A novembre sono stati pubblicati i dati dell’indagine “Uno sguardo alla sanità in Europa”, elaborata dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) in collaborazione con la Commissione europea.
Pubblicata ogni due anni, l’indagine compara i dati degli stati membri con quelli dei 37 paesi dell’OCSE. Un report, quello del 2023, che restituisce una lettura dello stato della sanità a livello mondiale con comparazioni di genere, di ricchezza dei paesi, di età della popolazione. Leggiamolo insieme.
L’analisi si sofferma, innanzitutto, su come la pandemia abbia influito sulla salute mentale e fisica dei giovani e sottolinea come prima necessità quella di ulteriori misure per evitare che le conseguenze del Covid19 segnino un’intera generazione. Riporta, inoltre, una serie di fattori di rischio comportamentali e ambientali che hanno avuto un impatto significativo sulla salute e sulla mortalità delle persone, sottolineando l’importanza di concentrarsi maggiormente sulla prevenzione delle malattie, trasmissibili e non.
In Europa e nel mondo, la pandemia ha avuto un impatto drammatico, portando, nel 2021, ad una riduzione di oltre un anno dell’aspettativa di vita rispetto al livello pre-pandemia, ossia il calo più marcato dalla seconda guerra mondiale.
Stili di vita
L’italia è uno dei paesi che più paga evidentemente un peggioramento degli stili di vita, poiché passa dal 3° al 9° posto nella classifica dei più longevi. Con una media di 82,7 anni, insieme al Lussemburgo, a fronte di una media Ocse di 80,3 passano sopra l’Italia, Giappone (84,5), Svizzera (83,9), Corea (83,6), Australia (83,3), Spagna (83,3), Norvegia (83,2), Islanda (83,2) e Svezia (83,1).
Anche il tasso di mortalità evitabile vede l’Italia peggiorare: questo perché dall’analisi risulta che, nel nostro paese, sono aumentati i fattori di rischio per le malattie non trasmissibili quali il fumo, il consumo di alcolici e l’obesità. Per esempio nel nostro paese la percentuale di fumatori quotidiani tra gli over 15 è del 19,1, un dato che si attesta sopra la media Ocse fermo al 16.
Le morti per inquinamento
Un dato che mi preme invece evidenziare è quello che riguarda i decessi causati dall’inquinamento atmosferico. In Italia si registra un dato di 40,8 decessi per 100.000 abitanti ben al di sopra della media Ocse che si attesta su 28,9. Quasi il doppio. Un dato preoccupante che dovrebbe spingere la classe politica ad occuparsene.
Questo dato incide, infatti, anche su come si vive in vecchiaia. Perché se è vero che in Italia viviamo più a lungo e che le donne vivono più degli uomini è pur vero che l’indagine ci restituisce condizioni di vita dopo i 65 anni molto preoccupanti. Non viviamo bene.
In media, nei Paesi Ocse che hanno partecipato all’indagine, il numero di anni di vita in buona salute dopo i 65 anni è di soli 10 anni per le donne e di 9,6 anni per gli uomini, dati del 2021. E i restanti anni?
Nella Repubblica Slovacca e in Lettonia, per esempio, le donne trascorrono quasi tre quarti dei loro anni di vita aggiuntivi in cattive condizioni di salute, rispetto a un terzo o meno in Norvegia e Svezia. Lo stesso valer per l’Italia, come si vede dalla figura 1, nel 2021 quasi il 10% delle donne vive una vecchiaia peggiore degli uomini.
Leggi anche: Inquinamento e deforestazione, i militari fanno la guerra anche all’ambiente
Salute in Italia e divario di genere
Continuiamo a leggere i dati proprio con una prospettiva di genere. Le donne continuano a vivere più a lungo degli uomini in tutti i paesi membri e partner dell’Ocse. Questo divario di genere è in media di 5,4 anni nei Paesi Ocse: l’aspettativa di vita alla nascita per le donne è di 83 anni, rispetto ai 77,6 anni degli uomini. Queste differenze, ci dice il rapporto, sono dovute in parte alla maggiore esposizione degli uomini ai fattori di rischio, in particolare al maggior consumo di tabacco, al consumo eccessivo di alcol e a diete meno salutari.
Tuttavia negli ultimi 10 anni il divario di genere, si è ridotto, in tutta Europa ma soprattutto in Italia. Le cause sono molteplici. Una delle principali è la riduzione delle politiche di screening in tutti i paesi dell’UE. Tanto che nella primavera del 2020 i programmi di screening dei tumori per il carcinoma della mammella e della cervice uterina si erano ridotti del 6%. A causa di ritardi nello screening molte pazienti oncologiche hanno corso il rischio di ricevere la diagnosi del cancro in una fase più avanzata della malattia, con conseguenti complicazioni a livello del trattamento e riduzione delle probabilità di sopravvivenza.
Leggi anche: L’igiene mestruale non deve essere un lusso: combatterne gli ostacoli, con un occhio all’ambiente
Salute delle donne e prevenzione
Il Rapporto è chiaro: il cancro al seno è il tumore con la più alta incidenza tra le donne in tutti i Paesi Ocse e la seconda causa di morte per cancro tra le donne. Mentre i tassi di incidenza del tumore al seno sono aumentati nell’ultimo decennio, i tassi di mortalità sono diminuiti o si sono stabilizzati il che indica che diagnosi più precoci portano ad un trattamento più precoce e di conseguenza a tassi di sopravvivenza più elevati. Uno screening mammografico tempestivo è fondamentale per identificare i casi, quindi le conseguenze della riduzione degli screening durante la pandemia hanno sicuramente inciso sui dati del Rapporto di questo anno.
I Paesi dell’OCSE offrono in genere controlli di screening ogni due anni alle donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni.
La Figura 2 mostra la proporzione di donne di 50-69 anni che hanno effettuato un esame mammografico negli anni 2019-2021, rapportate al 2011. Il tasso di screening varia notevolmente tra i Paesi Ocse; nell’ultimo periodo ha raggiunto un massimo dell’83% della popolazione target in Danimarca e un minimo in Turchia, dove meno del 25% delle donne nella fascia d’età target ha effettuato un esame mammografico negli ultimi due anni. L’Italia si trova nella media Europa, con una percentuale tuttavia non alta, 56, percentuale che è scesa nel 2021. Dati preoccupanti.
Nei Paesi Ocse, lo screening del cancro all’utero viene spesso effettuato ogni tre anni alle donne di età compresa tra i 20 e i 69 anni, anche se ultimamente la popolazione target e la frequenza dello screening sono cambiati, visto l’intensificarsi dei programmi di vaccinazione contro il papillomavirus (HPV). L’OMS raccomanda che i Paesi si impegnino a raggiungere un tasso di incidenza inferiore a quattro nuovi casi di cancro del collo dell’utero ogni 100.000 donne ogni anno. Per raggiungere questo obiettivo, l’OMS raccomanda un tasso di copertura della vaccinazione contro l’HPV del 90% tra le ragazze entro i 15 anni di età, una copertura del 70% dello screening del cancro cervicale all’età di 35 e 45 anni e il miglioramento della copertura del trattamento.
La Figura 3 mostra quanta differenza c’è tra i diversi paesi sulla percentuale di donne sottoposte a screening per il cancro del collo dell’utero negli anni 2019-2020. L’Italia come si vede non è messa benissimo con un 39% di donne sottoposte a screening e con una percentuale che è scesa nel 2020. Non c’è quindi ad oggi in Europa, né tantomeno nel resto del mondo, una politica attenta al corpo delle donne che potrebbe portare a prevenire molti tumori, salvando la vita e la qualità della vita delle donne. Inoltre solleverebbe anche la sanità pubblica da molte spese.
Leggi anche: (Micro)plastiche e salute: una questione (solo) femminile?
I consigli dell’OMS
In conclusione è bene riportare i consigli dell’OMS su alimentazione e salute per arrivare ad avere una buona condizione di salute in vecchiaia. I dati riportati, tuttavia, non prendono in considerazione che le donne e gli uomini con un reddito più basso hanno maggiori probabilità di mangiare non in modo corretto e quindi di essere obesi, il che rafforza le disuguaglianze in materia di salute.
L’OMS consiglia un consumo regolare di frutta e verdura, che è associato ad un miglioramento della salute, in particolare alla riduzione del rischio di malattie cardiovascolari e di alcuni tipi di cancro. Raccomanda di consumare almeno 400 grammi, o cinque o più porzioni, di frutta e verdura al giorno. Una dieta sana può anche ridurre la probabilità di essere in sovrappeso o obesi. Nel 2019, le diete povere di frutta, verdura e legumi sono state responsabili di un totale stimato di 2,7 milioni di morti nel mondo.
I Paesi con i più alti tassi di consumo di verdure sono stati la Corea, la Nuova Zelanda e gli Stati Uniti, che hanno tutti registrato valori superiori al 90%. Il consumo giornaliero di verdure è più elevato tra le donne che tra gli uomini in tutti i Paesi Ocse, ad eccezione del Messico. In media nei Paesi Ocse, il 62% delle donne consuma almeno una porzione di verdura al giorno rispetto al 52% degli uomini.
Un’attività fisica regolare è poi importante anche per migliorare la salute mentale e muscolo-scheletrica e ridurre il rischio di varie malattie non trasmissibili. L’OMS raccomanda agli adulti di svolgere almeno 150 minuti di attività fisica aerobica di intensità moderata o almeno 75 minuti di attività fisica aerobica di intensità vigorosa (o una combinazione di entrambe) alla settimana, in contesti diversi e di limitare il tempo trascorso in sedentarietà.
Come si vede dalla figura 4 e con questo concluso in Italia siamo ancora pigre visto che le donne che fanno attività fisica sono solo il 20%.
Quindi mano al tappetino e per il 2024 tra i buoni propositi potremmo inserire, almeno tutte le mattine, dei sani 5 tibetani di yoga.
Leggi l’articolo: Specie aliene e prodotti a basso impatto ambientale, la cucina poderosa di Chiara Pavan
© Riproduzione riservata