mercoledì, Novembre 5, 2025

L’inaspettato ritorno del carbone: dagli Usa all’Italia passando per la Cina

La destra al potere, negli Usa e in Italia, predilige il ricorso al carbone. Trump lo vuole per sostenere l’intelligenza artificia. Per Salvini, spalleggiato da Eni ed Enel, spegnere le centrali italiane “non è nell’interesse del Paese”. Ma le associazioni ambientaliste ammoniscono: sarebbe una pessima figura

Andrea Turco
Andrea Turco
Giornalista glocal, ha collaborato per anni con diverse testate giornalistiche siciliane per poi specializzarsi su ambiente, energia ed economia circolare. Redattore di EconomiaCircolare.com. Per l'associazione A Sud cura l'Osservatorio Eni

Semplificando un po’ (molto): l’Ottocento è stato il secolo del carbone, il Novecento è stato il secolo del petrolio e il primo secolo del Duemila rischia di essere il secolo del gas. In realtà il percorso energetico delle fonti fossili, che continuano a essere predominanti in un sistema in cui l’80% dei consumi dipende da questa triade, non è così netto. Nel senso che carbone e petrolio non hanno mai smesso di essere utilizzati.

Come ha certificato un recente report dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, “il consumo globale di carbone è raddoppiato negli ultimi tre decenni. Al culmine dei blocchi legati alla pandemia di Covid-19 nel 2020, la domanda è diminuita in modo significativo. Eppure il rimbalzo di quei livelii, sostenuto dagli alti prezzi del gas all’indomani dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia, ha portato alla produzione globale record di carbone: sia per quel che riguarda il consumo che il commercio che la produzione di energia”.

La sensazione condivisa a livello globale, supportate da varie analisi, era che entro pochi anni almeno l’Occidente avrebbe smesso di utilizzare il carbone. Sarebbe stato, quantomeno a livello simbolico, un episodio emblematico del contrasto al collasso climatico, se consideriamo l’enorme quantità di gas serra che la combustione comporta. E invece …

carbone 1

Invece l’arretramento ambientale a livello globale si riflette anche sulle scelte energetiche. Dagli Usa all’Italia la destra al potere persegue la strada più conservativa. Ma anche in Cina gli impegni sul carbone sono stati ampiamente disattesi. Come racconta Repubblica, “la Cina continuerà a costruire nuove centrali a carbone almeno fino al 2027, in quelle regioni dove sarà necessario per soddisfare la domanda elettrica nei momenti di picco o per garantire la stabilità della rete. È quanto emerge dalle nuove linee guida pubblicate il 14 aprile dalla Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma e dall’amministrazione nazionale dell’energia, che definiscono gli obiettivi per l’ammodernamento del sistema elettrico basato sul carbone”.

Secondo quanto dichiarato dal partito comunista cinese, il picco dell’uso del carbone deve ancora arrivare – attualmente è previsto per il 2028. La strategia energetica cinese fa sì che il colosso asiatico sia leader contemporaneamente nell’uso del carbone, il più inquinante dei combustibili fossili, e nelle energie rinnovabili. Tuttavia tale scelta in Cina non è nuova ma viene perseguita da tempo. Quel che invece è più inedito è il deciso ritorno al carbone da parte dell’Europa e degli Usa.

Leggi anche: L’auto elettrica low-cost della Cina e le prospettive UE

Negli Usa il ritorno al carbone serve per l’intelligenza artificiale

Rimetteremo i minatori al lavoro”. Con una dichiarazione che, appunto, sembra arrivare dall’Ottocento, il presidente USA Donald Trump ha firmato negli scorsi giorni uno dei suoi caratteristici ordini esecutivi. Dall’altisonante titolo Reinvigorating America’s Beautiful Clean Coal Industry e dalle dichiarazioni ancora più perentorie. “Stiamo riportando in vita un’industria che è stata abbandonata” ha detto Trump. Se poi si legge il testo dell’ordine esecutivo, risalente all’8 aprile, si apprende che lo scopo del ritorno al carbone è nel segno del futuro. Proprio così: il più antico combustibile industriale dovrà foraggiare una delle nuove industrie, vale a dire l’intelligenza artificiale, che ha un bisogno spasmodico di energia (e di acqua).

“Al fine di garantire la prosperità economica e la sicurezza nazionale dell’America, ridurre il costo della vita e fornire un aumento della domanda elettrica dalle tecnologie emergenti  – si legge nel testo –  dobbiamo aumentare la produzione di energia interna, compreso il carbone. Il carbone è abbondante e conveniente e può essere utilizzato in qualsiasi condizione atmosferica. Inoltre l’industria ha storicamente impiegato centinaia di migliaia di americani. Le risorse del carbone dell’America sono vaste, con un valore attuale stimato nei trilioni di dollari, e sono più che in grado di contribuire sostanzialmente all’indipendenza energetica americana con un eccesso che può essere esportato per sostenere gli alleati e la nostra competitività economica. Le splendide risorse di carbone pulito della nostra nazione saranno fondamentali per soddisfare l’aumento della domanda di elettricità a causa della rinascita della produzione domestica e della costruzione di centri di elaborazione dei dati di intelligenza artificiale. Dobbiamo incoraggiare e sostenere l’industria del carbone della nostra nazione ad aumentare la nostra fornitura di energia, ridurre i costi dell’elettricità, stabilizzare la nostra rete, creare posti di lavoro ben retribuiti, sostenere le industrie in crescita e assistere i nostri alleati”.

carbone 2

Una dichiarazione che ha tanto della propaganda e poco della sostanza. Ma che in Italia è stata presa come oro colato.

Leggi anche: Trump, la guerra Usa alle politiche climatiche non risparmia nessuno

L’Italia pensa a un rinvio sulla fine del carbone (su spinta di Eni ed Enel)

È un ritornello ormai assodato: quando Trump lancia una proposta nei giorni successivi Salvini la riporterà in Italia. Così è avvenuto anche col ritorno del carbone. Al congresso della Lega sul nucleare il ministro alle Infrastrutture e ai Trasporti, nonché vicepremier del governo, ha affermato che “chiudere le centrali a carbone non è nell’interesse del Paese”. Una dichiarazione che è stata corroborata, sempre in quella sede, dagli amministratori delegati delle due aziende energetiche più importanti d’Italia, cioè Eni ed Enel. Per Claudio Descalzi, ad di Eni, “la Germania è arrivata a un 26-28% di produzione energetica dal carbone… loro che hanno predicato il Green Deal e l’hanno imposto a tutti”. Per Flavio Cattaneo, ad di Enel, le centrali a carbone “sono impianti perfettamente funzionanti, senza i quali durante la crisi del gas avremmo avuto grossi problemi”.

Il titolare della decisione sulle centrali a carbone, almeno in teoria, è il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin. Il quale, sollecitato dai giornalisti il 16 aprile, ha affermato da una parte di voler confermare “la cessazione della produzione di elettricità dal carbone in Italia” e dall’altra di voler tenere le centrali a carbone comunque in stand-by, pur senza produzione. “Il quadro geopolitico è ancora tale che nessuno è in grado di garantirci che il gas non arrivi a 70 euro al megawattora, o che ci sia qualche disfunzione nei gasdotti che ci riforniscono – ha detto Fratin – Le centrali a carbone in questo momento le teniamo ferme perché non è conveniente farle produrre. Ma se si dovessero verificare queste condizioni, avremmo la valvola di riserva”.

Posizioni con sfumature diverse ma tutte accomunate dall’esigenza di voler derogare la scadenza della chiusura delle centrali a carbone entro la fine del 2025, scadenza fissata nel Piano Integrato per l’Energia e il Clima. Già una prima eccezione a tale data era stata fissata nei mesi scorsi sulle centrali in Sardegna. Ora la sensazione è che si vorrà estendere tale proroga anche al resto delle centrali diffuse in Italia. Non sorprende in questo senso la protesta delle associazioni ambientaliste. In una nota congiunta WWF, Greenpeace, Legambiente e Kyoto Club si dicono fortemente contrarie nel voler mantenere nel mix energetico il peggior combustibile fossile per emissioni climalteranti e inquinanti.

“I lobbisti del carbone (per lo più di provenienza russa) – scrivono – non hanno perso le speranze e hanno approfittato di qualche sfarfallamento dei prezzi del gas per tornare alla carica, forti di un’analisi quantomeno discutibile e, soprattutto, titillando gli interessi delle due aziende partecipate (ENI ed Enel) che per ragioni diverse ora propongono il rinvio. Questo può succedere solo quando non c’è un governo e dei tecnici che attuano davvero le politiche messe su carta. Al contrario, in un Paese in cui il peso del carbone nella produzione di energia era più o meno pari al nostro, la Gran Bretagna, governi di tutti i colori politici sono andati avanti con l’impegno preso di chiudere le centrali: prima i governi conservatori e poi quello laburista che ha chiuso, in anticipo, l’ultima centrale a carbone, quella di Ratcliffe-on-Soar, nell’ottobre dello scorso anno”.

Per le associazioni ambientaliste, dunque, “è inaccettabile che nel 2025 ancora si proponga il carbone come parte del mix energetico, e sarebbe davvero una pessima, pessima figura per il governo italiano tornare indietro rispetto alla decisione assunta. Ma è già una pessima figura per le aziende che hanno avanzato la proposta”.

Leggi anche: L’Italia punta al ribasso sull’ambiente per affrontare i dazi USA

© Riproduzione riservata

spot_img

POTREBBE INTERESSARTI

Ultime notizie