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Uno sguardo accademico ed esperto sulle semplificazioni (o presunte tali) della Commissione europea. Andreas Rasche è professore e preside associato della Copenhagen Business School, si occupa di ESG e sostenibilità aziendale. In due recenti interventi su LinkedIn mette in evidenza i limiti delle iniziative legislative dalla Commissione guidata da Ursula von der Leyen.
Vediamoli.
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10 lezioni sulle semplificazioni
La spinta dell’UE a semplificare i regolamenti sulla sostenibilità è ben avviata, afferma Rasche: siamo in effetti a sei pacchetti Omnibus più altri in arrivo (l’Omnibus ambientale, un altro sull’agricoltura e uno ancora sull’energia). “Stiamo entrando in una fase decisiva – ricorda – con il Parlamento che negozierà la sua posizione a settembre/ottobre e il trilogo finale previsto per novembre e dicembre. È un buon momento per riflettere”. E allora cosa possiamo imparare da quanto è accaduto? Nel primo dei post di cui vi vogliamo parlare, Rasche mette nero su bianco 10 lezioni, non esaustive, che offrono un punto di partenza per la discussione.
Eccole:
- Evidenze, non politica. “Raramente i regolamenti nascono perfetti”, avverte. Ogni regolamento richiede correzioni nel tempo, ma la spinta della Commissione von der Leyen II a “semplificare” è statata arrivata prima di avere dati concreti sull’attuazione delle norme. Senza un’analisi empirica sui risultati, quindi, il processo ha assunto un carattere politico, più che tecnico, minando la credibilità dell’intervento.
- Oltre la soglia occupazionale. Rasche critica la scelta, apparentemente tecnica, di usare il numero di dipendenti di un’azienda come criterio principale per gli obblighi di rendicontazione. Questo, afferma, crea distorsioni. Settori ad alto impatto ambientale, come agricoltura e immobiliare, rischiano infatti di essere esclusi, mentre altri meno centrali per la transizione ecologica restano vincolati.
- Comunicare il valore, non solo i costi. Le direttive CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) e CSDDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive) oggetto delle innovazioni normative proposte dall’esecutivo Ue sono state raccontate soprattutto come un costo di conformità. “Fin dall’inizio non è stata prestata sufficiente attenzione al valore strategico aziendale di direttive come la CSRD e la CSDD”, scrive il docente della Copenhagen Business School. Una narrazione che, in questo modo, ha oscurato i benefici strategici, come una maggiore competitività sostenibile, esponendo le norme alle critiche di chi le considera un freno economico.
- Partire dal livello tecnico. Le prime bozze della revisione degli European Sustainability Reporting Standards (ESRS) hanno provato, secondo Rasche, che si può semplificare in modo efficace intervenendo su indicatori e metodi. Tuttavia, la Commissione ha scelto di modificare subito le direttive, alimentando il sospetto che dietro la semplificazione ci fosse una logica politica. “Se l’obiettivo è davvero la semplificazione, il processo dovrebbe iniziare a livello tecnico/operativo e poi, se necessario e in base a prove, avviare ulteriori aggiustamenti a livello di direttive”.
- Definire meglio i problemi. Il pacchetto Omnibus ha parlato genericamente di riduzione degli “oneri” e di maggiore “competitività internazionale”, senza spiegare in che modo le regole attuali ostacolassero davvero le imprese. Questa vaghezza rischia di intaccare la legittimità della riforma, riflette Rasche.
- Allineare le normative. “I diversi strumenti legislativi europei sulla sostenibilità erano pensati per integrarsi, ma sono entrati in vigore in tempi sfasati”. Così il sistema ha chiesto alle imprese e ai mercati dati che ancora non erano disponibili. Ad esempio, viene ricordato come il Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR) è diventato applicabile agli operatori dei mercati finanziari nel marzo 2021, ma alcuni dei dati aziendali standardizzati necessari non erano ancora disponibili. “Questo ha creato confusione, frustrazione e ha minato la fiducia nel quadro normativo”.
- Fornire linee guida chiare. Molte aziende si sono trovate ad affrontare regole vaghe e indicazioni tardive o non vincolanti, che però a volte sono state interpretate come obbligatorie, sottolinea. “Sebbene all’inizio ci si aspetti una certa ambiguità, dato che le normative si evolvono attraverso la pratica, la parte sorprendente è stata la mancanza di indicazioni tempestive e autorevoli”. Mancanza di chiarezza che ha fatto crescere i costi e la frustrazione.
- Evitare linguaggi manipolativi. “Fin dal primo giorno, le revisioni normative sono state inquadrate come una ‘semplificazione’. Tuttavia, è apparso subito chiaro che la semplificazione è stata usata come eufemismo per tagliare i costi e deregolamentare, ed è stata abbinata alla ‘competitività’ per razionalizzare cambiamenti che alcuni attori politici avevano in agenda da tempo”. Questo linguaggio secondo Rasche ha generato cinismo e ha ridotto la trasparenza del dibattito pubblico, rendendo più difficile un confronto sul merito delle proposte.
- Il processo conta quanto la sostanza. La Commissione ha giustificato l’urgenza della riforma rinunciando a una valutazione d’impatto e riducendo le consultazioni con i soggetti interessati: imprese, cittadini, scienziati. La mancanza di un processo trasparente ha eroso la fiducia, tanto da spingere la Moderatrice europea ad aprire un’inchiesta (leggere anche più avanti).
- Guardare al valore, non solo ai costi. Finora il dibattito si è concentrato soprattutto sulle spese di adeguamento legate alle norme ambientali e di rendicontazione non finanziaria. Ma la rendicontazione e la due diligence “apportano una serie di benefici ben documentati: da una gestione del rischio più solida a una maggiore fiducia degli investitori e a una resilienza a lungo termine”. Sebbene i costi siano una preoccupazione legittima, i politici dovrebbero dare l’esempio e sottolineare l’obiettivo più ampio: creare un valore sostenibile che duri nel tempo.
“Il processo Omnibus – sottolinea il professore della Copenhagen Business School – è un’occasione per migliorare, e non per annullare, le regole dell’UE in materia di sostenibilità. Ma per avere successo, la semplificazione deve essere radicata nelle evidenze, comunicata con onestà e guidata da un processo che guadagni fiducia”.

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I dubbi (irrisolti) posti dalla Mediatrice europea
Il secondo recente intervento di Rasche riguarda la risposta scritta della Commissione alle questioni poste dal Mediatore europeo. A causa delle semplificazioni, infatti, come abbiamo raccontato, la Commissione europea è finita nel mirino del Mediatore. In particolare l’Omnibus I, il pacchetto legislativo adottato lo scorso febbraio: otto organizzazioni della società civile, tra cui ClientEarth, Global Witness e Friends of the Earth Europe, hanno denunciato presunte irregolarità procedurali, sostenendo che l’esecutivo comunitario avrebbe eluso le proprie linee guida sullla better regulation. La Commissione ha risposto prima durante un incontro e poi con un documento scritto. Ma le risposte, secondo Rasche, non fugano i dubbi.
Tre i punti chiave della risposta:
- Il richiamo alla conformità. La Commissione sottolinea che le Better Regulation Guidelines sono uno “strumento interno” e non un obbligo giuridico vincolante. Dunque, non vi sarebbe stata alcuna violazione formale.
- Assenza di valutazione d’impatto. Per giustificare la mancata analisi, Bruxelles cita la pressione competitiva, il peggioramento del contesto di sicurezza e le difficoltà di applicazione di CSRD e CSDDD. Tuttavia, non spiega come questi fattori abbiano reso necessario un intervento immediato e di ridimensionamento delle norme.
- Mancanza di consultazione pubblica. La Commissione sostiene che, senza valutazione d’impatto, le linee guida consentono di rinunciare a una consultazione. Anche in questo caso, l’urgenza viene usata come giustificazione, senza offrire elementi concreti.
Nel complesso, afferma Rasche, “le argomentazioni mi sembrano molto ‘scarne’. La risposta ribadisce che la Commissione aveva legalmente il diritto di fare ciò che ha fatto e che le forze esterne richiedevano un’azione urgente, senza tuttavia specificare i legami tra queste forze e la necessità di semplificazione.
Spetta ora alla Mediatrice europea valutare il caso e giungere a una conclusione”.

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