giovedì, Novembre 6, 2025

A Gaza il genocidio è anche ecocidio

Un nuovo studio delle università di Edimburgo e Oxford stima circa 36,8 milioni di tonnellate metriche di detriti edilizi prodotti nella Striscia di Gaza nel periodo da ottobre 2023 a dicembre 2024. I danni alla salute e gli impatti ambientali dipenderanno dagli strumenti disponibili per rimuoverli

Enrica Muraglie
Enrica Muraglie
Giornalista indipendente, ha scritto per il manifesto, Altreconomia, L'Espresso. Fa parte della rete FADA.

La Striscia di Gaza non sta morendo di fame, è stata ridotta alla fame. Tanto basterebbe – come se mancassero elementi – per validare l’accusa a Israele di “genocidio”, nella definizione della Convenzione delle Nazioni Unite del 1948. La riduzione alla fame della popolazione, infatti, può essere ritenuta una pratica genocidaria se commessa con “l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”, si legge nella Convenzione. “Non si tratta solo di uccidere o perseguitare, ma di un disegno deliberato e pianificato di annientamento collettivo”. E svuotare Gaza della sua popolazione è un obiettivo dichiarato e perseguito dal governo dell’estrema destra israeliana

Una premessa necessaria per scardinare l’idea che sulla guerra – ammesso che si possa definire tale – in corso a Gaza e nella Cisgiordania occupata ci possano essere interpretazioni, punti di vista, opinioni. È una questione limpida tanto quanto dolorosa, e non ci sono “parti”: sono crimini di guerra e crimini contro l’umanità per i quali pendono dei mandati d’arresto da parte della Corte penale internazionale. È un genocidio in diretta da 22 mesi, che non arriva all’improvviso o a seguito del 7 ottobre 2023 ma “deve essere compreso nel contesto di oltre settant’anni in cui Israele ha imposto un regime violento e discriminatorio ai palestinesi”, scrive nel suo ultimo rapporto, pubblicato pochi giorni fa, l’ong israeliana B’Tselem, che da 35 anni monitora le violazioni dei diritti umani di Israele nei territori occupati.

Già a dicembre 2023 l’Unicef avvertiva che Gaza è il posto più pericoloso al mondo in cui esser bambini e bambine.  E a gennaio 2024 un rapporto di Oxfam documentava che nessun conflitto del XXI secolo aveva conosciuto un impatto così distruttivo su una popolazione, in un arco di tempo così breve. Nel momento in cui scriviamo, l’emittente qatariota Al Jazeera riporta oltre 60 mila morti nella Striscia da ottobre 2023. Il numero dei dispersi, tuttavia, è incalcolabile. 

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Sopportare il caldo tra le macerie

Mentre le persone palestinesi muoiono a decine ogni giorno sotto i bombardamenti, di fame o in fila per gli aiuti umanitari, a Gaza non c’è neanche più riparo dal caldo soffocante. Le temperature in questi giorni si aggirano intorno ai trenta gradi. L’esercito israeliano ha spianato tutto ciò che poteva fare ombra e servire per rinfrescarsi: edifici e alberi. 

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Fonte: Pixabay

Il 12 luglio scorso il portavoce dell’esercito israeliano ha annunciato sul social X (l’ex Twitter) una misura che era già in vigore dal 7 ottobre 2023 per i pescatori, e che adesso riguarda tutti i gazawi: il divieto di fare il bagno al mare.

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L’ecocidio a Gaza

“Ogni serio tentativo di ricostruzione richiede una fine urgente e permanente del genocidio, dell’occupazione militare e dell’assedio di Gaza”, stabilisce in maniera perentoria uno studio pubblicato il 17 luglio dalle università di Edimburgo e Oxford, a firma Samer Abdelnour e Nicholas Roy.  “Mentre il nostro contributo è basato su stime, alcune perdite sono incommensurabili e irrimediabili: l’immensa perdita di vite umane e l’annientamento di intere famiglie; le afflizioni fisiche e i traumi psicologici che richiederanno cure per tutta la vita e per generazioni; la distruzione delle case, dei siti storici e del patrimonio culturale; e la devastazione dell’ambiente naturale e il danno al clima”. 

Già negli anni precedenti al 2023 “meno del 3 per cento dell’acqua di Gaza soddisfaceva gli standard dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) per il consumo umano”, documenta il rapporto “Ecocidio: la deliberata e sistematica distruzione dell’ambiente a Gaza da parte di Israele” dell’ong palestinese Al Mezan

Lo studio di Edimburgo e Oxford stima circa 36,8 milioni di tonnellate metriche di detriti edilizi prodotti soltanto nel periodo da ottobre 2023 a dicembre 2024. Per dare un’idea della portata: equivalgono a 3680 Tour Eiffel. I tempi associati al trattamento di questi detriti e le emissioni di carbonio risultanti dipendono dal tipo di macchinario disponibile per la selezione, il trasporto e la frantumazione degli stessi. 

“Lo spostamento dei detriti dagli edifici ai siti di smaltimento richiederebbe oltre 2,1 milioni di viaggi con camion, corrispondenti a incredibili 29,5 milioni di chilometri percorsi (equivalenti a circa 736,5 volte la circonferenza terrestre), generando circa 65.642,40 tonnellate di CO2 equivalente”. 

È chiaro che “qualsiasi scenario che impedisca ai palestinesi di Gaza di accedere a macchinari pesanti (gru, escavatori eccetera, ndr) aggiungerà decenni al lavoro di rimozione e trattamento dei detriti, ritardando sostanzialmente le possibilità di ricostruzione”, oltre a importanti impatti sulla salute derivanti dallo smaltimento di un tale volume di detriti nella piccola e densamente popolata enclave palestinese. 

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Fonte: Pixabay

Lo studio ricorda poi che “Israele ha a lungo impedito l’ingresso di macchinari pesanti e pezzi di ricambio per riparare le macchine a Gaza e ha mirato specificamente ai macchinari pesanti usati per scavare e rimuovere detriti, compresi quelli recentemente autorizzati durante la cessazione temporanea della violenza”.

Inoltre “polveri, inquinanti atmosferici e rumore generati dal movimento quotidiano di centinaia di camion” avrebbero un impatto significativo sui palestinesi di Gaza, soprattutto su ingegneri civili e altri professionisti che gestirebbero il lavoro di trattamento dei detriti contaminati e pericolosi. 

Samer Abdelnour e Nicholas Roy sottolineano che le loro previsioni si basano sulla rete stradale preesistente a Gaza, gran parte della quale è distrutta. E poi gli “edifici classificati come moderatamente danneggiati potrebbero essere considerati non abitabili e destinati a demolizione e ricostruzione, il che aumenterebbe notevolmente le nostre stime così come i rischi ambientali e sanitari dovuti alle tossine”. 

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La guerra è incompatibile con la cura dell’ambiente

La preservazione dell’ambiente non può essere un obiettivo del governo di Netanyahu e tanto meno dell’esercito israeliano, che questo mese a Gaza ha ucciso una persona ogni 12 minuti, dati dell’ong Islamic Relief. Luglio ha il primato di essere il mese più mortale da gennaio 2024, con una media di 119 palestinesi uccisi ogni giorno. Nel suo “Un dettaglio minore”, la scrittrice palestinese Adania Shibli riporta una lettera datata 21 maggio 1915. È scritta da un artista palestinese, e indirizzata alla moglie: “Sembra essere tutto frutto dell’immaginazione, c’è un uomo che frigge patate sopra a una tomba accanto al suo rifugio. La vita si è trasformata in una grottesca farsa”. 

Più di un secolo dopo, ci troviamo ancora immersi nella stessa tragedia, prigionieri degli stessi progetti coloniali e imperialisti, ma con mezzi di distruzione più sofisticati, più chirurgici, più disumanizzanti. 

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