dal 1913.
Come si legge ancora sul documento Ispra, “i risultati della caratterizzazione dei terreni per il SIN (Siti di interesse nazionale ai fini della bonifica, ndr) della Valle del Sacco, oltre all’esaclorocicloesano (HCH), hanno evidenziato elevate concentrazioni per alcuni metalli/metalloidi: arsenico, piombo, vanadio, rame, manganese e zinco”.
Tale situazione è stata rilevata sia nelle aree industriali, che in quelle urbane e nelle zone agricole ripariali in corrispondenza dell’alveo del fiume Sacco.
“A quel disastro ambientale − spiega Sanna − si aggiunse la scelta di modificare l’impianto della produzione industriale trasformando la città della fabbrica nella città dei rifiuti. Alla crisi occupazionale fu data una risposta abbastanza banale, quella dell’apertura della più grande discarica del Lazio dopo Malagrotta e di due inceneritori che hanno sempre funzionato molto male, all’interno del centro abitato, con svariati processi penali che hanno avuto proprio al centro delle inchieste reati di tipo ambientale”.
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La partecipazione popolare
“Tutto questo − ha proseguito − nei ragazzi e nella ragazze della mia generazione ha suscitato inevitabilmente un’indignazione, sviluppando una grande coscienza ecologica ed ecologista che nella prima fase è stata mal digerita e mal compresa anche da vasti strati della popolazione: ritenevano pericoloso questo grande movimento ambientalista perché in grado di mettere in discussione l’idea stessa della città-fabbrica“.
“Queste persone − conclude − hanno invece poi compreso, in larga parte, quanto quella battaglia fosse giusta, permettendo ai genitori e ai nonni di scendere in piazza insieme ai figli, e lo sviluppo di un largo movimento e di un coinvolgimento popolare di grandissimo livello”.
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