Dopo il clamoroso rinvio della direttiva Green Claims da parte della Commissione europea c’era da attendersi una reazione. D’altra parte il testo normativo proposto, che intende imporre alle aziende di dimostrare scientificamente e in modo verificabile le proprie affermazioni ambientali, è sin dal 2023, quando fu proposto dalla stessa Commissione, uno dei perni della credibilità del Green Deal. E reazione c’è stata.
Un anno dopo le elezioni europee che hanno visto trionfare una maggioranza – Partito Popolare Europeo, socialisti e liberali – simile a quella della scorsa legislatura, tale maggioranza si è nel frattempo spostata molto più a destra, a partire dalla stessa presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Col risultato che in appena un anno molte delle ambizioni ambientali sono state sacrificate, smorzate, annullate. Quasi sempre nell’ottica della semplificazione, che in realtà si è concretizzata in un’ampia deregolamentazione.
Di questo andazzo una delle più evidenti testimonianze è appunto il clamoroso, e per certi versi persino inaspettato nella sua immediatezza, passo indietro della Commissione europea sulla direttiva Green Claims, dopo che nei giorni scorsi era apparsa sulla scena una lettera – resa nota dal magazine Euractive – in cui il Partito popolare europeo si scaglia contro il provvedimento già sottoposto al vaglio dell’EuroCamera e poi del Consiglio europeo, con diverse proposte di ridimensionamento già emerse in quest’ultimo passaggio.
La comunicazione sulla sostenibilità, dunque, può attendere ancora? Per quanto tempo? Soprattutto preoccupa il segnale che emerge da tale decisione: non solo perché, come hanno titolato in molti, “l’UE si spacca al proprio interno” ma anche per la credibilità delle istituzioni europee, che fino a un anno e mezzo fa si ergevano a paladine della sostenibilità. È (anche) in questo quadro che vanno inquadrati i commenti, le reazioni e le indiscrezioni che sono emerse e che qui sintetizziamo.
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Incredulità, indignazione e ancora speranze: le reazioni dopo lo stop alla Green Claims
“Non uccidete la direttiva Green Claims”: è il titolo netto scelto da alcune delle più stimate ong a livello europeo – European Environmental Bureau, ECOS, ClientEarth e Carbon Market Watch – per commentare la scelta della Commissione di ritirare del tutto la proposta prima ancora che i negoziati si siano conclusi. “Il greenwashing è ovunque in Europa: oltre il 75% dei prodotti riporta dichiarazioni ecologiche, e più della metà di queste sono fuorvianti o infondate – ricordano le ong – La direttiva Green Claims è stata progettata per risolvere questo problema e aiutare i consumatori a fare una scelta veramente ecologica. Non possiamo permetterci che la direttiva venga sacrificata nell’ambito di una crociata politica infondata per la deregolamentazione”.

Se era prevedibile la reazione del mondo ambientalista lo era anche quello delle altre istituzioni europee, spiazzate e messe in ombra dalla scelta della Commissione. In particolare il Parlamento europeo si è espresso in maniera netta, per bocca di Anna Cavazzini (Verdi/ALE, DE), presidente della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, e Antonio Decaro (S&D, IT), presidente della commissione per l’ambiente, il clima e la sicurezza alimentare.
“Questo modus operandi – dicono Cavazzini e Decaro – potrebbe costituire un pericoloso precedente per il processo legislativo e le procedure istituzionali, portando a un confronto inutile e evitabile tra i colegislatori. Non riteniamo che sia giusto privare il Parlamento dell’opportunità di finalizzare i negoziati su una direttiva dopo due anni di processo legislativo e innumerevoli ore di lavoro. Ci viene quindi impedito di discutere e, si spera, concordare un’importante direttiva che serve a costruire la consapevolezza ambientale e la fiducia dei consumatori rendendo le indicazioni di marketing ambientale più affidabili e verificabili. Inoltre combattere il greenwashing creerebbe condizioni di gioco più equo per le aziende che già funzionano in modo sostenibile. In qualità di presidenti delle commissioni competenti al Parlamento europeo, siamo pronti a proseguire i negoziati il più presto possibile riprendendo il dialogo istituzionale”.
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Le indiscrezioni di Politico sulle responsabilità dello stop alla direttiva Green Claims
Le parole degli italiani Cavazzini e Decaro non esauriscono il ruolo dell’Italia in questa vicenda. Cosa c’entra il nostro Paese con la sospensione alla direttiva Green Claims decisa dalla Commissione il 23 giugno? A quanto pare molto. Secondo un’indiscrezione di Politico, un portale sempre ben informato sui retroscena delle istituzioni europee, gli Stati dell’UE hanno abbandonato il tavolo di confronto sul testo anti-greenwashing dopo l’annuncio da parte dell’Italia di volersi ritirare. Politico sostiene di aver visionato il testo col quale l’Italia ha abbandonato le trattative lo scorso fine settimana. “Siamo stati incaricati di comunicarvi che l’Italia non sostiene l’adozione della proposta e ne sostiene il ritiro da parte della Commissione”, avrebbe detto un funzionario del governo alla presidenza polacca del Consiglio dell’Unione Europea.

Il governo Meloni non ha confermato né smentito tale indiscrezione. Ma resta il fatto che il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) si è contraddistinto in questi ultimi anni per una pervicace operazione di “sabotaggio” di molte direttive e regolamenti europee: dalla direttiva SUP (contro la plastica monouso) allo stop dal 2035 alla produzione di auto col motore a combustione. Indizi che non fanno una prova ma che comunque aiutano a comprendere perché tale notizia non appare certamente poco plausibile.
Un’altra notizia interessante pubblicata da Politico ha invece rilevato che la spagnola Teresa Ribera, ex ministra della Transizione ecologina nel governo Sanchez e attuale vicepresidente della Commissione, si è invece battuta affinché la Commissione mantenesse il testo della direttiva Green Claims. Un impegno che però non è andato a buon fine. “Una Ribera chiaramente frustrata – ha scritto Politico – si è rivolta ai social media con un messaggio che sembrava diretto non solo ai legislatori europei e ai governi nazionali, ma anche alla sua stessa Commissione. “Puoi affermare di essere verde o puoi decidere di non farlo. Ma i consumatori meritano rispetto. Dovremmo onorare la loro fiducia e garantire un supporto informativo affidabile”, ha scritto sul social network Bluesky.
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