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lunedì, Dicembre 16, 2024

“Nucleare, tutti i motivi per dire no”. Intervista a Gianni Silvestrini

Dalle scorie al rischio proliferazione ai posti di lavoro ai costi: il direttore scientifico del Kyoto Club ci racconta perché ritiene che il nucleare non sia la soluzione per la transizione ecologica e la decarbonizzazione dell’economia

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Redazione EconomiaCircolare.com

La battaglia della Francia ha avuto successo e il nucleare entrerà come tecnologia sostenibile nella tassonomia europea: sarà dunque finanziabile anche con  fondi europei. Il dibattito tra favorevoli e contrari si è riacceso anche in Italia, stimolato dai frequenti riferimenti del ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani, che all’energia dell’atomo “di nuova generazione”, pur nel rispetto del referendum, non ha mai chiuso le porte. E in effetti, gli italiani hanno bocciato due volte il nucleare coi referendum (1987 e 2011), ma il nucleare di oggi è lo stesso di allora? E se quello di oggi (la famosa “quarta generazione” o il micro nucleare) fosse meno pericoloso e meno inquinante, non varrebbe la pena ripensarci?

Ne abbiamo parlato con Gianni Silvestrini, una delle voci più autorevoli dell’ambientalismo nostrano, un passato da ricercatore e da direttore generale al ministero dell’Ambiente, oggi direttore scientifico del Kyoto Club, di QualEnergia, presidente onorario del Coordinamento FREE (Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica) e di Exalto.

Ingegner Silvestrini, si parla sempre più spesso, Cingolani in testa, di Small modular reactors.Ci aiuti a capire: Sono già installabili e ‘pronti all’uso’? Hanno senso economicamente? A parità di energia, producono meno scorie di una centrale? E la sicurezza?

Naturalmente non si possono fare stime, perché dobbiamo vederne alcuni in funzione. Resta il fatto che, senza una grande capacità produttiva, gli SMR non possono ottenere le riduzioni teoriche dei costi necessarie a compensare la mancanza di economie di scala. Ma senza la riduzione dei costi, non ci sarà il gran numero di commesse per stimolare gli investimenti necessari per impostare la filiera.

Sono stati fatti diversi annunci, ma difficilmente si vedrà una centrale in funzione in questo decennio (a parte la centrale russa galleggiante Akademik Lomonosov).

Sul fronte delle scorie, vengono dichiarati minori rischi, ma c’è chi teme, se questi impianti dovessero diffondersi, essendo di piccola scala 2-300 MW, rischi di proliferazione di materiali radioattivi utilizzabili per armi atomiche.

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Allora forse meglio puntare sui reattori di IV generazione che, a quanto pare, sarebbero più sicuri e produrrebbero meno scorie?

Ne parleremo quando saranno testati e si potranno valutare prestazioni e costi.

TerraPower, la società di tecnologie innovative per l’energia nucleare fondata e presieduta da Bill Gates, ha annunciato di aver individuato la sede del primo reattore dimostrativo sviluppato con la tecnologia proprietaria Natrium (sviluppata insieme con Hitachi). Che innovazioni porta questo progetto, per quello che se ne sa al momento?

Sia l’impianto dimostrativo che la prima serie di impianti commerciali Terra Power funzioneranno con uranio “a basso arricchimento ad alto dosaggio”, cioè appena al di sotto della definizione ufficiale di uranio altamente arricchito, ma ben al di sopra del livello del combustibile di uranio utilizzato nelle centrali nucleari attualmente in funzione. Cioè proprio uno dei motivi di preoccupazione che l’arricchimento nucleare iraniano possa portare alla bomba atomica.

Sul fronte dei costi si prevedono investimenti per 4 miliardi di dollari per l’impianto da 345 MW, con un finanziamento del dipartimento dell’Energia. Sempre che non succeda la stessa dinamica che ha travolto gli ultimi impianti nucleari negli Usa ed Europa che hanno visto una fortissima accelerazione dei costi.

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La nuova generazione del nucleare avrà bisogno di meno risorse idriche? Sarà più compatibile con un territorio a rischio sismico e idrogeologico come il nostro?

Ovviamente, essendo un reattore nucleare, occorrerebbe un’attenta analisi dei territori per trovare un sito adatto. Operazione non semplice, anche dal punto di vista del consenso sociale.

Questo decennio sarà, in tutto il mondo, il decennio delle rinnovabili, come dimostrano i programmi di molti paesi ma soprattutto l’evoluzione del mercato. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia nei prossimi cinque anni il 95% della nuova potenza elettrica nel mondo sarà verde. Se anche i nuovi reattori all’inizio del prossimo decennio dimostrassero affidabilità, dovrebbero competere con le rinnovabili che generano a prezzi bassissimi, anche considerando i costi degli accumuli.  Too late.

A proposito di consenso sociale, finora la discussione italiana sul deposito delle scorie nucleari non ha visto un solo Comune pronto a farsene carico: è un elemento di cui tener conto in vista di un possibile ritorno al nucleare o è dettata da una paura atavica del nostro Paese verso questa forma di energia?

Dopo vent’anni dalla costituzione di Sogin, non si ha ancora idea di dove localizzare il deposito di scorie, e per iniziare a smantellare le centrali sono stati già spesi 4,2 miliardi €. E questo è un grosso problema.  Ma ci fa capire come l’eventuale localizzazione di un nuovo reattore non sarebbe una passeggiata.

I rifiuti delle centrali nucleari sono radioattivi ma sono volumetricamente molto molto pochi. Ingegner Silvestrini, questo è davvero un buon motivo per non scegliere il nucleare?

Il problema, come già detto, è che ancora non si riesce a rendere operativo un cimitero per le scorie a livello mondiale.

In realtà, per i paesi che hanno compiuto la scelta nucleare, quello della chiusura delle centrali e dello smaltimento delle scorie sarà un costoso rompicapo che durerà per molti decenni, o secoli.

La Germania ha stanziato 38 miliardi di euro per smantellare 17 reattori nucleari e la UK Nuclear Decommissioning Authority stima che la bonifica dei 17 siti nucleari del Regno Unito costerà tra i 109‒250 miliardi di euro nei prossimi 120 anni. Paradossale la situazione negli Usa, dove non si ha la minima idea del luogo in cui costruire il deposito nucleare, dopo l’abbandona del sito di Yucca Mountains. E intanto viene pagato mezzo miliardo di dollari all’anno alle utility per il semplice mantenimento del combustibile radioattivo presso le centrali perché non si sa dove metterlo. Le scorie nucleari americane si stanno così accumulando in oltre 75 siti in 35 stati.

Insomma, quello dello smaltimento delle scorie sarà un bel rompicapo per i paesi che hanno fatto questa scelta.

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Costruire una centrale crea migliaia di posti di lavoro: In Francia 220.000 persone lavorano nel settore. Non è un buon motivo per scegliere questa fonte energetica?

Intanto chiariamo che parliamo degli occupati anche nel settore militare. In un discorso del dicembre 2020 Macron è stato chiaro: “Senza nucleare civile, non ci sarebbe la potenza atomica e senza la potenza militare atomica non ci sarebbe il nucleare civile”.

Questa commistione tra nucleare civile e nucleare, del resto, non riguarda solo la Francia, ma anche il Regno Unito, la Russia, gli Stati Uniti, la Cina, l’India, il Pakistan, Israele e la Corea del Nord.

Del resto, la forte presenza del nucleare ha limitato in Francia il contributo delle rinnovabili che hanno raggiunto solo il 23,4% nel 2020.

E va ricordato che Areva, società francese costruttrice di reattori, a seguito del fortissimo incremento dei costi e dell’incredibile slittamento dei tempi di realizzazione delle centrali di Olkiluoto e Flammanville, è stata prossima al fallimento.

Sul fronte delle rinnovabili ci sono 1,5 milioni posti di lavoro in Europa. Al 2030 si prevede un forte aumento degli occupati verdi, con 740.000 occupati solo nel solare.

Il Green Deal europeo punta sulle rinnovabili, che però richiedono grandi superfici: per ottenere la stessa energia di un reattore EPR servono 100 chilometri quadrati di solare fotovoltaico, ci dicono i fautori dell’atomo. Abbiamo abbastanza terreni, in Italia e in Europa, per soppiantare le fonti fossili e sostenere la transizione ecologica? 

Molti paesi europei si sono dati obiettivi ambiziosi e puntano a raggiungere il 60-80% di elettricità verde al 2030. I paesi del Nord possono contare sull’eolico, anche con parchi eolici off-shore da centinaia di megawatt (MW) realizzati a decine di km dalla costa. L’Europa meridionale pensa ad un mix eolico-solare con una percentuale più elevata di fotovoltaico. L’Italia, ad esempio vuole passare dai 22 GW solari attuali a 64 GW alla fine del decennio. Se volessimo realizzare su suolo agricolo 20 GW, servirebbe lo 0,1- 0,2% della superficie agricola totale italiana. In realtà, secondo molte stime, si potrà installare sull’edilizia e su aree industriali, cave e discariche abbandonate, una quantità molto rilevante si solare, riducendo quindi la pressione sul suolo agricolo.

Ora che il nucleare è entrato nella tassonomia, non è opportuno cogliere la palla al balzo dei finanziamenti che potrebbero abbattere i costi di produzione?

Intanto ricordiamo che la quota di elettricità nucleare nel mondo è in continua riduzione, dal 17,5% nel 1996 al 10,1% nel 2020. Le nuove centrali atomiche sono infatti diventate sempre più care e in alcuni paesi gli impianti esistenti faticano a reggere la concorrenza delle rinnovabili e del metano. Questo è il caso degli Stati Uniti, il Paese leader con 94 reattori in funzione, dove ben 39 impianti hanno già chiuso. E, malgrado nel 2021 siano stati stanziati sei miliardi di dollari per evitare altre dismissioni, alcune società ritengono questo supporto ancora insufficiente.

Ma se i vertici della commissione Ue hanno incluso il nucleare (insieme al gas) nella tassonomia è anche perché le rinnovabili sono fluttuanti, hanno bisogno di storage. La tecnologia oggi è matura per offrire uno stoccaggio adeguato, sia giornaliero che stagionale?

La corsa alle batterie è partita. In Germania, ne sono state installate 300.000 corrispondenti a 2,3 GWh. E la tendenza è verso taglie sempre più elevate, come dimostra il sistema di accumulo da 400 MW/1,600 MWh realizzato vicino a San Francisco e diverse altre grandi batterie previste negli Usa, in Australia e in altri paesi.  Naturalmente si sta lavorando anche sugli accumuli di lunga durata, come l’idrogeno verde da conservare in stoccaggi strategici tal quale o convertito in metano (P2G).

Per quanto riguarda il piccolo nucleare, vedremo nel prossimo decennio se saranno stati sviluppati reattori commerciali e a quale prezzo. Mettere soldi adesso nel nucleare per l’Italia non sembra molto saggio, mentre dovremmo impegnarci sul fronte di soluzioni innovative come l’eolico off-shore, sugli accumuli, sull’idrogeno.

Altro problema delle rinnovabili: pannelli fotovoltaici, batterie, inverter… Abbiamo sufficienti materie prime? Non rischiamo, con l’estrazione, di fare peggio del nucleare?

In realtà è partita la realizzazione di una formidabile industria del recupero e riciclaggio che riguarda il solare, l’eolico, le batterie.  In questo modo sarà possibile ridurre la richiesta di materie prime.  Inoltre, l’innovazione tecnologica consente di eliminare i composti più a rischio, come sta succedendo con la nuova generazione di batterie LFP (Litio Ferro, Fosfato) che non utilizzano cobalto e nichel.

Mentre l’approvvigionamento di uranio crea non pochi problemi ambientali e sanitari, come ci ricorda la situazione del Niger.  E dovremmo parlare dei problemi di smaltimento delle scorie nucleari che hanno impedito in mezzo secolo di ricavare un cimitero di scorie negli Usa.

Il recente salasso delle bollette energetiche, mitigato dal governo, non conferma la necessità di un’indipendenza energetica dell’Italia? E il nucleare non potrebbe essere il più prezioso alleato?

Su questo punto occorre fare chiarezza.

L’impennata della domanda di energia all’uscita dalle restrizioni imposte dalla pandemia, combinata con una ridotta fornitura di gas sul mercato globale ha provocato un’incredibile impennata dei prezzi.  Ma questo è dovuto anche al fatto che l’Europa non ha corso sufficientemente sul fronte delle rinnovabili, un dato che vale particolarmente per l’Italia.

Secondo Stefano Donnarumma, amministratore delegato di Terna, “La soluzione vera che dobbiamo raggiungere in Italia è quella di produrre energia autonomamente e l’unico modo per farlo nel breve e medio termine, 5-7 anni, è quello di installare molta energia rinnovabile, fotovoltaico ed eolico, e abilitare la rete. Se invece di produrre il 35% di energia rinnovabile, oggi se ne producesse il 65%, l’impatto sulla bolletta sarebbe stato pari a meno della metà. Sono convinto che fra 15-20 anni il costo dell’energia per gli italiani sarà equivalente a pagare la tassa dei rifiuti, ovvero non spenderemo più soldi per la materia prima”.

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