mercoledì, Dicembre 3, 2025

Cosa ci insegna la condanna a TotalEnergies sul greenwashing

Un tribunale di Parigi ha stabilito che l’annuncio di Total della neutralità climatica al 2050, mentre aumentano le estrazioni di petrolio e gas, è una pubblicità ingannevole. Un caso che potrebbe estendersi anche alle altre aziende fossili - come Eni - che proclamano lo stesso obiettivo e con gli stessi metodi

Andrea Turco
Andrea Turco
Giornalista glocal, ha collaborato per anni con diverse testate giornalistiche siciliane per poi specializzarsi su ambiente, energia ed economia circolare. Redattore di EconomiaCircolare.com. Per l'associazione A Sud cura l'Osservatorio Eni

Negli scorsi giorni si è molto parlato della multa inferta da un tribunale di Parigi a Total, il colosso francese dell’energia. Più precisamente lo scorso 23 ottobre l’ong ClientEarth, che ha fornito aiuto giuridico alle associazioni che avevano presentato la denuncia – Greenpeace France, Friends of the Earth France e Notre Affaire à Tous – , ha reso noto che la corte francese ha stabilito che TotalEnergies (l’ultimo nome assunto dalla multinazionale energetica francese) ha ingannato il pubblico con una pubblicità ingannevole, sostenendo di essere un “importante attore nella transizione energetica” nonostante continui a promuovere e vendere per la maggior parte combustibili fossili, cioè i principali responsabili del collasso climatico in atto.

Come ha sottolineato ClientEarth in una nota per la stampa, “è la prima sentenza al mondo di questo tipo contro un grande gruppo del petrolio o del gas”. In particolare il tribunale parigino ha contestato a TotalEnergies di aver affermato di mettere il “clima al centro della sua strategia, con l’obiettivo di fornire energia più pulita, più sicura e più conveniente al maggior numero possibile di persone” e di aver fissato l’obiettivo di raggiungere lo zero netto di emissioni di gas serra entro il 2050

Tuttavia, come dimostrato nel ricorso delle ong francesi, il colosso del petrolio e del gas ha nel frattempo espanso i piani per l’espansione dei combustibili fossili, con nuovi progetti di estrazione  in Iraq, Danimarca, Tanzania e Uganda. Pronunce del genere, lo abbiamo visto più volte nel caso della giustizia climatica, sono importanti perché tracciano dei precedenti a livello legislativo e dunque potrebbero influenzare le politiche industriali di altri Paesi. A partire dall’Italia.

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Lezioni francesi per l’Italia

Il caso francese risale addirittura al 2022, anno in cui è stato presentato l’esposto, e l’azienda in un primo momento era riuscita a opporsi prima che l’esposto di ClientEarth fosse esaminato. Solo a maggio 2023 c’era stato un pronunciamento che aveva stabilito che un tribunale era legittimato a esaminare il caso. Vi ricorda qualcosa? Esatto, è qualcosa di simile a ciò che è avvenuto in Italia con quella che Greenpeace e ReCommon, le due ong che hanno contestato le politiche climatiche di Eni, hanno definito “la giusta causa”.

greenwashing gas 1

Non è un caso che la stessa Client Earth sostiene che “la sentenza dovrebbe avere un effetto a catena sul marketing del settore oil&gas in altre giurisdizioni, sia per le campagne di TotalEnergies in tutta Europa che per affermazioni di marketing simili da parte di altre major di petrolio e gas”. L’obiettivo della neutralità climatica al 2050 proclamato da Total, e bocciato come greenwashing dal tribunale parigino, è lo stesso sostenuto da anni da Eni in Italia.

Resta aperto comunque un altro fronte. Le ong francesi, supportate da ClientEarth, chiedevano alla corte francese di pronunciarsi anche sui settori relativi al GNL e ai biocarburanti – anche questi i settori su cui Eni si è rafforzata enormemente negli ultimi anni. In questo caso il tribunale ha rilevato che gli annunci di TotalEnergies, scrive ancora ClientEarth, “non erano sufficientemente connessi alla vendita di prodotti ai consumatori, e quindi non ha esaminato se tali affermazioni fossero fuorvianti o meno”.

Le aziende fossili, dunque, almeno in questo caso possono tirare un sospiro di sollievo. Ed è facile immaginare che TotalEnergies avrebbe sostenuto che si tratta di politiche industriali, sulle quali la magistratura non deve pronunciarsi. Forse, è il caso di aggiungere, dovrebbe farlo lo stato. Specie se, come avviene con il cane a sei zampe, è l’azionista di maggioranza al 30%.

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Negare l’evidenza non ha più senso

A una precisa domanda sulla campagna pubblicitaria che è stata condannata dal tribunale di Parigi, l’amministratore delegato di TotalEnergies ha negato che si trattasse di greenwashing. in fondo il punto è tutto qui: se neppure una giurisprudenza che si fa sempre più corposa, oltre a una letteratura scientifica solida e costruita nel corso dei decenni, riesce a far retrocedere le aziende fossili dalla difesa a tutti i costi del proprio “core business” c’è evidentemente qualcosa che non va.

“Le strategie di confusione e ritardo dell’industria dei combustibili fossili non sono una novità” scrive ancora ClientEarth. “Sono state al centro degli sforzi del settore per decenni, consentendo alle grandi compagnie petrolifere, del gas e del carbone di continuare a trarre profitto mentre il cambiamento climatico peggiorava. I consumatori non dovrebbero essere manipolati in questo modo, con grandi campagne di marketing. Le compagnie di combustibili fossili come Total non dovrebbero avere alcun potere o piattaforma per influenzare la scelta dei consumatori nel mezzo dell’emergenza climatica”.

greenwashing gas 2

Il pianeta non può più permettersi trucchi contabili sulle emissioni di gas serra e annunci roboanti non seguiti dai fatti: una lezione che, si spera, aziende e governi sapranno interpretare alla Cop30 e nei prossimi anni, che sono quelli cruciali per la sopravvivenza del genere umano. Il collasso climatico avanza, frenarlo è ancora possibile. Ma serve un cambio di rotta reale da parte in primis di chi lo ha generato.

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