giovedì, Novembre 6, 2025

Le strane teorie dell’UE per difendere i dazi imposti dagli USA

Dopo le polemiche successive agli accordi sui dazi, l’Unione Europea ha diffuso le prime (parziali) spiegazioni. Difendendo soprattutto gli aspetti relativi all’energia, dove si è impegnata a importare petrolio e gas dagli USA per 250 miliardi di dollari l’anno nei prossimi tre anni. Ma molti conti non tornano

Andrea Turco
Andrea Turco
Giornalista glocal, ha collaborato per anni con diverse testate giornalistiche siciliane per poi specializzarsi su ambiente, energia ed economia circolare. Redattore di EconomiaCircolare.com. Per l'associazione A Sud cura l'Osservatorio Eni

A distanza di nenache due settimane dagli accordi sulle tariffe e sul commercio, più noto come l’accordo sui dazi che gli USA hanno imposto all’Unione Europea, si continua a discutere delle possibili conseguenze di quello che, comunque la si veda, è un accordo fondamentale per il futuro prossimo delle due potenze occidentali. La lettura comune, che va dai liberali fino alla sinistra e alla destra più radicali, è che la firma della presidente della Commissione Ursula von der Leyen andrà a discapito delle economie dei 27 Stati membri dell’UE. 

Di certo anche al momento c’è poco di cui discutere. Nel senso che i termini specifici dell’accordo firmato il 27 luglio 2025 non sono stati ancora pubblicati, e anzi, come afferma la stessa Commissione, l’accordo “non è giuridicamente vincolante” e bisogna aspettarsi nuove negoziazioni, “in linea con le rispettive procedure interne, per attuare pienamente l’accordo politico”.

Tra le questioni più importanti che sono state comunque siglate c’è certamente l’aspetto energetico, con l’impegno dell’UE ad acquistare “prodotti liquefatti di gas naturale, petrolio e energia nucleare statunitensi con un prelievo previsto per un valore di 750 miliardi di dollari (circa 700 miliardi di euro) nei prossimi tre anni”. Si tratta di un’enorme assunzione di responsabilità da parte della Commissione, sia dal punto di vista ambientale che economico. Un’assunzione che conferma il disimpegno verso la “leadership climatica”, innanzitutto, e che nelle intenzioni della presidente Ursula von der Leyen “contribuirà alla sostituzione del gas e del petrolio russi sul mercato dell’UE”.

Per giustificare quello che è, ripetiamo, un enorme impegno per il futuro a breve, medio e lungo termine – e che ha bypassato qualsiasi volontà degli Stati e tantomeno qualsiasi processo democratico – la Commissione ha redatto una pagina ad hoc che tenta di fornire il proprio punto di vista. Prima però di analizzarlo serve fare un piccolo passo indietro.

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Il senso per l’UE dell’accordo sui dazi

In questi giorni Donald Trump, evidentemente ringalluzzito dalla resa della Commissione Europea, è tornato alla carica. In un’intervista alla Cnbc, il presidente Usa ha minacciato di alzare i dazi sui prodotti europei dal 15% al 35% nel caso l’UE non rispetti gli investimenti promessi in beni statunitensi. E ha anche anticipato che la prossima settimana verranno annunciati nuovi dazi su semiconduttori e chip, “una categoria separata, perché vogliamo che siano prodotti negli Stati Uniti”.

Di fronte alle usuali turbolenze di Trump, dunque, che tratta un teorico alleato come il peggiore dei vassalli, si resta sconcertati di fronte alle reazioni pacate dei vertici europei. Che, consci dei malumori dell’opinione pubblica, hanno redatto un’altra pagina ad hoc sul sito della Commissione per giustificare la firma dell’accordo.

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Fonte: Commissione Europea

“Il partenariato transatlantico è un’arteria chiave del commercio globale ed è la più significativa relazione bilaterale commerciale e di investimento nel mondo – scrive l’UE – Gli scambi di beni e servizi UE-USA sono raddoppiati nell’ultimo decennio, superando 1,6 trilioni di euro nel 2024, con 867 miliardi di euro di scambi di beni e 817 miliardi di euro di scambi di servizi. Si tratta di oltre 4,2 miliardi di euro di beni e servizi che attraversano l’Atlantico ogni giorno. Questa partnership profonda e globale è sostenuta da investimenti reciproci. Nel 2022, le imprese dell’UE e degli Stati Uniti hanno investito 5,3 trilioni di euro per un valore nei rispettivi mercati. Questo accordo politico ripristina la stabilità e la prevedibilità per i cittadini e le imprese su entrambe le sponde dell’Atlantico. L’accordo garantisce il continuo accesso alle esportazioni dell’UE verso il mercato statunitense preservando le catene del valore profondamente integrate – molte delle quali si basano sulle PMI – e salvaguardando efficacemente i posti di lavoro. Esso fornisce inoltre la base per la continua collaborazione tra l’UE e gli Stati Uniti”.

A distanza di neppure dieci giorni dalla firma degli accordi del 27 luglio, le nuove intemerate di Trump già rovesciano la difesa UE sulla “stabilità e la prevedibilità per i cittadini e le imprese”. Sarebbe ora di cambiare strategia nei confronti di un presunto alleato così aggressivo? Per rispondere è opportuno analizzare il capitolo energetico dell’accordo sui dazi.

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Cosa c’è da sapere sull’accordo sui dazi in merito all’energia

Nel primo comunicato stampa dopo gli accordi del 27 luglio si leggeva soltanto che l’Unione Europea si impegna a importare petrolio e gas dagli USA per 250 miliardi di dollari l’anno nei prossimi tre anni. Innanzitutto è interessante notare che il corrispettivo degli acquisti per l’UE è in dollari e non in euro: non solo dunque si acquistano quantità esorbitanti di energia ma lo si fa alla moneta del venditore (giusto per confermare l’egemonia globale del dollaro).

Inoltre su LinkedIn l’esperto di energia Nicola Armaroli ha fatto notare che, come affermano i dati Eurostat, nel 2024 l’UE ha importato dagli USA 27 miliardi di euro di GNL (circa 50 SGm3) e 42 miliardi di euro di prodotti petroliferi (circa 73 Mton), per un totale di 69 miliardi di euro o, se volete, di 75 miliardi di dollari. In tre anni, dunque, i 27 Stati membri dell’UE dovrebbero più che triplicare gli acquisti da un solo fornitore, senza considerare che con altri Stati come Qatar, Egitto ed Algeria i contratti di GNL siglati dal 2022 sono a lunga scadenza, e dunque praticamente inscindibili. “Ma soprattutto – aggiunge Armaroli – gli USA sono in grado di esportare tutti questi idrocarburi? Allo stato attuale, NO”. Di fronte a questi e ad altri dubbi di una miriade di esperti, dunque, l’UE ha dunque stilato una serie di chiarimenti, fornendo numeri (inoppugnabili) e tesi (su cui invece permangono dubbi).

“Gli Stati Uniti – scrive la Commissione – sono già uno dei principali partner energetici dell’UE e, di gran lunga, il primo fornitore di GNL dell’UE, con il 55% della nostra fornitura di GNL proveniente dagli Stati Uniti finora nel 2025. Gli Stati Uniti sono anche il primo fornitore di petrolio dell’UE (17% di tutte le importazioni dell’UE nel 2024) e un fornitore chiave di servizi di combustibile e carburante, con le esportazioni statunitensi verso l’UE per un valore di circa 700 milioni di euro nel 2024. La capacità totale di importazione di GNL dell’UE ammonta ora a circa 250 miliardi di metri cubi all’anno, più del doppio rispetto alle attuali importazioni annue di GNL. In particolare, tra il 2022 e il 2024, sono stati commissionati 12 nuovi terminali GNL e 6 progetti di espansione in tutta l’UE, aggiungendo 70 miliardi di metri cubi di capacità di importazione. Per il contesto, l’UE ha importato negli ultimi anni circa 50 miliardi di metri cubi di GNL all’anno dagli Stati Uniti”.

Come si nota dagli stessi numeri della Commissione, insomma, il rischio più grande è che gli Stati Uniti diventino ciò che era la Russia fino al 2022, cioè il Paese principale che fornisce energia all’UE, con una dipendenza crescente che in sostanza vuol dire sottomissione. Lo abbiamo già visto con la Russia cosa significa dipendere da un solo Stato per le proprie forniture energetiche. E d’altra parte, al netto dell’autoritarismo di Vladimir Putin, la Russia è stata sempre un partner energetico affidabile e a basso prezzo, cosa che gli Stati Uniti attualmente non sono per nulla. Tanto che le successive rassicurazioni della Commissione non possono negare che da una parte il disegno è proprio quello, cioè sostituire la Russia con gli Stati Uniti come primo partner energetico, e dall’altra che bisognerà capire dove piazzare le enormi quantità di GNL statunitense.

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Perché sulle forniture energetiche USA i conti dell’UE non tornano

“Dall’adozione del piano d’azione per l’energia a prezzi accessibili nel febbraio 2025, la Commissione ha lavorato intensamente con i fornitori statunitensi di GNL – afferma ancora la Commissione – Con questo lavoro preparatorio, la Commissione è pronta a organizzare un processo dedicato, AggregateEU, per raccogliere la domanda da parte delle entità dell’UE e abbinarla alle forniture competitive di GNL statunitensi per il periodo 2025 fino al 2050. La cifra di 250 miliardi di dollari per l’anno nei prossimi 3 anni è la media stimata delle importazioni complessive di energia dell’UE dagli Stati Uniti sulla base di una valutazione approfondita e robusta, che ha tenuto conto di quanto segue:

  • Gli attuali volumi di importazioni di LNG, petrolio, combustibile nucleare e servizi di combustibile negli Stati Uniti nell’UE, che ammontano già a circa 90-100 miliardi di dollari all’anno. Parallelamente, continuiamo a diversificare le fonti energetiche e a investire nella transizione verso l’energia pulita a lungo termine.
  • Si stimano ulteriori volumi di petrolio, gas e combustibili nucleari, anche come parte del trasferimento dal combustibile fossile russo. Nel 2024, l’UE ha ancora importato circa 22 miliardi di euro di combustibili fossili dalla Russia e circa 700 milioni di euro di forniture nucleari.
  • Principali investimenti, servizi ed esportazioni di tecnologie energetiche statunitensi nell’UE, in particolare nel settore nucleare per i reattori modulari convenzionali e piccoli (SMR), in cui abbiamo già indicazioni chiare in base alle società statunitensi coinvolte”.

Altro che autonomia – di energia, materie prime e tecnologie. Con questo accordo ci si lega mani e piedi agli Stati Uniti e, soprattutto, a un presidente volubile come Donald Trump e a un Paese che sta affrontando una lunga fase di involuzione democratica. Se non bastasse ciò, l’assenza di lungimiranza della Commissione europea è anche nel sacrificio degli obiettivi ambientali. Nonostante, incredibilmente, la stessa Commissione afferma che è impegnata a rispettare gli obiettivi di decarbonizzazione. 

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L’accordo commerciale UE-USA non pregiudica la determinazione dell’UE a decarbonizzare le nostre economie entro un termine chiaro. Mentre l’accordo comporta un aumento delle importazioni di energia dagli Stati Uniti nei prossimi 3 anni, è pienamente compatibile con la nostra politica a medio e lungo termine diversificare le nostre fonti di energia e implementare la tabella di marcia REPowerEU in modo da eliminare completamente le importazioni di energia russa il prima possibile – scrive la Commissione – L’UE rimane pienamente impegnata a conseguire la neutralità climatica entro il 2050, l’obiettivo principale del Green Deal europeo. La Commissione europea ha appena proposto una legge sul clima aggiornata con un ambizioso obiettivo di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 90% per il 2040”.

Difficile concentrare tante inesattezze, a voler essere gentili. In che modo l’aumento della produzione del più impattante dei combustibili fossili, cioè il GNL prodotto attraverso la tecnica del fracking (che la stessa UE vieta sui propri confini), non influisce sugli obiettivi di decarbonizzazione resta un mistero. Così come è difficile credere che gli USA, a prescindere dal prossimo presidente in carica, rinunceranno alla mole di forniture siglate da Trump. Da parte propria la Commissione retta da Ursula von der Leyen sembra immersa in una spirale senza via di uscita che sta pregiudicando quanto di buono si era visto con la precedente legislatura, quella che ha partorito il Green Deal. La speranza è che almeno sull’economia circolare, con il Circular Economy Act previsto per il 2026, si mantenga la rotta. Perché per il resto, a partire proprio dall’energia, si sta andando in direzione ostinata e contraria alle esigenze ambientali, economiche e sociali dell’Unione Europea.

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