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sabato, Dicembre 14, 2024

Bagnoli, il futuro dopo la fabbrica: la rigenerazione come occasione lavorativa

Per immaginare un riscatto a Bagnoli c'è bisogno di lavoro. E per ottenerlo i movimenti spingono per le "clausole sociali", cioè vincolare una percentuale delle assunzioni al bacino di forza lavoro del territorio. Una pratica ancora tutta da costruire e che però appare l'unico spiraglio per costruire un futuro condiviso

Jennifer Riboli
Jennifer Riboli
Cremasca di origine e bresciana d'adozione, classe 1988. Ha una laurea in Giurisprudenza in tasca e una magistrale in Giornalismo e Comunicazione Multimediale a Parma in corso, scrive di temi sociali e diritti. Per BresciaToday segue le cronache cittadine e istituzionali di Brescia

La grande difficoltà di vivere a Bagnoli è restarci una volta cresciuti. Quando la fabbrica è stata chiusa, infatti, sembrava aver portato via con sé anche il lavoro. L’impatto di questa assenza si misura, oggi, nella fuga dal quartiere di chi può, e nel sopravvivere come si può di chi resta. E la disillusione di vivere in un luogo svantaggiato è qualcosa che si respira sin da giovanissimi.

Proprio questo è il sentimento che descrive Umberto Martellotta di Villa Medusa quando racconta il lavoro di coinvolgimento delle nuove generazioni di cui gli attivisti si fanno carico nello spazio occupato. “I ragazzini e le ragazzine del quartiere – racconta – che non vedono nessuna alternativa si buttano a fare la piccola rapina nel sottopasso della Cumana, a rubare il motorino, a vendere droga. Anche perché ricevono una sorta di copertura e di riconoscimento dal fatto di essere ‘del quartiere’”. Mentre la disillusione adulta diviene immobilismo, ragiona Umberto, quella giovanile si traduce in violenza e delinquenza.

Oltre la partecipazione civica

Lo sviluppo di opportunità lavorative è uno dei tanti aspetti della vita dei bagnolesi che l’attesa della bonifica e del risanamento del quartiere ha congelato. Oggi è proprio il lavoro la chiave di volta che potrebbe ricostruire il patto sociale ormai a brandelli sul territorio. I movimenti cittadini – in testa l’Osservatorio Popolare e il Laboratorio Politico Iskra, che anima Villa Medusa – chiedono infatti che il coinvolgimento del territorio nel percorso di bonifica vada oltre la partecipazione civica, e si estenda al fare in modo che il lavoro sia svolto dai disoccupati del territorio. Dare lavoro alla comunità attraverso la bonifica sarebbe una prima forma di risarcimento sociale per i cittadini, oltre che un modo per dare loro – specialmente ai giovani – un futuro e insieme coltivare un nuovo senso d’appartenenza, nei confronti di una terra di cui si potrebbe finalmente iniziare a prendersi cura.

La rivendicazione dei comitati cittadini si concretizza in una richiesta: le aziende che vinceranno i bandi di gara dovrebbero scegliere almeno parte della propria manodopera sul territorio, secondo il criterio che venga assorbita un’ampia fetta di disoccupazione giovanile, formandola e assumendola. E che i corsi di formazione e l’assunzione prendano avvio dalle prime operazioni di bonifica, attraverso l’inserimento di un vincolo di clausola sociale da inserire nei bandi.

Il nodo delle clausole sociali

La lotta per il lavoro coinvolge una questione giuridica spinosa. Le clausole sociali sono disposizioni normative che impongono a un datore di lavoro il rispetto di determinati standard di protezione sociale e del lavoro, quale condizione per svolgere attività economiche in appalto o in concessione. L’attuale codice degli appalti, rinnovato nel 2023, impone l’inserimento nei contratti d’appalto di clausole a tutela della stabilità lavorativa dei dipendenti – qualora cambi l’azienda titolare dell’ appalto – ma anche la parità di genere e generazionale e l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate e disabili.

Non è però normata la possibilità di vincolare una percentuale delle assunzioni al bacino di forza lavoro di un territorio. Come spiega Dario Oropallo dell’Osservatorio Popolare, “il problema è che non esiste, nella costituzione né nella normativa europea, il concetto di territorio svantaggiato”. Questa distinzione è invece fondamentale, secondo gli attivisti di Bagnoli: nascere, per esempio, al Vomero, è ben diverso dal nascere in un’ex area industriale. A ben vedere, si pone un tema di marginalità culturale e formativa: nei territori in cui, come a Bagnoli, è mancato un investimento in termini di sviluppo, le possibilità di formazione, lavoro, vita dignitosa sono ben ridotte. Il punto ci viene chiarito direttamente da Villa Medusa: “Stiamo parlando di un quartiere che ha avuto in eredità soltanto fattori disastrosi, dalla disoccupazione, ai danni ambientali, alla non balneabilità del mare. Il minimo risarcimento che questo territorio possa avere è almeno un 40, 50% di posti disponibili per i proletari e le proletarie del quartiere”.

L’altro tema impattante dal punto di vista giuridico è la necessità di bilanciare nella disciplina degli appalti diversi interessi. In particolare, in punta di diritto la tutela del lavoro deve trovare un bilanciamento con quella della libertà di mercato di cui godono le aziende. “Le regole attuali non pongono al centro lavoratori e territori, ma la concorrenza e il mercato” è quanto oppone l’Osservatorio Popolare. L’ambiziosa sfida dell’osservatorio e degli altri gruppi che si battono per il lavoro a Bagnoli è quella di rendere giuridicamente rilevante lo svantaggio – economico, sociale, culturale – derivante da vivere in un’area svantaggiata: se l’impresa dovesse andare in porto, potrebbero aprirsi diverse opportunità di rivalsa – e poi di sviluppo – non solo per il quartiere napoletano, ma anche per altre aree dello Stivale che hanno patito e patiscono gli effetti di un danno ambientale.

“L’unico principio costituzionale che potremmo far valere per ottenere una buona percentuale di assunzioni” spiega Umberto “è l’articolo 32 della Costituzione”. Cioè quello che sancisce il diritto alla salute: dimostrando il danno in termini di benessere fisico arrecati ai cittadini del quartiere negli anni, e l’incidenza dell’incertezza di un futuro sugli equilibri psicologici della popolazione, si potrebbe arrivare a un riconoscimento anche giuridico della situazione di svantaggio vissuta da Bagnoli. Tuttavia si tratta di un percorso a oggi impraticabile: anche se l’incidenza di tumori sul territorio è elevata, anche se lo sportello psicologico di Villa Medusa fotografa una forte fragilità fra i cittadini e specialmente fra i giovani, legata al non potersi costruire un futuro, i dati non bastano a provare un rapporto di causa ed effetto con la presenza dell’ex area industriale e la mancata bonifica.

Dove siamo oggi

Il percorso è accidentato, ma i movimenti civici del quartiere non sono disposti a cedere sul punto: la bonifica si farà trovando il modo per impiegare i lavoratori del territorio, oppure non si farà. “Non arretreremo di un centimetro” scandisce Umberto. La battaglia per le clausole sociali prosegue a ritmi serrati, con una sollecitazione continua – attraverso richieste d’incontro e presidi ai piedi della municipalità, del comune, della sede Rai di Napoli – dell’attenzione pubblica e delle istituzioni. Dal 2021 Villa Medusa ospita anche uno sportello dedicato: ogni lunedì offre a chi cerca lavoro sul territorio informazioni sul tema delle clausole e sui percorsi formativi che, nel frattempo, lo spazio popolare della villa ospita nell’attesa. Lo sportello è gestito dal movimento dei disoccupati organizzati “7 novembre” – nato dalla giornata del 2013 segnato dall’opposizione all’allora premier Matteo Renzi,  atteso presso Città della Scienza per presentare il decreto “Sblocca Italia” – e il suo obiettivo è coordinare le forze lavoro inattive – oggi circa 700 persone nella ricerca di una soluzione dal basso alla mancanza di lavoro.

Negli ultimi anni, e in particolare con l’assunzione del ruolo di commissario straordinario da parte del sindaco Manfredi, qualcosa si è mosso. Oggi al lavoro sulla questione c’è una task force che unisce la struttura commissariale e alcuni docenti di giurisprudenza – di diritto del lavoro e amministrativo, nello specifico – dell’Università Federico II di Napoli. Il gruppo di lavoro è inoltre in costante interlocuzione con i movimenti sociali attivi sul territorio: non solo Iskra e Osservatorio, ma anche le altre realtà sociali dei quartieri limitrofi di Cavalleggeri e Fuorigrotta. “I docenti ci hanno spiegato che non esiste una legge che preveda le clausole che chiediamo, e non possiamo andare contro le direttive europee ed evitare la concorrenza delle aziende che parteciperanno ai bandi. Possiamo, però, individuare dei patti territoriali, ai quali le aziende coinvolte nelle nuove fasi di bonifica dovrebbero poi attenersi”, continua Martellotta.

Il riferimento è a uno strumento di concertazione introdotto nella seconda metà degli anni ’90, attraverso il quale soggetti pubblici e privati, istituzioni e imprese, insieme alle parti sociali, concorrono alla definizione di strategia di sviluppo locale attraverso investimenti e politiche del lavoro. Coinvolgendo aziende aggiudicatarie, sindacati, associazioni di categoria e amministrazione comunale nella sottoscrizione di un patto territoriale, si potrebbe introdurre l’impegno a garantire percorsi di inserimento lavorativo nelle attività di bonifica ai giovani e ai disoccupati del quartiere.

Il tema delle clausole sociali è stato anche uno dei punti toccati dal sindaco e commissario per la bonifica Manfredi nella sua relazione alla decima municipalità durante il consiglio aperto dello scorso 29 gennaio. I toni sono stati di cauto ottimismo: le clausole ci saranno, e si tratterà di misure più concrete rispetto alle precedenti gare – in cui era effettivamente prevista una premialità per le aziende che avessero assunto personale locale. Sarebbero inoltre allo studio, di concerto con le aziende, i percorsi formativi volti a preparare i cittadini al lavoro sulla bonifica.

Il futuro arriva solo se condiviso

Siamo, in ogni caso, ancora nel campo delle promesse. La pratica è tutta da costruire, e la cittadinanza ha tutta l’intenzione di partecipare anche a questo processo: incidere sulla creazione di opportunità lavorative è un modo per guidare il disegno della Bagnoli del futuro, dal punto di vista sociale ed economico. Perché inserire le clausole, costruire con le aziende che si occuperanno del rilancio del quartiere percorsi di ingresso nel mondo del lavoro per i giovani locali, consentirà alla popolazione di lavorare sul “dopo”: sulla manutenzione degli spazi e dei parchi, sulla gestione delle nuove infrastrutture che i piani di rilancio introdurranno.

Non è un tema scontato: l’idea di rilancio promossa dall’amministrazione spinge molto sul dare un volto turistico al quartiere, quando il percorso di rigenerazione urbana sarà ultimato. Da qui passerebbe, nei progetti dell’amministrazione, anche la creazione di nuovi posti di lavoro. “Ma così si finirà solo per intensificare l’attività dei locali già esistenti sulla costa, e aumentare casomai le code chilometriche per arrivarci, bloccando il litorale e creando nuovi problemi dal punto di vista della salute” sottolineano da Villa Medusa.

L’idea di rilancio, e di “poi”, che si affida alle clausole sociali è invece quella di mettere in condizione i cittadini di Bagnoli di essere parte attiva, attraverso il proprio lavoro, del percorso di rigenerazione del quartiere. Il punto, insomma, non è solo lavorare ora, ma costruire una prospettiva futura, agita dalla comunità.

Questo articolo è stato realizzato nell’ambito del workshop conclusivo del “Corso di giornalismo d’inchiesta ambientale” organizzato da A Sud, CDCA – Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali ed EconomiaCircolare.com, in collaborazione con IRPI MEDIA, Fandango e Centro di Giornalismo Permanente.

© Riproduzione riservata

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