I costi sanitari derivanti dall’inquinamento della plastica ammontano, secondo una ricerca pubblicata su The Lancet, a circa 1,5 trilioni di dollari all’anno a livello globale. La crescente incidenza di malattie legate all’esposizione alla plastica, tra cui disturbi endocrini, malformazioni congenite, malattie cardiovascolari e problemi respiratori, è solo la punta dell’iceberg.
La crisi è globale e ha ovviamente caratteristiche diverse a seconda del contesto preso in esame.
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I numeri della plastica a livello globale
Nel 2020 circa 348 milioni di tonnellate di plastica sono state prodotte in tutto il pianeta, con una stima di crescita esponenziale della produzione nei prossimi decenni. L’inquinamento derivante da plastica, in particolare sotto forma di microplastiche, sta contaminando l’aria, il suolo, l’acqua e, di riflesso, il corpo umano. Le microplastiche, particelle di plastica di dimensioni inferiori a 5 millimetri, sono presenti nel sangue, nei polmoni e nel fegato di esseri umani e animali.

Inoltre plasticizzanti e composti chimici, usati in numerosi prodotti di uso quotidiano, rilasciano sostanze chimiche come ftalati e bisfenolo A (BPA), che possono penetrare nell’organismo sia attraverso il contatto diretto con dispositivi e imballaggi sanitari, sia in modo indiretto tramite l’ambiente contaminato (acqua, aria e catena alimentare).
Un peso per le economie globali
In Europa il settore sanitario produce ogni anno oltre 900.000 tonnellate di plastica monouso, di cui solo una piccola parte viene effettivamente riciclata. Questo modello di consumo contribuisce non solo alle emissioni di CO₂ e allo spreco di risorse, ma anche a un problema di salute pubblica che ormai è cronico. L’esposizione e l’ingerimento di queste sostanze sono associati a disturbi endocrini, malattie metaboliche come il diabete, e patologie neurologiche, condizioni che richiedono cure continuative e costose.
Le conseguenze non si limitano quindi al piano clinico individuale, ma si riflettono sull’intero sistema sanitario: si stima che i costi annuali legati agli effetti sanitari di ftalati e BPA in Europa ammontino a circa 157 miliardi di euro. Si tratta di una cifra che grava pesantemente sui bilanci pubblici, rappresentando un onere economico paragonabile a quello di altre grandi emergenze sanitarie. In questo senso la gestione non sostenibile delle plastiche monouso nel settore sanitario non è soltanto un problema ambientale, ma costituisce anche un fattore di rischio sanitario ed economico, amplificando la pressione già crescente sui sistemi sanitari nazionali.
Gli Stati Uniti: una realtà complessa
Negli Stati Uniti l’inquinamento da plastica rappresenta una minaccia sia per la salute pubblica che per l’economia. Ogni anno gli USA producono circa 35 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, con meno del 10% di questa plastica che viene effettivamente riciclata. Secondo una ricerca condotta dall’Environmental Protection Agency (EPA), le microplastiche sono ormai presenti anche nell’acqua potabile e negli alimenti consumati quotidianamente dalla popolazione statunitense. In particolare, gli Stati Uniti sono uno dei principali produttori di plastica monouso, con i rifiuti derivanti dalla plastica che contribuiscono significativamente all’inquinamento da microplastiche nelle acque marine e nei fiumi.
Oltre agli effetti sanitari, l’inquinamento da plastica ha anche un impatto negativo sulle economie locali, in particolare su quelle basate sull’agricoltura e la pesca. La plastica che finisce negli oceani danneggia le risorse ittiche, minacciando la sopravvivenza delle specie marine e mettendo a rischio la pesca commerciale. Inoltre i costi per la bonifica e la gestione dei rifiuti sono enormi, con stime che parlano di circa 6 miliardi di dollari all’anno spesi per la gestione dei rifiuti di plastica negli Stati Uniti.
I costi dell’inquinamento da plastica in Africa
In Africa l’impatto della plastica è ancora più marcato. Sebbene la produzione pro capite di plastica sia inferiore rispetto ai Paesi del nord globale, i costi sanitari e ambientali sono dieci volte superiori nei Paesi a basso reddito, principalmente a causa della scarsa gestione dei rifiuti e dell’assenza di infrastrutture adeguate per il riciclaggio. La plastica monouso è largamente diffusa, con conseguenze devastanti per la salute pubblica, tra cui un aumento delle malformazioni congenite, delle malattie respiratorie e dei disturbi neurologici.
Uno studio pubblicato sul Daily Nation, il quotidiano più letto in Kenya e in molte regioni africane, ha rilevato che l’inquinamento da plastica contribuisce in modo significativo agli aborti spontanei e alle malformazioni congenite, con un impatto diretto sul sistema sanitario nazionale.
L’Asia: un continente in crescita e a rischio
L’Asia, con la sua crescente industrializzazione e urbanizzazione, è uno dei principali epicentri dell’inquinamento da plastica. Secondo uno studio condotto dal Washington Post, circa 350.000 morti all’anno per malattie cardiovascolari sono direttamente legate all’esposizione agli ftalati.

In molti Paesi asiatici, dove la produzione e l’uso di plastica stanno aumentando a ritmi vertiginosi, le microplastiche sono diventate una minaccia crescente per la salute umana. Le ultime stime disponibili indicano che, nel 2018, circa il 75% dei decessi legati agli ftalati si sono verificati nell’Asia, nel Medio Oriente e nel Pacifico.
America Latina: inquinamento e gestione dei rifiuti
In America Latina e Caraibi l’inquinamento da plastica è una minaccia crescente. La regione continua a essere gravemente colpita da un’inadeguata gestione del conferimento dei rifiuti e da una forte dipendenza dalla plastica monouso.
Secondo il report condotto dalla National Library of Medicine, si generano ogni giorno quasi 17.000 tonnellate di rifiuti plastici gettati in discariche a cielo aperto, con una crescita esponenziale dei costi per i sistemi sanitari e danni gravi per gli ecosistemi.
I dispositivi legali e le possibili soluzioni
Il crescente impatto sanitario e ambientale della plastica richiede interventi urgenti e coordinati a livello globale. Le soluzioni devono concentrarsi sulla riduzione della produzione di plastica, sull’adozione di politiche di economia circolare e sul miglioramento della gestione dei rifiuti.
L’Unione Europea si è dotata di una serie di politiche per ridurre l’uso della plastica monouso e incentivare il riciclaggio. In particolare attraverso la Direttiva (UE) 2019/904 sui prodotti di plastica monouso (Single-Use Plastics Directive). È una normativa fondamentale che vieta o limita l’immissione sul mercato di alcuni prodotti in plastica monouso (cannucce, posate, piatti, agitatori, bastoncini per palloncini, etc.), introduce requisiti di marcatura, obblighi di responsabilità del produttore (Extended Producer Responsibility – EPR), e obiettivi di raccolta separata. Oppure il regolamento sugli imballaggi che sostituisce la Direttiva 94/62/CE sui rifiuti di imballaggio, rafforzando i requisiti per gli imballaggi, incluso un maggiore uso di materiale riciclato e regole più stringenti sugli imballaggi compositi, cercando di migliorare la circolarità complessiva.
Negli Stati Uniti, l’amministrazione Biden- Harris aveva approvato diversi dispositivi legali che attualmente sono messi in discussione dalla seconda presidenza Trump: il National Strategy to Prevent Plastic Pollution (EPA), la Strategia nazionale ufficiale dell’EPA per la prevenzione dell’inquinamento da plastica, che delinea obiettivi a lungo termine per ridurre i rifiuti plastici, migliorare design, riciclo, gestione e rimozione della plastica dall’ambiente; il Fact Sheet Biden-Harris che illustra gli impegni presi dall’amministrazione federale per eliminare l’uso di plastica monouso (food service, eventi, imballaggi ecc.).
Nel continente africano alcuni Paesi stanno agendo per contrastare l’inquinamento da plastica e limitarne i costi sanitarie ed economici: in Nigeria, l’Extended Producer Responsibility (EPR) sui materiali plastici obbliga i produttori, importatori, distributori e venditori di imballaggi plastici a farsi carico di parte della gestione dei rifiuti (riciclo, uso di materiali riciclabili, uso di contenuto riciclato minimo); in Sudafrica sono state emanate leggi che vietano l’uso di microperline plastici (“microbeads”) nei cosmetici, nei prodotti per la cura personale, pesticidi ecc., con nuove bozze regolatorie pronte per la consultazione pubblica; il Kenya già dal 2017 ha varato una legge che proibisce la produzione, importazione e uso di sacchetti di plastica leggeri, con pene severe (multe e sanzioni, anche detentive) per i trasgressori. Secondo Greenpeace 34 Paesi africani hanno emanato leggi che normano e contrastano il proliferare dei sacchetti di plastica.
In Asia molti governi hanno introdotto leggi per ridurre la plastica monouso: in Thailandia, dal gennaio 2020 è vietata la distribuzione gratuita di sacchetti nei grandi supermercati, un passo che ha cambiato le abitudini dei consumatori (SEA Circular). Il Paese ha inoltre adottato la Plastic Waste Management Roadmap 2018-2030, che ha introdotto il bando di microperline e plastica oxo-degradabile già nel 2019 e la progressiva eliminazione di altri articoli monouso; La Malaysia ha lanciato nel 2018 la propria Roadmap Towards Zero Single-Use Plastics 2018-2030, che prevede ricerca, incentivi e misure normative per accompagnare la transizione verso alternative sostenibili; le Filippine hanno approvato una legge sulla Responsabilità Estesa del Produttore (EPR), che obbliga le aziende a gestire i rifiuti plastici generati dai loro prodotti e a finanziare sistemi di raccolta e riciclo; in Indonesia, diverse città hanno introdotto tasse sui sacchetti e l’isola di Bali ha vietato sacchetti monouso, cannucce e contenitori in polistirolo per proteggere mare e territorio; a Hong Kong è attivo il Plastic Shopping Bag Environmental Levy Scheme, un sistema di tassazione per ridurre l’uso di shopper e incentivare comportamenti più sostenibili.
Misure importanti che costituiscono grandi passi avanti, ma non bastano ancora. La plastica non è solo un’emergenza ecologica e sanitaria, è un nemico silenzioso dell’economia reale, che mina la sicurezza alimentare, riduce la competitività dei settori primari e mette a rischio il futuro delle economie costiere e agricole.
C’è ancora fiducia per un trattato globale sulla plastica?
L’attesa sul trattato globale sulla plastica, di cui si discute dal 2023, si sta pian piano affievolendo. E con essa la speranza di giungere a un accordo, specie dopo il recente fallimento del sesto round negoziale di Ginevra.
Il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) ha fatto sapere che l’Intergovernmental Negotiating Committee (INC) incaricato dall’ONU di gestire i lavori “ha deciso di riprendere i negoziati in una data futura da annunciare”. Ma a questo punto c’è chi dubita che dopo più di due anni di trattative un’altra riunione dell’INC sia la via per arrivare ad un documento vincolante che interessi tutto il ciclo di vita della plastica.
Gli interessi delle compagnie di produzione della plastica, delle lobbies fossili e di molti governi (tra cui l’Italia) coincidono: il massimo accordo sul quale puntano è l’introduzione di una serie di misure per combattere la dispersione. Come se già tali norme non esistessero. Mentre invece, come ci dimostrano i dati che abbiamo riportato in tutto il pezzo, le varie e complesse situazioni dimostrano che nel tentativo di un nuovo accordo globale (a maggioranza o all’unanimità) bisognerebbe ripartire dall’economia circolare. E dunque, in ordine di priorità: riduzione, riuso e riciclo.
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