mercoledì, Dicembre 3, 2025

ATP finals, vince il grande tennis ma anche i grandi inquinatori

A fare da sfondo alla finale tra Jannik Sinner a Carlos Alcaraz sono le pubblicità di imprese che fanno affari con le fonti fossili di energia, che guadagnano alimentando la crisi climatica

Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Giornalista ambientale, redattore di EconomiaCircolare.com e socio della cooperativa Editrice Circolare

Spero ieri sera ieri abbiate assistito al match tra Sinner e Alcaraz: da appassionato e tifoso non esperto è stata una bella finale. Dopo 2 ore e 15 minuti di bel tennis Jannik Sinner, come saprete, ha vinto le ATP finals 2025 e confermato il titolo. Dal mio punto di vista solo una stonatura, valuterete voi se grande o piccola, solo una “stecca” ha appannato la bella serata torinese: il grande spazio pubblicitario concesso a imprese che contribuiscono ad alimentare la crisi climatica. Stecca ancor più sonora, agli occhi di chi scrive, visto che proprio in questi giorni a Belém, in Brasile, sono in corso i lavori della COP30, per provare a dare la necessaria concretezza alla lotta contro la crisi climatica. Insomma, peccato che oltre a Sinner (e al tennis) abbiamo vinto anche le pubblicità ‘fossili’.

Certo, niente a che vedere col Six Kings Slam di  Riyadh, in Arabia Saudita: organizzato dalla Saudi General Entertainment Authority (GEA), ente governativo saudita, e sponsorizzato da Aramco, la compagnia petrolifera statale. Ma è bastato seguire per pochi scambi la pallina gialla sul camp della Inalpi Arena per capire che una parte importante degli sponsor che campeggiavano sulla rete o sui fondali hanno responsabilità nell’emergenza climatica: Intesa Sanpaolo, Italgas, Emirates, IP.

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Intesa Sanpaolo e “l’incessante impegno in favore del comparto fossile”

Siamo a Torino e Intesa Sanpaolo non poteva mancare. Pima banca italiana per capitalizzazione, Intesa Sanpaolo, “è fortemente impegnata nella riduzione delle proprie emissioni” si legge sul sito web del gruppo. Meno impegnata evidentemente nella riduzione dell’impatto climatico del proprio portafoglio clienti. Grazie alle domande presentate da ReCommon in occasione della sesta assemblea degli azionisti (a porte chiuse) la banca ha di fatto “ribadito il suo forte e incessante impegno in favore del comparto fossile”, scrive l’associazione.  Che spiega: “Nel 2024, i finanziamenti a carbone, petrolio e gas da parte del Gruppo Intesa Sanpaolo sono aumentati del 18% e ammontano a 11 miliardi di dollari. Anche gli investimenti sono in crescita: a gennaio 2025 sono saliti del 16% rispetto al gennaio 2024, per un totale di 10 miliardi di dollari. ENI si conferma come la multinazionale più finanziata da Intesa Sanpaolo tra quelle con i maggiori piani di espansione nell’estrazione di energie fossili su scala globale. Anche SNAM, colosso europeo nel trasporto di gas, entra con forza negli interessi della prima banca italiana, con un innalzamento del 60% negli investimenti e quasi un raddoppio (96%) dei finanziamenti nel 2024 rispetto all’anno precedente”.

E la fama ‘fossile’ del gruppo è nota anche oltre confine. Secondo il Banking on Climate Chaos 2025, realizzato dall’associazione olandese BankTrack, tra il 2021 e il 2024 Intesa ha finanziato con 21 miliardi di dollari il settore delle fonti fossili (quasi 5 miliardi nel solo 2024).

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ATP finals a tutto gas

Un altro partner dell’evento torinese è Italgas, “il principale operatore europeo nella distribuzione del gas” (dal sito del gruppo). Sul ruolo del gas come fonte energetica di transizione si è discusso molto, quel che è certo è che la transizione non può durare decenni: la scienza ci dice che dobbiamo lasciar le fonti fossili, gas incluso, sotto terra. Più in fretta possibile. E non possiamo certo continuare ad investire in nuovi gasdotti. Eppure tra gli obiettivi già conseguiti elencati nel proprio piano strategico 2024-2030 Italgas dichiara “906,5 mln € di investimenti operativi realizzati. Investimenti concentrati sulla rete, con 965 km di nuove condotte realizzate”.

Ma il suo impegno per la decarbonizzazione Italgas ce lo ha mostrato forse ancor più chiaramente l’anno scorso in Azerbaigian, in occasione della COP29 sul clima. A Baku l’azienda ha portato, grazie al governo italiano, la più ampia delegazione legata ai combustibili fossili tra quelle degli stati membro dell’UE. Per far cosa? Il secondo giorno della conferenza delle parti, come recita senza imbarazzo un comunicato stampa,  “Italgas e l’ospite azero SOCAR hanno firmato un accordo per una partnership strategica… sulla distribuzione del gas“.

E poi altro gas ad alimentare la competizione tennistica: IP, Gruppo api, “la prima azienda privata italiana nel settore dei carburanti”. Gestisce “l’intero ciclo petrolifero del ‘downstream’, dall’approvvigionamento del greggio alla raffinazione, dalla logistica fino alla distribuzione e alla vendita, senza dimenticare – ci mancherebbe! – i biocarburanti e le ricariche elettriche”. Le sue attività industriali fanno capo a italiana petroli. Proprio l’amministratore Delegato italiana petroli, Alberto Chiarini, nella lettera agli stakeholders che apre il rapporto di sostenibilità 2022 di IP – uno di quei documenti dove di solito si scrivono le cose di cui andare fieri – racconta di un accordo con Esso che “rafforzerà i volumi di produzione del Gruppo, raddoppiando la capacità di raffinazione (da circa 5 a quasi 10 milioni di tonnellate/anno) grazie al controllo della Raffineria di Trecate”. E infatti sul sito web oggi si leggono appunto 10 milioni di tonnellate. Ottimo per gli azionisti, ma come la mettiamo con la crisi climatica e il fase out delle fonti fossili?

Tra gli sponsor a fare da sfondo del match anche Emirates airlines. Come sapere le compagnie aeree non sono un esempio di aziende a basso impatto sul clima. Il settore dell’aviazione, infatti, “è altamente energivororicorda la Commissione europea -. Ad esempio, una persona che vola da Lisbona a New York e ritorno genera all’incirca lo stesso livello di emissioni di un cittadino medio dell’UE che riscalda la propria casa per un anno intero”. Bastano poche altre parole per inquadrare a pieno la questione: “Nel 2022 le emissioni dirette del trasporto aereo rappresentavano dal 3,8 % al 4 % delle emissioni totali di gas a effetto serra dell’UE. Il trasporto aereo genera il 13,9 % delle emissioni dei trasporti, risultando la seconda fonte più importante di emissioni di gas a effetto serra nel settore, dopo il trasporto su strada”. E l’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile (ICAO) ha stimato che entro il 2050 le emissioni del trasporto aereo internazionale potrebbero triplicare rispetto al 2015. Non possiamo dunque ignorare il problema.   

Emirates è la più grande compagnia aerea del Medio Oriente, quinta al mondo per fatturato. Secondo Ditch Carbon, piattaforma software britannica per misurare e gestire le emissioni di carbonio, nel 2024 ha riportato emissioni totali pari a circa 40 milioni tonnellate di CO2. Nel 2023 erano state poco sotto i 33 milioni.  Parliamo di una quantità paragonabile a quella prodotta da tutti i residente di Roma, Milano, Napoli e Palermo messi insieme, per un intero anno.

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Il peso di spot e sponsorizzazioni fossili

Ma perché me la prendo con queste le sponsorizzazioni? Perché concedere spazi, visibilità e status alle aziende ‘fossili’ e a quelle con grande impatto climatico come l’aviazione è un problema? Ce lo ha spiegato qualche tempo fa Charlotte Braat, campainer per l’associazione olandese Reclame Fossielvrij (Pubblicità senza fossili). Le industrie dei combustibili fossili, spiega, “sponsorizzano squadre di calcio e musei con donazioni molto economiche rispetto a quello che ottengono in cambio, dato che milioni di persone associano i marchi fossili alla gioia e al divertimento. Per le aziende fossili, che hanno tutti i soldi del mondo, le pubblicità e le sponsorizzazioni sono un modo molto economico per comprare l’accettazione pubblica, un aspetto amabile e persino la sensazione di essere imperdibili, irrinunciabili per il nostro mondo”.  Braat ricorda che “gli annunci ci influenzano in modo inconscio e incontrollabile”.

Gli spot pubblicitari e le sponsorizzazioni servono a normalizzare il ruolo di queste imprese: invece di essere motivo di scandalo, continuare ad estrarre e bruciare gas e petrolio diventa una pratica ordinaria, priva dello stigma sociale che meriterebbe, associata anzi a momenti piacevoli come la bella finale di ieri sera. Lo sfesso vale per i voli: la nostra psiche, i nostri comportamenti e la considerazione che abbiamo degli spostamenti in aereo devono fare i conti le emissioni: non sono un mezzo di locomozione come un altro.

E quello che recentemente ha denunciato Elisa Morgera, relatrice speciale ONU sulla promozione e la protezione dei diritti umani nel contesto dei cambiamenti climatici. Nel suo rapporto pubblicato quest’estate, Morgera scrive che “per decenni, le pubblicità sui combustibili fossili hanno influenzato l’opinione pubblica minimizzando l’impatto sui diritti umani e sottolineando il ruolo dei prodotti derivati dai combustibili fossili nella crescita economica e nella vita moderna”. E aggiunge che “il divieto di pubblicizzare i combustibili fossili può servire a mettere in discussione la presenza scontata dei prodotti derivati dai combustibili fossili nella nostra vita, nonché i modelli sottostanti di disuguaglianze sistemiche, sovrapproduzione e consumo eccessivo”.  E prima di lei lo stesso Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, aveva puntato il dito contro gli adv fossili. Nel discorso pronunciato i 6 giugno 2024, giornata dell’ambiente, al Museo di Storia Naturale di New York, Guterres ha esortato “tutti i Paesi a vietare all’industria dei combustibili fossili di fare campagne pubblicitarie. Invito anche i media e le aziende tecnologiche -ha aggiunto – a smettere di vendere spazi pubblicitari all’industria dei combustibili fossili”.

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Si può dire no allo “sportwashing”

Sappiamo che cambiare le cose non è mai semplice. Che può non essere facile trovare altre fonti di finanziamento. Lo sa bene EcononomiaCircolare.com, che ha scelto di non avere fondi derivati dai combustibili fossili, aderendo insieme ad altre testate alla coalizione “Stampa libera per il clima promossa da Greenpeace Italia. Ma iniziative come queste e come quelle di tanti soggetti pubblici che si sono attivati per limitare le pubblicità e le sponsorizzazioni che fanno male al clima (qui alcuni esempi) ci dicono che si può fare.

Anche nel tennis. Nel febbraio 2021 era stato annunciato un accordo tra Tennis Australia, che gestisce gli Australian open, e Santos, una delle principali compagnie australiane di gas e combustibili fossili: Santos divenivaOfficial Natural Gas Partner” del torneo. Ma partono raccolte firme e poteste,  dopo le quali, meno di un anno dalla stipula, l’accordo viene cessato. Ci vogliamo provare anche in Italia?

A proposito: Grande Jannik! (Peccato solo per gli spot per Intesa Sanpaolo).

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FOTO: XR Australia via Facebook

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