Cinquantasei organizzazioni della società civile europea — in gran parte ONG ambientali, reti per la sostenibilità, associazioni per i diritti dei consumatori e gruppi attivi nella lotta contro l’inquinamento e la crisi delle risorse — hanno firmato una lettera indirizzata ai vertici della Commissione Europea per esprimere una forte preoccupazione: il futuro Circular Economy Act (CEA), la norma che regolamenterà la circolarità (e la competitività) dell’economia continentale, rischia di poggiare unicamente sulla base giuridica del mercato interno, affermano, senza riconoscere adeguatamente la dimensione ambientale della transizione circolare.
Tra i 56 firmatari troviamo, tra gli altri, ECOS-Environmental Coalition on Standards, Environmental Bureau (EEB), RREUSE, Zero Waste Europe, e poi associazioni nazionali e internazionali di ambientalisti, organizzazioni attive nella tutela dei diritti dei bambini, gruppi per la trasparenza e la responsabilità delle imprese, e rappresentanti del mondo accademico e della ricerca, come la Vienna University of Economics and Business. I destinatari sono invece Teresa Ribera, vice presidente esecutivo per la “Clean, Just and Competitive Transition”, Stéphane Séjourné, vice presidente esecutivo per “Prosperity and Industrial Strategy” e la Commissaria per l’ambiente, Jessika Roswall. Limitare la base giuridica esclusivamente al mercato unico con un riferimento al solo articolo 114 TFUE del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Treaty on the Functioning of the European Union), scrivono le associazioni “crea una lacuna strutturale, non fornendo il mandato giuridico adeguato necessario per affrontare in modo completo la dimensione ambientale della questione in esame”.
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Perché la “dual legal basis”
Secondo le organizzazioni firmatarie, utilizzare come unica base giuridica per il Circular Economy Act l’articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, cioè la norma che disciplina il Mercato Interno europeo – rischia di essere inadeguato e fuorviante rispetto all’obiettivo ambientale e sistemico della normativa.
Questi, in particolare, gli argomenti espressi nella lettera:
- La transizione verso un’economia circolare non è solo un affare di mercato: non riguarda semplicemente l’armonizzazione delle regole per materiali di seconda mano, riciclaggio e scambio entro il mercato interno, ma un cambiamento sistemico volto a ridurre pressioni ambientali, consumo di risorse, produzione di rifiuti e impatti sull’ecosistema. Escludere la dimensione ambientale nella base giuridica significa ignorare la ragione d’essere ambientale della “circular economy”;
- Dal punto di vista istituzionale e politico, l’inserimento del progetto all’interno del più ampio Clean Industrial Deal testimonia che l’intento del CEA non è solo economico, ma profondamente ecologico e strategico;
- I precedenti: molte delle direttive e regolamentazioni europee che riguardano rifiuti, imballaggi, batterie e gestione dei materiali — eredi delle politiche del Circular Economy Action Plan (CEAP I e II) — sono state adottate con una doppia base giuridica (mercato e ambiente) oppure esclusivamente su base ambientale, quando la componente ambientale era dominante;
- Esiste inoltre un obbligo normativo, sancito dall’articolo 11 del TFEU, che impone che la protezione dell’ambiente sia integrata in tutte le politiche dell’Unione Europea; questo implica che una legge sulla circolarità — intrinsecamente ambientale — non può basarsi soltanto sul mercato.
Le organizzazioni sottolineano che una base giuridica “dual” – cioè che combini l’articolo 114 TFEU (mercato interno) con una norma ambientale come l’articolo 192 – è fondamentale per garantire coerenza politica e solidità legale del futuro atto.
Cos’è la “base giuridica” nell’ordinamento dell’UE (e perché conta)
Nel diritto dell’Unione Europea, ogni atto legislativo deve essere fondato su una o più “basi giuridiche”, cioè articoli dei trattati che autorizzano la Commissione e il Parlamento (o il Consiglio) a legiferare.
L’articolo 114 TFEU è la base giuridica tradizionalmente usata per normative che riguardano il mercato interno: armonizzazione delle regole tra Stati membri, regolamentazione di beni e servizi, libera circolazione, concorrenza, standard comuni. Mentre l’articolo 192 TFEU (o altre norme ambientali) fornisce la base per legiferare su questioni legate all’ambiente, alla tutela delle risorse naturali, alla protezione dell’ambiente, clima, biodiversità, gestione dei rifiuti, prevenzione dell’inquinamento.
Quando una proposta normativa persegue sia obiettivi di mercato sia obiettivi ambientali — come nel caso della circolarità — i giuristi e le parti in causa spesso ritengono necessario combinare le due basi: questo assicura che la legge sia pienamente legittimata a intervenire in entrambe le dimensioni e garantisce che l’ambito ambientale non venga “secondario” rispetto a quello economico.
Nel caso del Circular Economy Act, per le organizzazioni firmatarie è precisamente questo approccio “misto”, mercato più ambiente, che rispecchia la natura duale della transizione circolare: da un lato creazione di un mercato di materie seconde e riciclate; dall’altro protezione ambientale, riduzione dei rifiuti, gestione sostenibile delle risorse.
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Cosa si rischia se prevale solo il mercato
Le organizzazioni evidenziano che usare solo la base del mercato interno comporterebbe una sottovalutazione della dimensione ambientale, che per definizione è al centro della circolarità. Si correrebbe il rischio di vedere il Circular Economy Act come un semplice regolamento di mercato (per lo scambio e la circolazione di materiali secondari), anziché un atto strategico di sostenibilità.
Saremmo poi davanti ad un precedente pericoloso: ignorare la prassi consolidata, in cui molte direttive ambientali e del ciclo dei rifiuti sono state adottate con base ambientale o mista. Col rischio di indebolire l’efficacia delle misure, renderle più vulnerabili a contenziosi, limitare la portata delle norme in ambito ambientale.
Per questo la lettera firmata dalle 56 organizzazioni rappresenta un richiamo chiaro: se l’UE vuole che il Circular Economy Act non sia solo un esercizio di armonizzazione del mercato, ma una vera legge di transizione verso un’economia più sostenibile, allora deve dotarsi di una doppia base giuridica — economica e ambientale — che rifletta la natura duplice dell’obiettivo: mercato e ambiente, crescita e sostenibilità.
L’appello non è meramente tecnico-giuridico: è politico e simbolico. Affidare la legge solo a una norma di mercato significherebbe relegare l’ambizione ambientale a “effetto collaterale”, piuttosto che riconoscerla come motivo fondante. In un momento storico in cui la crisi climatica, la scarsità di risorse e la pressione sui sistemi naturali richiedono risposte strutturali, fare della base giuridica un elemento secondario sarebbe un segnale pericoloso.
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