Il 7 aprile si celebra la Giornata Mondiale della Salute, un’occasione fondamentale per sensibilizzare il pubblico e stimolare azioni concrete sui temi cruciali che interessano il benessere globale.
Questa giornata, istituita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ci offre una base per discutere e riflettere su come i fattori ambientali influenzino direttamente la nostra salute. Parlando anche delle forme meno conosciute di inquinamento, come quelle discusse in questo articolo, possiamo evidenziare aspetti spesso trascurati ma che hanno un impatto significativo sulla nostra qualità della vita e sulla nostra salute a lungo termine.
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Salute, inquinamento e prevenzione
La salute, infatti, non è solo l’assenza di malattia, ma anche il risultato di un ambiente sano e di scelte consapevoli che riducono l’esposizione a sostanze nocive. Questa giornata è quindi un momento per riflettere sulla nostra responsabilità individuale e collettiva nel promuovere una consapevolezza pubblica e pratiche sostenibili che tutelino non solo la nostra salute, ma anche quella del Pianeta perché questa stessa finisce per riflettersi su di noi.

Se la salute è una ricchezza inestimabile, la prevenzione rappresenta la sua custode più efficace. Prevenire le malattie migliora la qualità della vita, e riduce anche il carico sui sistemi sanitari e sulle risorse economiche delle comunità. In questo contesto, la prevenzione dell’inquinamento assume un ruolo cruciale come strategia di salute pubblica.
Il legame tra inquinamento e numerose patologie croniche è infatti ampiamente documentato.
Quali sono le forme di inquinamento più frequenti
L’inquinamento ambientale è spesso associato solamente a immagini di ciminiere che emettono fumo o rifiuti galleggianti in corsi d’acqua. Questo ovviamente è corretto. Ad esempio, l’esposizione a inquinanti atmosferici è correlata a malattie respiratorie e cardiovascolari, mentre alcune sostanze chimiche tossiche nell’acqua possono influenzare negativamente il sistema endocrino e la salute riproduttiva. Tuttavia, molte forme di inquinamento sono meno visibili ma altrettanto pericolose e affliggono quotidianamente la nostra salute.
Ridurre l’esposizione a queste sostanze nocive attraverso politiche ambientali efficaci, regolazioni più stringenti, tecnologie più pulite e la conoscenza di cosa possa fare ogni singolo individuo può significativamente diminuire l’incidenza di queste malattie. Per far ciò però è fondamentale che ognuno conosca quali sono le principali fonti di esposizione.
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Inquinamento atmosferico: oltre le industrie
L’inquinamento atmosferico è un nemico silenzioso che affligge molte regioni del mondo, inclusa l’Italia, con effetti devastanti sulla salute pubblica. Oltre alle ben note fonti di inquinamento come le emissioni industriali e gli scarichi dei veicoli, esistono numerose altre fonti che contribuiscono significativamente alla qualità dell’aria che respiriamo, spesso sottovalutate o trascurate.
Ad esempio, le attività agricole possono rilasciare vari inquinanti, tra cui ammoniaca e particolato fine, che derivano dall’uso di fertilizzanti e pesticidi, così come dalle emissioni di macchinari agricoli. Anche il riscaldamento domestico, specialmente attraverso l’utilizzo di legna e pellet e altri combustibili solidi, è una fonte importante di particolato sottile e altri inquinanti atmosferici nocivi. Durante i mesi invernali, l’uso di questi combustibili per il riscaldamento può significativamente peggiorare la qualità dell’aria nelle aree urbane e rurali.
Queste fonti di inquinamento contribuiscono a un cocktail di sostanze nocive nell’atmosfera, che possono causare o aggravare numerose malattie respiratorie e cardiovascolari. Studi hanno dimostrato che l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico aumenta significativamente il rischio di malattie croniche come l’asma, la bronchite cronica, il cancro ai polmoni, e può portare a una riduzione dell’aspettativa di vita.
In Italia l’inquinamento atmosferico è responsabile di decine di migliaia di morti premature ogni anno. Le aree urbane densamente popolate, dove il traffico veicolare è intenso e la conformazione geografica non favorevole a un ricambio d’aria, sono particolarmente vulnerabili.
Inquinamento indoor: i nemici nascosti in casa
L’inquinamento indoor può essere più insidioso di quello esterno. L’uso domestico di prodotti per la pulizia, vernici e solventi, ad esempio, rilascia composti organici volatili (COV) nell’aria di casa. Questi possono causare problemi respiratori, mal di testa e altri disturbi alla salute. Per ridurre questi rischi, è utile utilizzare prodotti con etichette che indicano bassa emissione di COV e assicurarsi che gli ambienti domestici siano ben ventilati, specialmente durante l’uso di prodotti chimici.
Ad aiutare a fare da filtro sono anche le piante ma per un risultato efficace ne servirebbero davvero molte e in particolar modo appartenenti a categorie specifiche. I dati dicono che le alleate “verdi” potrebbero contribuire a ridurre del 20% le emissioni di anidride carbonica negli ambienti chiusi”.

Ma non solo. Materiali da costruzione, mobili e persino dispositivi elettronici possono rilasciare sostanze tossiche come formaldeide, COV, e ftalati. Per contrastare questo problema, è utile scegliere mobili e materiali edili con certificazioni di bassa emissione di sostanze nocive e utilizzare piante d’interno che possono aiutare a purificare l’aria.
Inquinamento idrico: la minaccia dei PFAS
Partiamo da una premessa: sebbene l’Italia sia tra i Paesi con una qualità di acqua pubblica altissima, siamo purtroppo anche tra gli Stati ove le persone acquistano di più acqua in bottiglia. Informazione e trasparenza sono chiavi fondamentali per poter invertire questa tendenza. Vi è un grande “però”. Proprio recentemente l’acqua di alcune aree d’Italia è sotto i riflettori per la denuncia portata avanti da Greenpeace Italia sui cosiddetti PFAS (sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche) sigla che indica una classe di composti chimici utilizzati per rendere i materiali resistenti all’acqua e alle macchie.
Nonostante la loro utilità, i PFAS sono estremamente persistenti nell’ambiente e sono stati collegati a numerosi problemi di salute, inclusi il cancro e il disturbo della funzione tiroidea. Secondo una campagna di indagine condotta da Greenpeace nell’autunno 2024, tali sostanze sono state rilevate nel 79% dei campioni di acqua potabile analizzati
Ma non solo, in diverse città la situazione è risultata particolarmente critica per la concentrazione particolarmente alta. Al grido di “Chiediamo un’acqua potabile pulita e non contaminata!” e “Acqua senza veleni”, la nota associazione ambientalista ha portato avanti una battaglia a livello politico e finalmente lo scorso 27 marzo è arrivato in Parlamento il decreto-legge 260/2025 anti-PFAS cui obiettivo è ridurre i livelli consentiti di queste sostanze pericolose nelle nostre acque potabili.
Ma c’è un’altra novità: per la prima volta sarà fissato un limite nelle acque potabili anche per il TFA (Acido Trifluoroacetico). Si tratta di una delle molecole della classe dei PFAS (sostanze poli- e per-fluoroalchiliche) più presenti sul pianeta e che negli ultimi anni si è diffusa ampiamente anche in Italia. Il nuovo limite è uguale a quello introdotto in Germania – anche se ben lontano da valori più cautelativi per la salute umana introdotti da altri Paesi come la Danimarca (2 nanogrammi per litro) o la Svezia (4 nanogrammi per litro) – è comunque un importante passo in avanti.
Prosegue poi Greenpeace nella spiegazione che il limite di 20 nanogrammi per litro andrà ad aggiungersi a quello fissato dall’UE, pari a 100 ng/L (nanogrammi per litro) per la somma di 24 molecole, che entrerà in vigore in Italia dal 12 gennaio 2026. Sottolinea però la nota associazione ambientalista che l’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) e l’Agenzia europea per l’ambiente considerano il limite di 100 ng/L inadeguato per proteggere la salute umana.
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Inquinamento da contatto: i vestiti che indossiamo possono irritare la pelle se…
L’inquinamento non viene solo inalato o ingerito – può anche essere assorbito attraverso la pelle. Vestiti realizzati con materiali di scarsa qualità, trattati con sostanze chimiche, come coloranti tossici o ritardanti di fiamma, possono rappresentare una fonte insidiosa di esposizione tossica. Per minimizzare questo rischio, è consigliabile scegliere capi in cotone organico, lino o lana, che hanno meno probabilità di essere trattati con sostanze chimiche nocive, e lavare i vestiti nuovi prima di indossarli per ridurre la presenza di sostanze chimiche residue.
Come riporta anche un approfondimento pubblicato dal Policlinico di Milano, la moda è come una seconda pelle e il proliferare di capi di fast fashion, ovvero indumenti prodotti in breve tempo e per soddisfare mode temporanee, possono avere effetti negativi sulla salute del Pianeta ma anche di chi li indossa. Una delle conseguenze sul piano della salute è quella relativa alle dermatiti allergiche da contatto provocate da sostanze presenti nei tessuti.
Riporta sempre l’approfondimento del Policlinico di Milano come “le principali sostanze sensibilizzanti presenti negli indumenti includono coloranti dispersi, formaldeide (un conservante), resine per il finissaggio anti-stropicciamento, composti del cromo e del nichel, oltre ai ritardanti di fiamma e ai biocidi utilizzati per prevenire la formazione di muffe nei capi trasportati su lunghe distanze. La reazione può manifestarsi immediatamente dopo averli indossati o comparire dopo ore o addirittura giorni”.
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Microplastiche: facciamo prima a dire dove non sono presenti
Le microplastiche, frammenti di plastica di dimensioni inferiori a 5 millimetri, sono onnipresenti nell’ambiente e hanno ormai contaminato mari, terreni, acqua che beviamo e anche l’aria che respiriamo. Solo per citare l’ultimo studio in termini temporali, una gomma da masticare in media rilascia 100 frammenti di microplastiche ogni grammo e ognuna solitamente pesa tra i 2 e i 100 grammi.
Ormai i dati dicono che le troviamo ovunque e si stima che se ne ingerisca una quantità equivalente a 5 grammi a settimana. Queste particelle possono entrare nel nostro corpo tramite l’ingestione o l’inalazione, portando potenzialmente a effetti tossici. Per ridurre la presenza di microplastiche, è importante minimizzare l’utilizzo di prodotti in plastica usa e getta e promuovere ulteriori studi che esplorino gli effetti delle microplastiche sulla salute umana e sviluppare soluzioni per mitigarne la diffusione.
L’inquinamento come abbiamo appena visto con una serie di esempi è un problema complesso che affligge diversi aspetti della nostra vita quotidiana, spesso in modi che non notiamo. Prendendo consapevolezza delle fonti meno ovvie di inquinamento e adottando pratiche quotidiane più sostenibili, possiamo cercare di migliorare la nostra salute e contribuire al benessere del Pianeta.
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