Si riparte, sperando questa volta di raggiungere ai tempi supplementare l’obiettivo finora mancato di un trattato sulla plastica, possibilmente ambizioso come le condizioni richiedono. Dopo il giro a vuoto dell’ultimo incontro del Comitato intergovernativo di negoziazione (INC-5) a dicembre a Busan (Corea del Sud) la nuova sessione di lavoro (INC-5.2) prende il via domani, e fino al 14 agosto, a Ginevra.
I lavori dell’ultimo incontro si sono concentrati su una bozza – il “Chair’s Non-Paper” – sviluppata dopo consultazioni di alto livello dalla presidenza del Comitato e rivista due volte; e si sono conclusi con un “Chair’s Text” che i delegati hanno concordato di utilizzare come base per il ciclo di negoziati che inizia domani. Secondo l’International Institute for Sustainable Development (IISD), questa bozza “lascia spazio a un trattato ambizioso, anche se permangono importanti punti di stallo. I Paesi sono ancora divisi sulla portata del trattato, soprattutto per quanto riguarda la limitazione della produzione di plastica e la regolamentazione delle sostanze chimiche che destano preoccupazione”. Un limite alla produzione di plastica e il bando ad alcuni additivi (sostanze come plastificanti, ritardanti di fiamma, antiossidanti, stabilizzanti UV usate per dare ai polimeri le proprie caratteristiche) son infatti i temi più spinosi delle trattative, quelli sui quali è inciampata ogni forma di accordo.
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Perché c’è bisogno di un trattato globale sulla plastica
Produciamo sempre di più plastica, soprattutto per realizzare prodotti usa e getta e soprattutto utilizzando combustibili fossili e prodotti chimici pericolosi. E ne ricicliamo pochissima. “Il rapido aumento dei livelli di inquinamento da plastica rappresenta un grave problema ambientale globale che incide negativamente sulle dimensioni ambientale, sociale, economica e sanitaria dello sviluppo sostenibile”, afferma il Programma delle nazioni unite per l’ambiente (UNEP). In uno scenario di business-as-usual e in assenza di interventi necessari, secondo l’UNEP, la quantità di rifiuti di plastica che entra negli ecosistemi acquatici “potrebbe quasi triplicare, passando da circa 9-14 milioni di tonnellate all’anno nel 2016 a 23-37 milioni di tonnellate all’anno entro il 2040”. Ogni giorno, l’equivalente di 2.000 camion della spazzatura pieni di plastica viene scaricato negli oceani, nei fiumi e nei laghi del mondo. E Inger Andersen, direttrice esecutiva del programma, afferma che “non riusciremo a uscire dalla crisi dell’inquinamento da plastica con il riciclo: abbiamo bisogno di una trasformazione sistemica per realizzare la transizione verso un’economia circolare”.
Il problema, come i lettori di EconomiaCircolare.com sanno, non è la plastica in sé. Ancora l’UNEP: “Nonostante la plastica abbia molti usi preziosi, siamo diventati dipendenti dai prodotti di plastica monouso, con gravi conseguenze ambientali, sociali, economiche e sanitarie”. I dati sono sconcertanti: nel mondo, ogni minuto vengono acquistate un milione di bottiglie di plastica, mentre ogni anno vengono utilizzati fino a cinquemila miliardi di sacchetti di plastica. In totale, la metà di tutta la plastica prodotta è destinata al monouso: viene usata una sola volta e poi gettata via.
Oggi produciamo a livello mondo circa 400 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica all’anno, e meno del 10% viene riciclato. Circa il 36% di tutta la plastica prodotta viene utilizzata per gli imballaggi, compresi i prodotti di plastica monouso per i contenitori di alimenti e bevande, di cui circa l’85%, se si considera l’intero pianeta, finisce in discarica o abbandonato. Inoltre, oltre il 98% dei prodotti in plastica monouso è prodotto a partire da combustibili fossili, ed è quindi un pezzo importante della crisi climatica.
E poi ci sono i rischi legati alla filiera produttiva, da quelli chimici (vedi ad esempio il PVC) agli inquinanti rilasciati nell’aria, oggetto del recentissimo rapporto di Greenpeace (Every Breath You Take: Air Pollution Risks from Petrochemicals Production for the Plastics Supply Chain).
Ecco perché nel marzo 2022, i Paesi dell’Assemblea delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEA) hanno adottato una risoluzione per avviare i negoziati su uno strumento internazionale giuridicamente vincolante per porre fine all’inquinamento da plastica, anche nell’ambiente marino. La risoluzione ha istituito un Comitato intergovernativo di negoziazione (INC), che si è riunito più volte per cercare di trovare un accordo. L’Ultima in Corea
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Cosa è andato storto in Corea
Le delegazioni dei 175 Paesi riunite in Corea del Sud per il quinto (che avrebbe dovuto essere l’ultimo) incontro del Comitato Intergovernativo di Negoziazione (INC-5) non sono riuscite a sciogliere i nodi dirimenti a causa dell’ostruzionismo dei petrostati. Durate l’ultima plenaria sono stati plasticamente evidenti due blocchi. Da una parte le delegazioni di Messico e Ruanda, che parlando a nome di quasi 100 Paesi hanno chiesto un trattato forte, che includa articoli sulla produzione, sulle plastiche pericolose e sulle sostanze chimiche rischiose. Dall’altra i Like-Minded Countries (Paesi che la pensano allo stesso modo) capitanati da Arabia Saudita, Iran e Russia. In plenaria è il Kuwait a parlare a nome loro denunciando presunti “tentativi di estendere” il mandato della risoluzione dell’UNEA oltre i suoi limiti: “Non siamo qui per porre fine alla plastica in sé… ma all’inquinamento da plastica”.
In quei giorni, tre negoziatori dei Paesi più decisi ad un trattato forte hanno dichiarato a POLITICO che l’Arabia Saudita stava coordinando una spinta da parte dei Paesi ricchi di petrolio e produttori di plastica “per bloccare qualsiasi proposta di trattato che minacciasse di ridurre la produzione di plastica”.
La questione del consensus
Le questioni procedurali hanno avuto un ruolo cruciale nelle precedenti riunioni del Comitato, e non senza ragione. I negoziati delle Nazioni Unite si svolgono per “consensus”, cioè all’unanimità. “Uno strumento che dà un incredibile potere a una minoranza di bloccare il processo o di trascinare la maggioranza al minimo comune denominatore”, ha spiegato ai tempi dell’INC-5.1 Joan Marc Simon, fondatore di Zero Waste Europe. Le parti possono decidere per consenso di lavorare a maggioranza, utilizzando il voto e spuntando così le armi degli ostruzionisti. “Questo spiega perché, nella prima sessione dell’INC che si è tenuta in Uruguay nel 2023, invece di discutere delle politiche sulla plastica, gli ostruzionisti hanno aperto la discussione sul regolamento interno. Il 75% dell’INC-2 a Parigi è stato dedicato alle regole procedurali; e, nell’INC3 a Nairobi, i negoziati sui contenuti sono stati ritardati a causa dei tentativi di tutte le parti di cambiare o mantenere il processo decisionale”.
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“Più chiarezza e trasparenza nelle decisioni”
Dopo il fallimento di Busan, le parti hanno cercato di oliare le procedure per evitare un nuovo buco nell’acqua che questa volta potrebbe decretare il naufragio delle ambizioni di un trattato forte. A fine gennaio si è tenuto uno dei passaggi intermedi verso la nuova sessione negoziale. il Bureau del Comitato – l’organo responsabile della gestione e del coordinamento dei lavori – si è riunito per mettere a punto i dettagli organizzativi dei lavori che partono domani. La riunione – alla quale ha partecipato anche la Direttrice esecutiva dell’UNEP, Inger Andersen – ha decretato la necessità di migliorare l’organizzazione del lavoro, la trasparenza e la comunicazione tra le delegazioni per garantire il successo dei negoziati. In particolare è emersa la necessità di una maggiore chiarezza nell’organizzazione del lavoro, nella programmazione e nelle modalità decisionali. È stata sottolineata l’importanza di una maggiore trasparenza, del miglioramento della condivisione delle informazioni e del coordinamento. Si è discusso sull’importanza di consultazioni inclusive con tutte le regioni e di stabilire un flusso di lavoro chiaro tra i gruppi di contatto e le sessioni informali. È stata anche ribadita l’importanza del coinvolgimento nei negoziati delle organizzazioni della società civile.
Le coalizioni in campo
Fin dalle prime trattative, nel 2022, è emersa una frattura tra le economie produttrici di petrolio e i Paesi che più autenticamente intendono contrastare l’inquinamento da plastica: questi ultimi che puntano a ridurre la produzione globale di polimeri, e quindi i rifiuti, i primi invece vorrebbero che il trattato di occupasse solo della corretta gestione e del riciclo.
Da una parta quella che si è battezzata come High Ambition Coalition: oltre 60 Paesi co-presieduti da Norvegia e Ruanda (grande assente l’Italia) che spingono per un trattato che affronti l’intero ciclo di vita della plastica, compresi alcuni aspetti della produzione, della progettazione dei beni e della gestione dei rifiuti. E che miri a porre un tetto alla produzione e a prevedere limiti per i prodotti chimici preoccupanti impiegati come additivi.
Dall’altra parte il Like-Minded Group (Gruppo di chi la pensa allo stesso modo) composto da Paesi come Arabia Saudita, Russia, Iran, Cuba, Cina e Bahrein le cui economie dipendono dall’estrazione di quei carburanti fossili che servono proprio a produrre la stragrande maggioranza dei polimeri. Questa coalizione chiede invece un accordo focalizzato sulla gestione e sul riciclo dei rifiuti, coi singoli Paesi che stabiliscono i propri obiettivi. Netta l’opposizione a limiti alla produzione.
Poi ci sono i Paesi meno industrializzati, come quelli del Sud globale, che sono colpiti in modo sproporzionato dall’inquinamento da plastica nonostante contribuiscano relativamente poco al problema. E sono spesso vittime del colonialismo dei rifiuti: e lì (in Malaysia, Vietnam, Indonesia, …) che l’Occidente ricco e industrializzato esporta i propri rifiuti che non sa gestire, anche se molti di questi Paesi non hanno le infrastrutture per trattarli correttamente. Come sintetizza IIDS, la priorità di questi Paesi è la ricerca di sostegno finanziario e tecnico.
E come si posizionano big come USA e Cina?
Prima di imporre un bando nel 2018 la Cina ha assorbito la maggior parte dei rifiuti di plastica del mondo; oggi è il più grande produttore ed esportatore mondiale di prodotti in plastica. Durante le trattative “ha mostrato interesse nell’affrontare l’inquinamento, ma ha anche sottolineato la necessità di flessibilità nell’attuazione, in particolare per le economie in via di sviluppo”, spiega ancora IISD.
Gli Stati Uniti sono stati storicamente cauti nell’imporre tetti di produzione vincolanti, privilegiando l’innovazione e la gestione dei rifiuti rispetto a limiti rigidi sulla produzione di plastica.

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Il peso delle lobby
Non si dà trattativa multilaterale globale senza l’ingombrante (e molesta) presenza di lobbysti. Come abbiamo raccontato a proposito delle COP sul clima con la campagna Clean the COP, chi fa gli interessi delle imprese della plastica e delle energie fossile non cambia mestiere solo perché partecipa ai lavori del Comitato intergovernativo di negoziazione.
Dalla prima sessione di lavori a Punta del Este, Uruguay, nel 2022, fino a quella coreana del dicembre 2024, forse la sola cosa su cui avremmo potuto scommettere è l’aumento del numero di lobbysti accreditati a partecipare ai lavori. Un’analisi del CIEL (Center for International Environmental Law) supportata da Greenpeace, Beyond Petrochemicals, International Pollutants Elimination Network (IPEN), and Break Free From Plastic, ha fatto emergere che già a Nairobi (INC-3) i lobbisti erano oltre 140, il 36% in più di Parigi (INC-2). A Ottawa sono stati quasi 200. A Busan, INC‑5, i lobbisti costituiscono la delegazione più numerosa, superando persino quella del paese ospitante, la Corea del Sud (140 delegati), e ampi blocchi negoziali come l’Unione Europea (191) o i piccoli stati insulari del Pacifico (89).
E i numeri non dicono tutto. CIEL ha segnalato anche molteplici denunce su intimidazioni, interferenze verso scienziati indipendenti e pressioni alle delegazioni nazionali affinché sostituiscano esperti tecnici con rappresentanti pro‑industria.
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L’apertura dei lavori
Più di 3.700 partecipanti si sono registrati per partecipare all’INC-5.2, in rappresentanza di 184 Paesi e oltre 619 organizzazioni di osservatori.
“L’inquinamento da plastica è già in natura, nei nostri oceani e persino nei nostri corpi. Se continuiamo su questa traiettoria, il mondo intero annegherà nell’inquinamento da plastica, con conseguenze enormi per la salute planetaria, economica e umana”, ha dichiarato Inger Andersen, direttrice esecutivo dell’UNEP. “Ma questo non deve essere il nostro futuro. Insieme, possiamo risolvere questa sfida. Concordare un testo di trattato è il primo passo per sconfiggere l’inquinamento da plastica per tutti, ovunque”.
“Oggi siamo qui per adempiere a un mandato internazionale. Questa è un’opportunità unica e storica per la comunità internazionale di colmare le differenze e trovare un terreno comune. Non è solo un banco di prova per la nostra diplomazia, è un banco di prova per la nostra responsabilità collettiva di proteggere l’ambiente, salvaguardare la salute umana, consentire economie sostenibili e stare in solidarietà con coloro che sono più colpiti dalla crisi dell’inquinamento da plastica”, ha dichiarato Luis Vayas Valdivieso, presidente dell’INC.
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