Oggi paesi, città e scuole si riempiranno di giovani e grandi volontari intenti a mettere a dimora alberi e a cercare di curare quelli che già risiedono in parchi, giardini e spazi verdi. Una vera e propria festa che attraversa la penisola in occasione della Giornata Nazionale degli Alberi, un appuntamento istituito per legge e che ricorre ogni 21 novembre con lo scopo di invitarci ad una riflessione profonda sul nostro rapporto con il capitale naturale più prezioso di cui disponiamo.
Una ricorrenza che, anno dopo anno, assume un’urgenza sempre maggiore, stretta tra la retorica delle celebrazioni e la cronaca di un Paese flagellato da eventi climatici estremi, consumo di suolo, disconnessione (per molte persone) dalla biodiversità. Ondate di calore, siccità e alluvioni non sono più eccezioni, ma la nuova, drammatica, normalità nella quale milioni di persone vivono circondati da cemento, senza nemmeno più riuscire a ricordare il rumore del vento che passa tra le fronde.

In questo scenario, gli alberi non sono semplici elementi del paesaggio (sulla cui vita litigare in qualche gruppo facebook di quartiere), ma la prima e più potente “infrastruttura tecnologica” che dovremmo imparare davvero a valorizzare sia per il ruolo chiave nella mitigazione del cambiamento climatico, ma anche per tutti i servizi ecosistemici che boschi, foreste urbane e aree verdi ben gestiti possono donare a chi vive il territorio.
Tutto ciò ci impone di analizzare dati e formulare considerazioni a partire da una visione globale. Secondo l’ISPRA e la FAO, le foreste rivestono un ruolo cruciale: 1,5 miliardi di persone nel mondo – soprattutto popoli indigeni – dipendono dalla foresta. In particolare, ogni albero «assorbe anidride carbonica, contribuendo a mitigare l’effetto serra, e restituisce ossigeno all’atmosfera», oltre a regolare il microclima e il ciclo dell’acqua attraverso le radici e le ampie chiome.
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Il paradosso italiano: più foreste, ma più fragili
Il nostro Paese è tra i più “forestali” d’Europa: con quasi 11 milioni di ettari di boschi (circa un terzo del territorio nazionale), le foreste rappresentano un’autentica infrastruttura verde fatta di conifere, querceti e castagneti di montagna. Tale patrimonio naturale è uno straordinario serbatoio di carbonio, ma anche, come ricordato da Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, nel 2022, «generatore di un valore sociale ed economico da capitalizzare tramite una pianificazione adeguata». Purtroppo, tra burocrazia e carenza di risorse, solo una piccola parte di queste foreste è gestita con criteri di sostenibilità.
Secondo i dati del report di Legambiente “La bioeconomia delle foreste” 2025” risulta che appena il 18% sia inserito in piani di gestione regionale o locale e soltanto il 10% circa sia certificato PEFC / FSC. Di conseguenza, l’Italia dipende dall’estero per oltre l’80% del suo fabbisogno di legname e semilavorati – un primato negativo in Europa che ha spinto imprese e istituzioni a un cambio di passo.
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I dati dell’Atlante delle Foreste aiutano a comprendere la complessità
Un’analisi dettagliata dello stato di salute del nostro patrimonio arboreo emerge dalla quinta edizione dell’Atlante delle Foreste, il rapporto 2025 sui dati 2024 curato da Legambiente e AzzeroCO2, che fotografa un’Italia a due velocità. Da un lato, il Paese accelera sul verde, con un bilancio decisamente positivo: nel corso del 2024 sono stati messi a dimora oltre 3 milioni di nuovi alberi, facendo registrare un incremento del 31% rispetto all’anno precedente. Questo imponente sforzo di forestazione è capace di generare un ritorno economico stimato in oltre 20 milioni di euro l’anno in servizi ecosistemici, come la mitigazione climatica e la tutela della biodiversità.
Tuttavia, il rapporto evidenzia dinamiche complesse e divergenti. A trainare questa crescita sono principalmente le Città metropolitane che, grazie all’impulso decisivo dei fondi del PNRR, stanno trasformando le aree urbane e periurbane. In testa alla classifica si posizionano Messina (con oltre 357.000 nuove piante) e Roma (con più di 265.000), dimostrando come i finanziamenti pubblici siano il vero motore della forestazione nazionale. Al contrario, si registra un rallentamento da parte delle Regioni, con ben otto di esse in una fase di stallo dovuta alla transizione burocratica tra i vecchi Piani di Sviluppo Rurale (2014-2022) e i nuovi Complementi Regionali (2023-2027). Ancora più marcata è la frenata del settore privato: gli investimenti volontari delle imprese sono crollati del 72%.

Il report, però, chiarisce che non si tratta di un calo di interesse, ma di una diversificazione delle strategie di responsabilità sociale d’impresa che ora privilegiano interventi più ampi di ripristino degli ecosistemi, superando il semplice conteggio degli alberi piantati. Infine, l’Atlante lancia un monito cruciale: non basta piantare: bisogna garantire la sopravvivenza. La crisi climatica minaccia i nuovi impianti, rendendo indispensabile una pianificazione attenta, la scelta di specie resilienti e una manutenzione costante, come irrigazioni di soccorso e sfalci. Solo un approccio lungimirante può trasformare la forestazione in una vera e propria infrastruttura verde a beneficio duraturo della collettività.
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Dalla celebrazione all’azione: valorizzare significa anche gestire, usare, trasformare in modo intelligente
Celebrare gli alberi oggi non può limitarsi a pubblicare un post sui social media o alla messa a dimora di una piantina: richiede una presa di coscienza collettiva e una visione politica chiara. La Giornata Nazionale degli Alberi può essere quindi sì una giornata di festa, ma anche un momento per riflettere su come superare la visione romantica e puramente conservativa del bosco per abbracciare un approccio integrato. Proteggere le foreste di alto valore naturalistico è un dovere, ma lo è altrettanto promuovere una gestione forestale attiva che crei valore economico, sociale e ambientale. Ciò significa investire in formazione per operatori forestali, semplificare la burocrazia che ostacola i piani di gestione, incentivare le certificazioni di sostenibilità e, soprattutto, creare una filiera “bosco-legno” realmente nazionale.
Utilizzare il legno dei nostri boschi per la bioedilizia, per l’arredamento e per la produzione di biomateriali innovativi non solo ridurrebbe la nostra dipendenza dall’estero e le emissioni legate ai trasporti, ma creerebbe posti di lavoro nelle aree interne e montane, contrastandone lo spopolamento e quindi trasformando un “problema” (la foresta non gestita) in una risorsa strategica.
Le nostre foreste non sono un museo a cielo aperto, ma un’infrastruttura viva e produttiva, il cuore pulsante di una futura economia decarbonizzata e circolare. È tempo di imparare a coltivarle, non solo ad ammirarle.
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