Cosa hanno in comune un vecchio passeggino, una libreria “Billy” e una pila di DVD? Sono i protagonisti silenziosi di una rivoluzione gentile che, giorno dopo giorno, si sta diffondendo online, su piattaforme che abbiamo imparato a conoscere bene: i gruppi Facebook del tipo “Te lo regalo se vieni a prenderlo”. Un fenomeno che, nato quasi in sordina, rappresenta oggi un tassello fondamentale dell’economia circolare praticata, un modello di consumo alternativo che merita un’approfondita analisi non solo per la sua efficacia nella lotta alla riduzione dei rifiuti, ma anche per le profonde dinamiche psicologiche e sociali che lo alimentano. Siamo andati a curiosare tra migliaia di annunci per stilare una classifica (senza pretesa di una classifica puntuale ma quanto meno indicativa) degli oggetti maggiormente donati, scoprendo che dietro ogni regalo si nasconde una storia di sostenibilità, di lotta allo spreco e un rinnovato senso di comunità.
Dal “butta via” al “dona a chi serve”: il cambio di paradigma
Fino a pochi anni fa, il destino di un oggetto non più utilizzato era segnato: la cantina, il solaio e, infine, il cassonetto. Oggi, grazie alla digitalizzazione e ad una crescente coscienza ecologica, si è affermato un modello alternativo basato su una logica tanto semplice quanto potente: ciò che per me è un ingombro, per altre persone può essere una risorsa. Questa è l’essenza dell’economia del dono 2.0, una forma di sharing economy iperlocale e non monetizzata che allunga il ciclo di vita dei prodotti e crea valore sociale.
Sebbene già una rapida analisi consentisse di individuare le tipologie di oggetti più donate, abbiamo deciso di farci aiutare da uno strumento esterno. Per riuscire ad esaminare le migliaia di flussi di regalo, abbiamo sfruttato un software di intelligenza artificiale che ha fornito un quadro abbastanza completo e sicuramente interessante. Approfondendo la frequenza delle offerte, emerge uno scenario definito e, per certi versi, sorprendente che fotografa le nostre abitudini di consumo e le nostre necessità di liberarci del superfluo. Ecco le categorie su cui potreste trovare di tutto o quasi (ovviamente gratis).
1. Il regno incontrastato dell’abbigliamento e dei tessili
Non c’è competizione: vestiti, scarpe e accessori sono la categoria regina del dono. La ragione è un mix letale di fattori. In primis, il modello della fast fashion ci spinge ad acquistare continuamente capi a basso costo e di breve durata che saturano i nostri armadi. A questo si aggiungono le naturali variazioni di taglia e, soprattutto, l’inarrestabile crescita dei bambini: tutine, scarpine e vestitini, usati per pochi mesi, passano di famiglia in famiglia concretizzando un virtuoso passamano che unisce risparmio e sostenibilità. Il basso valore di rivendita della maggior parte dei capi usati rende la vendita online uno sforzo sproporzionato rispetto al guadagno. Regalare in blocco questi capi diventa, quindi, la soluzione più pratica, veloce e gratificante. Non è un caso che, secondo i report di settore, i prodotti tessili rappresentino una delle frazioni più abbondanti tra i rifiuti urbani e, al contempo, tra i beni donati alle associazioni.
2. Libri, dvd, cd: la cultura fisica che cerca una nuova casa
Al secondo posto troviamo i supporti fisici dell’intrattenimento e della cultura: scatoloni di libri, intere collezioni di DVD e vecchi CD sono un classico degli annunci di dono. La causa è evidente: la transizione al digitale. E-reader, piattaforme di streaming musicale e video hanno reso questi oggetti ingombranti e, per molti, obsoleti. Tuttavia, a differenza di altri beni, libri e compact disc hanno un forte valore affettivo e buttarli è un gesto che a molti ripugna. Il dono diventa quindi la soluzione perfetta: permette di liberare spazio prezioso in casa senza il senso di colpa di distruggere un oggetto “colto”, affidandolo a qualcuno che possa dargli una seconda vita. È la stessa logica che anima iniziative come il bookcrossing, ma su una scala domestica e massiva.
3. Articoli per l’infanzia: il dono di alto valore (pratico)
Passeggini, trio, seggiolini auto, seggioloni, lettini e, naturalmente, montagne di giocattoli: questa categoria, strettamente legata alla crescita dei figli, ha un’importanza cruciale. Si tratta di oggetti dal costo iniziale spesso elevato, ma con un ciclo di vita utile estremamente breve. Tutti i genitori conoscono il valore pratico di un passeggino in buone condizioni o di un seggiolino auto a norma. Regalare articoli come questi non è solo un modo per svuotare la cantina, ma un gesto di grande solidarietà verso altre famiglie. Inoltre, l’ingombro e la rapida evoluzione delle normative di sicurezza (pensiamo ai seggiolini auto) rendono la conservazione a lungo termine poco pratica, spingendo le persone ad una rapida ricollocazione dei modelli in loro possesso.

4. Mobili di medie dimensioni: la logistica del “vieni a prenderlo”
Analizzando questo ambito entriamo nel cuore della formula “te lo regalo se vieni a prenderlo”. I mobili più donati sono quelli che rappresentano il perfetto incrocio tra “troppo ingombrante da buttare” e “abbastanza maneggevole da trasportare”. In testa troviamo le librerie (come il modello “Billy” o il “Kallax” di IKEA che primeggiano come icone indiscusse), scrivanie, sedie spaiate, comodini, cassettiere e reti a doghe. Smaltire un mobile in discarica ha un costo sia di natura economica legato a smontaggio e trasporto sia in termini di fatica. Per evitare tali spese si può quindi decidere di offrire “in cambio” i mobili perfezionando così un baratto di convenienza che funziona a meraviglia. Pezzi più grandi come cucine complete o armadi a sei ante sono meno frequenti (ma non troppo). Il problema qui è che ci si prenota con più difficoltà, perché la logistica del ritiro diventa un ostacolo insormontabile per la maggior parte delle persone.
5. Casalinghi e piccoli elettrodomestici: l’era dell’upgrade
Servizi di piatti ereditati, doppi set di bicchieri ricevuti come dono di matrimonio, piccoli soprammobili che non si abbinano più all’arredo (o ai nostri gusti), un vecchio microonde sostituito con un modello più nuovo, il frullatore che non usiamo mai, la stampante funzionante che, però, richiede cartucce costose: questa è la categoria dei regali indesiderati, dei traslochi imminenti e, soprattutto, del ciclo continuo di upgrade tecnologico. C’è una crescente consapevolezza che molti fra questi oggetti, se gettati, diventano RAEE (Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche), una delle tipologie di rifiuto più inquinanti e difficili da gestire. Donare un elettrodomestico ancora funzionante è una scelta ecologica attiva, un modo concreto per contrastare l’obsolescenza percepita e dare un contributo tangibile all’economia circolare.
Oltre l’oggetto: le motivazioni profonde dell’economia del dono
Se la classifica degli oggetti ci dice cosa regaliamo, l’analisi delle motivazioni ci spiega perché lo facciamo facendo emergere un affascinante intreccio di pragmatismo, psicologia ed etica.
- La liberazione dallo spazio (e dalla mente): il potere del decluttering. La spinta a donare nasce spesso da un’esigenza pratica: fare spazio. Il fenomeno del decluttering, reso popolare da figure come Marie Kondo, ha anche una forte componente psicologica. Liberarsi del superfluo è un atto catartico, un modo per mettere ordine non solo in casa, ma anche nella propria vita. Il dono accelera questo processo, eliminando l’ostacolo della vendita.
- Sostenibilità praticata: un antidoto allo spreco. Regalare è l’espressione più semplice e diretta dei principi dell’economia circolare: estendere la vita utile di un prodotto, evitare che diventi rifiuto e ridurre la necessità di produrne di nuovi. Chi dona compie un gesto di responsabilità, sentendosi parte attiva di un sistema più sostenibile che, dal basso, rappresenta una risposta concreta alla cultura dell’usa e getta.
- Il valore dell’altruismo e il legame di comunità. Non va sottovalutato il warm glow, quella sensazione di calore e gratificazione che deriva dal compiere un’azione altruistica. Sapere che il proprio vecchio passeggino aiuterà neo-genitori in difficoltà (o semplicemente chi crede in forme di baratto asincrono) o che i propri libri allieteranno le serate di una studentessa ha un valore inestimabile. Gruppi social così contribuiscono a creare un tessuto sociale, un senso di mutuo aiuto iperlocale che rafforza i legami di comunità.
- La sconfitta dello sforzo: quando regalare è più conveniente che vendere. Infine, (potremmo dire “purtroppo”) c’è una logica economica ferrea: per oggetti di basso valore residuo, lo sforzo richiesto per vendere (scattare foto, scrivere annunci, gestire trattative, spedire) è nettamente superiore al potenziale guadagno. Il dono azzera i costi di transazione e risolve il problema in modo immediato. È la vittoria della praticità.
La circolarità inconsapevole: il valore di ciò che facciamo (senza saperlo)
Forse, il gesto più rivoluzionario delle persone che partecipano a questi gruppi è far parte di un movimento circolare, senza saperlo. Chi dona la sua vecchia scrivania su un gruppo Facebook raramente pensa di essere un attore dell’economia circolare. Quasi nessuno scrive nell’annuncio “Partecipo attivamente alla riduzione dei rifiuti a monte ed allungo il ciclo di vita dei prodotti“, anche se è esattamente ciò che sta facendo. La motivazione primaria è quasi sempre pragmatica: la liberazione di uno spazio fisico e mentale (senza volerlo abbandonare per strada, perché purtroppo c’è ancora chi lo fa come “prassi”), la convenienza di evitare la fatica e i costi dello smaltimento. Il beneficio ambientale e sociale è una conseguenza, un’esternalità positiva tanto potente quanto non dichiarata.
Questo apre un tema cruciale: la consapevolezza. Cosa accadrebbe se questo enorme esercito di donatori e beneficiari prendesse piena coscienza del proprio ruolo di agenti di cambiamento? Se ogni rete a doghe regalata fosse percepita non solo come un ingombro in meno, ma come un misurabile contributo alla riduzione dei rifiuti ingombranti? Parliamo di un’economia circolare “sommersa”, un flusso virtuoso di materia che sfugge alle statistiche ufficiali ma che, se quantificato, mostrerebbe un impatto ambientale ed economico sbalorditivo. La vera sfida, dunque, non è solo creare nuove filiere di riciclo o modelli di business circolari, ma anche illuminare e valorizzare le pratiche virtuose che già esistono, trasformando un’abitudine dettata dalla convenienza in una scelta consapevole, orgogliosa e, soprattutto, contagiosa. È qui che si gioca la partita per rendere la sostenibilità non un’imposizione dall’alto, ma un gesto naturale, integrato nella nostra quotidianità.

Un nuovo paradigma di consumo?
A margine vi è un’altra riflessione che forse dovremmo fare: l’economia del dono 2.0 non è un fenomeno di nicchia, ma un modello di consumo consolidato e in crescita che dimostra che la circolarità può essere alimentata dal basso, con strumenti accessibili a tutti. È un sistema che ridefinisce il concetto di valore: non è il prezzo a decretare il valore di un oggetto quanto la sua utilità residua ed è quindi essenziale evitare che un oggetto ancora utilizzabile diventi un rifiuto. In un mondo che cerca disperatamente soluzioni alla crisi climatica e all’eccesso di produzione, guardare cosa accade in un semplice gruppo Facebook può offrire lezioni preziose su come costruire, un dono alla volta, un futuro più sostenibile e solidale.
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