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domenica, Dicembre 15, 2024

Ridurre il taglio dell’erba per salvaguardare la biodiversità

Questo maggio consideriamo l’ipotesi di fornire agli insetti e alla biodiversità una chance in più, semplicemente lasciando i prati un po' più selvaggi

Letizia Palmisano
Letizia Palmisanohttps://www.letiziapalmisano.it/
Giornalista ambientale 2.0, spazia dal giornalismo alla consulenza nella comunicazione social. Vincitrice nel 2018 ai Macchianera Internet Awards del Premio Speciale ENEL per l'impegno nella divulgazione dei temi legati all’economia circolare. Co-ideatrice, con Pressplay e Triboo-GreenStyle del premio Top Green Influencer. Co-fondatrice della FIMA, è nel comitato del Green Drop Award, premio collaterale della Mostra del cinema di Venezia. Moderatrice e speaker in molteplici eventi, svolge, inoltre, attività di formazione sulle materie legate al web 2.0 e sulla comunicazione ambientale.

A maggio c’è chi si lamenta di parchi e ville con prati incolti e chi invece scuote la testa quando l’erba viene tagliata (troppo spesso). Quest’ultima posizione vi pare bizzarra? Eppure, se vista con lenti verdi, non lo è. In un mondo in cui la biodiversità sta affrontando sfide senza precedenti, iniziative come il “No Mow May” (espressione inglese che indica la richiesta di “maggio senza potatura) o la riduzione della frequenza degli sfalci stanno guadagnando letteralmente terreno, anzi prato. Queste pratiche infatti vengono studiate per essere attuate dai proprietari di giardini e dagli amministratori di spazi verdi pubblici che decidono di non tagliare (o ridurne la frequenza) l’erba in maggio per uno scopo preciso: permettere ai fiori selvatici di crescere liberamente offrendo, in tal modo, nutrimento e rifugio a numerosi insetti tra cui gli impollinatori, essenziali per il mantenimento della salute degli ecosistemi.

La pianificazione dello sfalcio ridotto – nata sostanzialmente in primis tra i privati – è ultimamente arrivata anche alle pubbliche amministrazioni in diverse città d’Europa. Ad aderire quest’anno è anche il comune di Milano. Nella discussione che ne è nata – come raccontato dal Post -peraltro, si è posto in evidenza anche un ulteriore “effetto collaterale” benefico, ovvero il risparmio economico.

Ovviamente la buona pratica deve trovare attuazione nel caso concreto adeguandosi alle tante variabili locali – clima, funzione dell’area verde e così via – ma sappiate che tutto ciò si basa su un fondamento preciso: la salvaguardia degli insetti e la loro funzione ecosistemica.

Perché gli insetti sono così importanti per la biodiversità

Gli insetti svolgono un ruolo cruciale all’interno di numerosi processi ecologici come, ad esempio, l’impollinazione che è essenziale per la riproduzione di molte piante. A loro volta, le piante forniscono cibo ed habitat ad una vasta gamma di altre specie animali. All’opera degli impollinatori – come le api, le farfalle e molti altri insetti – è quindi ricollegabile una percentuale rilevante della produzione mondiale di cibo.

Purtroppo, a livello globale, il numero di insetti è in declino a causa di una combinazione di fattori tra cui la perdita di habitat, l’uso di pesticidi, l’inquinamento e i cambiamenti climatici. Tale diminuzione ha implicazioni dirette non solo sulla biodiversità, ma anche sulla sicurezza alimentare e sulla stabilità degli ecosistemi.

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Foto: Canva

La sesta estinzione di massa, la prima causata dall’umanità

Secondo i dati divulgati dal rapporto “Assessment Report on the Different Value and Valuation of Nature” dell’IPBES – la Piattaforma intergovernativa di politica scientifica sulla biodiversità e i servizi ecosistemici, massima autorità scientifica in tema di biodiversità – la natura sta diminuendo a livello globale a tassi senza precedenti nella storia, e il tasso di estinzione delle specie sta accelerando. Ciò riguarda non solo grandi vertebrati e mammiferi.

IPBES sostiene che circa 1 milione di specie (un quarto di quelle conosciute) è a rischio d’estinzione. Di queste specie, il 50% potrebbe estinguersi entro la fine del secolo in corso. Gli autori del rapporto hanno coniato l’espressione “dead species walking” per le circa 500 mila specie non ancora estinte, ma che a causa della distruzione e degradazione degli habitat a loro disposizione e ad altri fattori legati alle attività umane (sovra-sfruttamento, inquinamento, cambiamenti climatici e diffusione di specie aliene invasive) vedono ridurre le loro probabilità di sopravvivenza nel lungo periodo.

Per gli insetti, i dati disponibili fanno ritenere che almeno il 10% delle specie sia minacciato di estinzione e molto più alti sono i numeri relativi alle specie di insetti che stanno diminuendo. Sono diversi gli studi che rilevano come l’estinzione degli insetti possa produrre un preoccupante effetto domino che potrebbe impattare “pesantemente sulle reti alimentari, con conseguenze devastanti per le colture e la biodiversità”, come ricorda Elizabeth Kolbert, giornalista scientifica del New Yorker autrice del libro “La sesta estinzione: una storia innaturale.

Secondo molti scienziati infatti stiamo vivendo come sesta estinzione di massa, la prima causata dal genere umano.

Leggi anche: “Premio Nobel per l’ambiente” a Johan Rockström: ha individuato i planetary boundaries

La biodiversità trova casa in prati meno “curati”

Lasciare l’erba alta (o meglio, a una giusta altezza, a breve vi spiegheremo cosa vuol dire) nel mese di maggio può sembrare una piccola azione, ma i suoi benefici sono significativi. Durante questi mesi di primavera, molti fiori selvatici hanno l’opportunità di crescere, fiorire e completare il loro ciclo vitale. Questi fiori forniscono una fonte cruciale di nettare e polline per gli impollinatori, ma non solo. I prati non falciati offrono rifugio ad una moltitudine di specie di insetti, creando un microhabitat che può supportare una biodiversità notevolmente maggiore rispetto ad un prato regolarmente tagliato. Questi spazi possono servire come corridoi ecologici vitali che permettono agli insetti di spostarsi tra diverse aree facilitando, così, la loro sopravvivenza e diffusione.

Tutto ciò peraltro è stato raccontato pochi giorni fa dal Post – in un articolo talmente interessante da spingerci ad aggiornare quanto state leggendo, prima della sua pubblicazione – che ha messo in luce una ricerca condotta nel 2022 dalla Freie Universität di Berlino che ha posto a confronto i risultati di più di venti studi scientifici, compiuti in Europa e Nord America, relativi ai rapporti tra diverse frequenze di sfalcio e la diffusione di artropodi nelle città.

Ne è emerso che, riducendo i tagli, si registra un aumento del numero di tali insetti ma non solo: tutto ciò finisce per aumentare la biodiversità. Pensate che, invece, nei parchi e nei giardini urbani “più curati” – ovverosia soggetti a sfalci – si manifesta una predominanza delle specie ritenute dannose come zecche, zanzare ed alcune larve di coleotteri. Lasciare crescere l’erba, invece, consente la proliferazione anche di predatori naturali di questi parassiti.

Diradare il taglio dell’erba ma evitare gli eccessi del prato troppo alto

Consentire alle piante erbacee di completare il proprio ciclo vegetativo in città, come abbiamo visto, è quindi oggi fondamentale. Bisogna, però, comprendere come mettere in pratica tutto ciò nel modo migliore tenendo conto delle diverse variabili sia in relazione all’utilizzo degli spazi – ad esempio non è possibile lasciar crescere l’erba in un’area-cani – sia anche dal punto di vista naturalistico. Proprio per questo, se diradare gli sfalci o differenziare i tagli, a seconda delle aree, è una buona pratica, non è detto che non intervenire per un mese intero possa essere una condotta sostenibile dal punto di vista ambientale.

Bisogna innanzitutto ricordare che la pratica No Mow May nasce in Gran Bretagna e che il clima del luogo è diverso, ad esempio, dal nostro. Tale misura non è immune da critiche: Esther McGinnis, professoressa associata della Nord Dakota State University, sostiene che, per coltivare prati sani, non bisogna tagliare mai più di un terzo dell’altezza del tappeto erboso alla volta. Ad esempio, se si lascia crescere il prato di 4,5 pollici di altezza, la lunghezza massima che può essere tagliata in una sola volta è quella di 1,5 pollici mantenendo, quindi, un prato alto 3 pollici. Secondo gli studi della Professoressa McGinnis se il prato venisse fatto crescere fino a giugno, il taglio effettuato prima dell’estate causerebbe uno stress al manto erboso riducendo la sua capacità di sopportare il caldo e la siccità.

Una seconda preoccupazione – rileva la docente – è che poche persone hanno a disposizione attrezzature per la falciatura in grado di gestire l’erba alta. Di conseguenza, qualora falciassero l’erba solamente a giugno, potrebbero lasciare sul prato ampie strisce di “fieno”. L’erba eccessivamente lunga può soffocare il prato e dovrà essere rastrellata, privando così il prato delle sostanze nutritive contenute nell’erba tagliata.

prati erba
Foto: Canva

Numerosi altri vantaggi ambientali dell’”erba alta”

I vantaggi ecologici relativi a una riduzione dei tagli dell’erba non finiscono qui e proviamo ad elencarne alcuni.

Educazione ambientale e visiva

Mentre alcuni possono preoccuparsi dell’aspetto “trascurato” che i prati non tagliati possono acquisire, è essenziale riconoscere e celebrare la bellezza naturale e spontanea dei fiori selvatici. Educare la comunità sull’importanza ecologica di tali pratiche può anche trasformare la percezione pubblica, valorizzando la naturalezza rispetto alla mera cura estetica.

Promuovere questo genere di approccio può anche rappresentare uno strumento educativo utile a stimolare discussioni su pratiche sostenibili e ad aumentare la consapevolezza ambientale coinvolgendo la comunità locale nella conservazione degli ecosistemi.

Miglioramento della salute del suolo

Non sfalciare il prato consente di mantenere una copertura vegetale più densa che protegge il suolo dall’erosione causata da vento e pioggia. Generalmente i prati che non vengono sfalciati regolarmente richiedono una minore irrigazione. La vegetazione più alta protegge il suolo dal sole diretto riducendo l’evaporazione dell’acqua. Questo fenomeno può essere particolarmente importante in aree soggette a siccità dove la conservazione dell’acqua costituisce una priorità.

Riduzione dell’uso di risorse e valorizzazione dell’economia circolare dei prati

Tagliare l’erba richiede l’utilizzo di falciatrici e macchinari che consumano energia elettrica o carburanti fossili. Le falciatrici a gasolio, del resto, emettono gas serra e altri inquinanti nell’atmosfera. Riducendo la frequenza di taglio si riduce l’impronta di carbonio associata alla manutenzione del prato e si contribuisce a limitare l’inquinamento atmosferico e acustico. Tutto ciò peraltro è in linea coi principi dell’economia circolare. Questo modello di gestione vede ridursi l’intervento umano – che, in questo caso, consiste nel taglio e nello smaltimento dell’erba – ma anche valorizzare le capacità ecologiche dei prati. Lasciando crescere l’erba naturalmente si favorisce, quindi, un sistema che si auto-sostiene attraverso la promozione della biodiversità e il miglioramento della salute del suolo.

Supporto agli ecosistemi più grandi

I prati incolti possono rappresentare corridoi ecologici di collegamento per diverse aree naturali, permettendo agli animali di spostarsi tra diversi habitat senza essere esposti a pericoli. Questa funzione è particolarmente importante in ambienti urbani o semi-urbani dove gli spazi verdi sono frammentati.

Leggi anche: Città circolari a rapporto: quali sono i casi virtuosi europei

Riprogettare la gestione del verde non è solo un gesto simbolico

Analizzare la gestione del verde nelle diverse stagioni e decidere di ridurre gli sfalci non è quindi solo un gesto simbolico, ma rappresenta una pratica concreta che può contribuire significativamente alla conservazione degli impollinatori e alla tutela della salute degli ecosistemi. Lasciando crescere i prati in aree selezionate (come parchi meno frequentati o margini di proprietà private) possiamo ottenere risultati tangibili. Questo maggio consideriamo l’ipotesi di fornire agli insetti e alla biodiversità una chance in più, semplicemente lasciando il nostro prato un po’ più selvaggio (senza farlo diventare una giungla). Con piccoli gesti come questo, possiamo contribuire ad un cambiamento positivo per un ambiente più sostenibile e ricco di vita.

Non solo: la riprogettazione della gestione del verde urbano e privato in un’ottica di sostenibilità, rispettosa dell’ambiente ed economicamente vantaggiosa, riducendo i costi operativi e di manutenzione, dimostra che le pratiche di economia circolare possono trovare applicazione in vari settori – inclusa la gestione dei paesaggi – promuovendo un futuro più verde e resiliente.

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