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venerdì, Dicembre 20, 2024

Direttiva CSRD: l’Italia la recepisce ma ci sono già polemiche

La direttiva europea sulla rendicontazione di sostenibilità è stata recepita dall’Italia. Ma una norma in particolare solleva preoccupazioni tra le aziende e chi si occupa di reporting di sostenibilità: il timore è che aumenterà i costi per le imprese. Mentre Francia e Spagna vanno già in un’altra direzione

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

Il 25 settembre è entrato in vigore il decreto legislativo 125/2024, con cui l’Italia ha recepito la direttiva Corporate Sostenibility Reporting Directive (CSRD). La direttiva dell’Unione Europea è nata con lo scopo di promuovere la trasparenza e la divulgazione di informazioni da parte delle imprese riguardo agli impatti ESG delle loro attività attraverso un rafforzamento degli obblighi nella rendicontazione di sostenibilità ed è un passaggio fondamentale nel percorso dell’Unione Europea verso la finanza sostenibile.

La più importante novità della nuova norma europea rispetto alla precedente direttiva NFRD sulla rendicontazione non finanziaria è l’estensione alle piccole e medie imprese degli obblighi di reporting non finanziario, già a carico delle aziende di grandi dimensioni, e la sostituzione della rendicontazione non finanziaria con la rendicontazione di sostenibilità, che consiste in informazioni necessarie alla comprensione dell’impatto delle attività economiche sui temi della sostenibilità e del modo in cui tali aspetti influiscono sull’andamento dell’azienda e i suoi risultati.

I contenuti del reporting di sostenibilità riguardano la valutazione dei rischi connessi alla sostenibilità e delle eventuali opportunità, i piani dell’impresa sui diversi aspetti della sostenibilità, il modo in cui il modello di business e la strategia aziendale tengono conto degli interessi e aspettative degli stakeholder, le procedure di due diligence e informazioni su un ampio spettro di tematiche che spaziano dai diritti umani alle condizioni di lavoro, dalla salute e sicurezza al benessere, dall’inquinamento al cambiamento climatico, dal consumo di risorse alla biodiversità, dalla corruzione alla trasparenza delle informazioni per il consumatore.

A differenza dei regolamenti europei, immediatamente applicabili negli Stati membri, il recepimento delle direttive lascia un certo margine alle nazioni dell’Unione Europea e proprio su alcuni aspetti tecnici sono già emerse preoccupazioni e perplessità da parte di aziende ed enti coinvolti nel reporting di sostenibilità. A essere contestata è in particolare la scelta del governo di non avere esteso la possibilità di fornire il servizio di garanzia esterna della rendicontazione di sostenibilità ai prestatori indipendenti di servizi di valutazione della conformità.

Leggi anche: Report di sostenibilità, l’Europarlamento respinge l’attacco al nuovo standard ESRS

La mancata liberalizzazione: meno concorrenza e costi più alti

Il decreto stabilisce, infatti, che solo i revisori legali iscritti al Registro, con una specifica formazione in sostenibilità, possano rilasciare l’attestazione di conformità. Questa attività può essere svolta dal revisore incaricato della revisione legale del bilancio o da un revisore diverso. Nella direttiva così come è stata scritta dalla Commissione europea, invece, si apre alla possibilità che anche i prestatori indipendenti dei servizi di attestazione della conformità accreditati in rispetto alle norme internazionali possano svolgere questa attività di verifica dei report di sostenibilità per validare le informazioni delle aziende in tema ESG.

“Tutto ruota intorno all’ultimo comma dell’articolo 18 del decreto legislativo”, spiega Gianluca Di Giulio, responsabile relazioni istituzionali ed esterne di Accredia, l’unico ente di accreditamento in Italia, che ha il compito di attestare la competenza, l’indipendenza e l’imparzialità degli organismi di certificazione, ispezione e verifica e dei laboratori di prova e taratura. “Qui si afferma che ministero dell’Economia e Consob condurranno entro 18 mesi uno studio volto ad approfondire i benefici dell’opportunità di fare entrare nel mercato di chi garantirà le informazioni anche gli organismi accreditati”, spiega.

Le norme internazionali di accreditamento (in particolare la ISO/IEC 17029) richiedono a un ente di accreditamento una verifica iniziale e una sorveglianza periodica con frequenza annuale sulle attività svolte dagli organismi di valutazione della conformità. Nel caso in cui il governo estendesse il mercato a prestatori indipendenti di servizi di valutazione della conformità spetterebbe, dunque, proprio ad Accredia garantire la competenza e l’imparzialità dei soggetti, mentre in caso contrario risulterebbe direttamente svantaggiata dalla normativa italiana.

L’ente di accreditamento, sottolinea, però, come i benefici della liberalizzazione ricadrebbero soprattutto sulle imprese. “Anche le associazioni di rappresentanza delle imprese si erano dichiarate a favore dell’apertura del mercato dei servizi di questo tipo perché ciò alimenterebbe la concorrenza con conseguente riduzione dei costi, che è la principale preoccupazione del mondo produttivo in relazione alla nuova normativa europea”, continua Di Giulio. Il timore, in particolare per le piccole e medie imprese è, infatti, un possibile incremento delle spese per sostenere il reporting di sostenibilità, con conseguente perdita di competitività, qualora il sistema d’offerta di servizi di valutazione della conformità della rendicontazione di sostenibilità sia appannaggio solamente delle società di revisione contabile.

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Il quadro internazionale: cosa fanno le altre nazioni UE

La direzione verso un mercato dell’offerta di servizi di valutazione della conformità della rendicontazione di sostenibilità in cui non si creino posizioni oligopolistiche è evidente nella volontà della Commissione europea: il preambolo del testo della direttiva 2022/2464 auspica di “offrire alle imprese la possibilità di attingere a una più vasta gamma di prestatori indipendenti di servizi di attestazione della conformità della rendicontazione di sostenibilità” con l’obiettivo di “migliorare ulteriormente la qualità della revisione e creare un mercato della revisione più aperto e diversificato, mitigando il rischio di un’ulteriore concentrazione del mercato delle revisioni’’.

“Ci auspichiamo che il legislatore italiano nei prossimi 18 mesi possa ascoltare la crescente domanda proveniente dalle imprese ed estendere ai prestatori indipendenti di servizi di valutazione della conformità, anche tenendo conto di quanto stanno facendo altre importanti nazioni europee come Francia e Spagna”, conclude Di Giulio. La Francia, infatti, ha accordato immediatamente in fase di recepimento della direttiva europea l’opportunità anche agli organismi di certificazione accreditati di validare i bilanci di sostenibilità e la Spagna sta andando nella stessa direzione. Questo, secondo Accredia, dimostra che non ci sono reali ostacoli alla liberalizzazione del mercato.

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La tabella di marcia nell’applicazione della CSRD

In attesa della risoluzione della questione, il numero di aziende chiamate a redigere un bilancio di sostenibilità nei prossimi mesi crescerà gradualmente in fasi successive dal 2024 al 2028, come stabilito nella direttiva CSRD dalla Commissione europea, in base al criterio delle dimensioni dell’azienda. Il 25 settembre 2024 è entrato ufficialmente in vigore il decreto di recepimento italiano, per l’esercizio 2024 (e rendicontazione nel 2025) relativo alle grandi imprese e alle società madre di grandi gruppi, che costituiscono enti di interesse pubblico (ossia società quotate, banche, imprese di assicurazione e di riassicurazione) e che superano il numero medio di 500 dipendenti.

Per l’esercizio 2025 (e rendicontazione nel 2026) l’obbligo si estenderà alle imprese di grandi dimensioni e alle società madre di grandi gruppi che alla data di chiusura del bilancio abbiano superato almeno due di questi criteri dimensionali: 1) numero medio di 250 dipendenti occupati durante l’esercizio; 2) totale dello stato patrimoniale superiore a 25 milioni di euro; 3) ricavi netti superiori a 50 milioni di euro. Per l’esercizio 2026 (e rendicontazione nel 2027), salvo specifiche ipotesi di esenzione, l’obbligo di rendicontazione arriverà a coinvolgere le piccole e medie imprese quotate (ad esclusione delle micro-imprese) e, infine, nell’esercizio 2028 (con rendicontazione nel 2029) si estenderà alle imprese non appartenenti all’Unione Europea individuate dalla normativa.

Gli ulteriori aspetti introdotti per le imprese operanti in Italia

La normativa italiana introduce ulteriori aspetti che riguardano le imprese operanti in Italia. Innanzitutto, in aggiunta a quanto previsto dalla direttiva europea, il decreto stabilisce che le aziende debbano informare i rappresentanti dei lavoratori sulle questioni relative alla sostenibilità e di discuterne, fornendo loro i mezzi per ottenere e verificare tali informazioni. I rappresentanti dei lavoratori devono, a loro volta, comunicare i loro eventuali pareri all’organo amministrativo e di controllo.

Per le imprese di paesi terzi, è richiesto che la relazione sulla sostenibilità della società figlia o succursale sia redatta in conformità agli standard europei ESRS o con criteri equivalenti. Se la società madre extra-europea non fornisce la relazione, la società figlia o la succursale dovranno richiedere tutte le informazioni necessarie per adempiere agli obblighi. Qualora queste informazioni non fossero disponibili, la relazione dovrà essere redatta con le informazioni in loro possesso, accompagnata da una dichiarazione che attesti la mancata collaborazione della società madre.

Infine, il decreto assegna agli amministratori delle società la responsabilità di garantire la conformità delle informazioni fornite, prevedendo sanzioni pecuniarie in caso di inadempienza. Nei primi due anni dall’entrata in vigore, le sanzioni non potranno superare i 125.000 euro per le società di revisione e i 50.000 euro per i revisori della sostenibilità. La Consob, fino all’adozione di principi europei definitivi, definirà quelli provvisori per la corretta attestazione.

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