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venerdì, Dicembre 27, 2024

Data center, nuove idee circolari per il recupero del calore

I data center consumano circa l’uno per cento dell’elettricità disponibile a livello mondiale. Uno studio della School of Computing and Communications, della Lancaster University, nel Regno Unito, propone nuove modalità di riuso dei flussi d’aria generati dai server

Maurita Cardone
Maurita Cardone
Giornalista freelance, pr e organizzatrice culturale, ha lavorato per diverse testate tra cui Il Tempo, Il Sole 24 Ore, La Nuova Ecologia. Abruzzese trapiantata a New York dove è stata vicedirettore di una testata italiana online, attualmente è corrispondente dagli USA per Artribune oltre a collaborare con diversi media italiani e non. Si occupa di temi sociali e culturali con particolare attenzione alle intersezioni tra arte e attivismo.

Ogni giorno, Internet rende le nostre vite più facili. Da Google Maps a Wikipedia, dall’home banking a Uber, le informazioni e i servizi cui abbiamo costantemente accesso hanno rivoluzionato il modo in cui facciamo le cose. Ma c’è un alto costo ambientale da pagare. I server che rendono tutto questo possibile con un click consumano enormi quantità di energia. Alcuni centri dati arrivano a consumare quanto una città di 100.000 abitanti. Tanta di quell’energia potrebbe essere riutilizzata e sono diverse le soluzioni attualmente all’esame, alcune già praticate. Uno studio della School of Computing and Communications, della Lancaster University, nel Regno Unito, propone modalità di riuso del calore generato dai computer dei data center finora non ancora sperimentate.

Il consumo di energia dei data center

Secondo un recente report dell’organizzazione intergovernativa, International Energy Agency, i centri dati e le reti di trasmissione dati, insieme, sono responsabili di circa il 2,5 per cento della domanda globale di energia elettrica. Lo stesso studio riconduce a questi consumi lo 0,9 per cento delle emissioni globali generate da consumo energetico, ovvero lo 0,6 per cento del totale assoluto di emissioni, pur sottolineando che, negli ultimi dieci anni, mentre il numero di utenti di Internet è raddoppiato e il traffico in rete è aumentato di venti volte, le emissioni causate dall’energia generata dalle attività online sono cresciute in misura modesta. Questo grazie a una maggiore efficienza energetica dei sistemi, a un aumentato ricorso alle energie rinnovabili da parte delle aziende informatiche e a una generale tendenza alla decarbonizzazione delle reti elettriche nel mondo.

Tuttavia, i consumi energetici restano alti e, con una popolazione mondiale in aumento e un accesso ad Internet che continua ad espandersi, sono destinati a salire. Per questo, in un’ottica di economia circolare, le soluzioni offerte dal gruppo di ricerca della Lancaster University potrebbero rivelarsi strategiche. Utilizzando dati del 2020, l’articolo pubblicato dai ricercatori parte dalla constatazione che i soli data center consumano circa l’uno per cento dell’elettricità disponibile a livello mondiale. L’elevato fabbisogno energetico dei data center, spiega lo studio, è legato principalmente ad operazioni di calcolo complesse che richiedono molto lavoro da parte dei processori. L’elettricità fornita ai server perché possano compiere queste operazioni si trasforma in calore scaricato in flussi d’aria la cui temperatura si aggira tra i 30 e i 45 gradi. Non abbastanza, notano i ricercatori nell’introduzione dell’articolo, perché l’utilizzo di quei flussi per la climatizzazione di ambienti sia competitivo con sistemi di recupero di calore da altre attività industriali. In Svezia, dove un data center fornisce riscaldamento a decine di migliaia di case, fanno notare gli autori citando uno dei casi di studio utilizzati per la ricerca, sono necessarie pompe di calore. A causa della bassa temperatura dei flussi d’aria generati dai server, inoltre, anche la conversione del calore in elettricità è un’opzione non praticabile. Da qui la necessità di concentrarsi sugli usi secondari di quest’aria “secca, pulita e tiepida”, come la caratterizzano gli autori.

Lo studio tiene conto dei progressi tecnologici nella direzione della sostenibilità compiuti dai data center e, per questo motivo, propone un approccio che va oltre i singoli edifici che ospitano questi centri, per trovare soluzioni olistiche e condivise che possano beneficiare altri settori della società. Notando che la maggior parte delle applicazioni già esistenti si concentrano sulla produzione di calore, le soluzioni proposte dai ricercatori di Lancaster sono principalmente rivolte a paesi caldi, in cui molti degli usi correnti non sono praticabili.

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Nuovi usi circolari

Tre le soluzioni proposte. I flussi d’aria generati dai server, scrivono i ricercatori, potrebbero essere utilizzati per processi di disidratazione di beni, tra cui legname e alimenti che necessitano di essere sottoposti ad essiccazione. In aggiunta, sfruttando gli stessi processi di disidratazione, i flussi d’aria potrebbero rappresentare una soluzione per la conservazione del calore, attraverso l’uso di materiali termochimici. Per esempio, esponendo all’aria calda degli idrati di sale, questi perdono acqua e, quando nuovamente esposti ad aria umida, rilasciano energia. Infine, partendo dalla constatazione che molte aziende stanno esplorando la possibilità di costruire data center sulle coste per sfruttare le proprietà refrigeranti dell’acqua, lo studio propone una soluzione per data center subacquei da connettere ad impianti di energia talassotermica. Poiché questi impianti sfruttano la differenza di temperatura tra la superficie dell’acqua e le profondità marine, i data center potrebbero consentire di raggiungere un più alto differenziale tra le due temperature e, di conseguenza, un più alto potenziale di conversione, ovvero di produttività.

Lo studio prosegue portando l’esempio di alcuni candidati ideali per l’applicazione di queste tecnologie, come il Multimedia Super Corridor della Malesia, area con molti data center, inserita in un contesto agricolo dove i processi di disidratazione potrebbero trovare diversi usi, così come il Costa Rica, dove l’industria locale della produzione del caffè potrebbe beneficiare dei flussi d’aria prodotti dai data center. La Svezia, invece, viene usata come esempio dove il riuso del calore generato dai data center sta già producendo notevoli vantaggi. Il clima freddo rende il paese particolarmente adatto ai data center. Già dal 2011, infatti, Facebook, prima, e Google e Microsoft, dopo, hanno iniziato a creare centri dati nel Nord del Paese producendo occupazione e favorendo il ripopolamento di queste aree che per decenni erano state abbandonate in favore delle aree urbane del Sud. Inoltre, una rete elettrica organizzata per distretti, rende il riuso del calore più facile, consentendo a operatori di data center nell’area di Stoccolma di rivendere al distretto locale il calore prodotto.

Infine, la ricerca analizza i parametri utilizzati per misurare i consumi energetici dei data center e ne propone una revisione attraverso la creazione di un Data center Energy Sustainability Score (DESS).

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