mercoledì, Dicembre 3, 2025

SHEIN corre ai ripari dopo le multe per greenwashing, violazione della privacy e trasparenza

Dopo varie sanzioni per dati, pubblicità ingannevole e sostenibilità fuorviante, il colosso della fast fashion riorganizza la propria governance. Ma l’Europa non sembra disposta a chiudere un occhio. Anche se nel frattempo sta alleggerendo gli impegni di direttive e regolamenti, nel nome della semplificazione

Alessandro Bernardini
Alessandro Bernardini
Nella redazione del progetto di podcasting Sveja, ha scritto per la rivista di letteratura Arti & Mestieri Laspro e per la cooperativa editoriale Carta. Per il quotidiano online Giornalettismo ha tenuto una rubrica settimanale sul conflitto Palestina-Israele. Ha collaborato con Lettera Internazionale e lavorato in Medio Oriente come videomaker. Si occupa di comunicazione, educazione e formazione in ambito formale e non formale per il Terzo Settore. Fa parte dell’area Formazione di A Sud Ecologia e Cooperazione. Autore dei romanzi “La vodka è finita” (Ensemble) e ’“Nonostante febbraio. Morire di lavoro” (Red Star Press)

Il colosso del fast fashion SHEIN si trova di nuovo al centro delle attenzioni dei regolatori europei. Avevamo già parlato della grande azienda cinese, accusata di negazione sistematica dei diritti sul lavoro, turni massacranti, salari bassi e condizioni insalubri. Ora, dopo una serie di sanzioni imposte tra Francia e Italia per violazioni legate alla privacy, alla trasparenza degli sconti e alle dichiarazioni ambientali, SHEIN ha annunciato un rafforzamento delle proprie politiche di compliance interna e di controllo sulla filiera globale. 

Le multe sono state tutt’altro che simboliche. In Francia, il regolatore CNIL, l’autorità francese per la protezione dei dati, ha inflitto una sanzione da 150 milioni di euro per l’uso improprio dei cookie e la gestione dei dati personali, seguita da una seconda multa da 40 milioni per pratiche commerciali scorrette legate agli sconti. In Italia, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha sanzionato l’azienda per 1 milione di euro a causa di affermazioni ambientali considerate fuorvianti, in particolare riguardo la linea “evoluSHEIN by Design”. Come riportato da The Guardian, l’AGCM ha contestato l’uso di espressioni come “100% riciclabile” o “eco-friendly”, prive di fondamento tecnico verificabile. Le dichiarazioni ambientali generiche, secondo l’Autorità, rischiano di ingannare i consumatori e compromettere la fiducia nel mercato dei prodotti sostenibili.

Secondo Reuters, SHEIN ha avviato un piano di revisione strutturale, creando un Business Integrity Group incaricato di unificare le funzioni di governance, rischio e audit. L’obiettivo dichiarato è garantire maggiore trasparenza nelle operazioni e rispondere alle contestazioni delle autorità europee. Ma la domanda resta: può una piattaforma costruita sulla iperproduzione algoritmica diventare sostenibile senza rinunciare alla propria essenza?

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Il quadro normativo europeo

L’intervento dei regolatori italiani e francesi si inserisce in un contesto europeo sempre più articolato e rigoroso nei confronti del greenwashing e del rispetto dei diritti sul luogo di lavoro, ma che subisce anche rallentamenti e vere e proprie frenate a causa di impedimenti burocratici e pressioni politiche dell’area conservatrice uscita più forte dalle ultime elezioni europee. A tal proposito è utile tracciare un quadro della situazione

  • la direttiva europea sulla sostenibilità delle imprese è in vigore dall’aprile del 2024, ma in recepimento da parte degli Stati membri dell’UE entro il 26/07/2026; applicazione scaglionata fino al 2029 per le società di Paesi terzi che hanno fatturati più alti;
  • la direttiva Empowering Consumers for the Green Transition” (Direttiva (UE) 2024/825), contrasta claim generici e non verificabili, etichette di sostenibilità non credibili, riferimenti fuorvianti ed in applicazione da settembre 2026;
  • la proposta di direttiva Green Claims, la normativa europea che dovrebbe disciplinare la modalità di verifica e validazione delle dichiarazioni ambientali utilizzate dalle imprese, è invece in una fase di stallo. Dopo il clamoroso annuncio di ritiro la Commissione UE ha fatto un passo indietro e, dopo la reazione negativa di ong, l’ala più progressista del Parlamento e una buona fetta del mondo delle imprese, ha precisato che non è ancora stato formalmente ritirato il testo, ma che il negoziato è “in stallo” e l’esito è incerto. Il che può significare due cose: o che la proposta sarà modificata e ammorbidita o che sarà ritirata. 

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Fast fashion sotto accusa

Nonostante tutto, come osserva Procurement Magazine, le sanzioni europee hanno una dimensione strategica: obbligano SHEIN a rivedere la propria catena di fornitura e le pratiche di procurement, mettendo in discussione il modello stesso del “fast fashion” basato su produzione a basso costo e consumi rapidi.

L’Europa, in questo scenario, si conferma terreno di prova per le grandi piattaforme internazionali. Le normative ambientali e digitali europee, dal GDPR – il Garante per la protezione dei dati personali, una versione “arricchita” del testo del Regolamento (UE) 2016/679 – alle leggi anti-greenwashing, stanno delineando un perimetro sempre più stringente, che potrebbe diventare il riferimento globale per il settore moda.

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Il fronte industriale e quello internazionale

Anche sul piano delle relazioni industriali, la situazione resta complessa. La rapidità di produzione e distribuzione che ha reso celebre il marchio cinese è anche la causa principale delle critiche sulle condizioni di lavoro e sull’impatto ambientale. L’azienda dichiara di voler migliorare la tracciabilità dei materiali e la conformità dei fornitori, ma finora gli impegni restano in larga parte dichiarativi.

Sul fronte internazionale, SHEIN affronta sfide analoghe anche negli Stati Uniti, dove cresce l’attenzione di Washington verso la provenienza delle merci e la trasparenza fiscale delle piattaforme asiatiche. Ma la vera partita si gioca oggi in Europa, dove la reputazione ambientale è parte integrante della competitività ed è conditio sine qua non per investire nel mercato continentale.

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AGGIORNAMENTO DEL 10 NOVEMBRE 2025

Neanche il tempo di raccontare gli sforzi che il colosso cinese dell’ultra fast fashion sta facendo per adeguarsi alle normative europee, che dalla Francia arriva per SHEIN un’altra grana giudiziaria. La scorsa settimana, nel giorno dell’apertura (tra le proteste) del primo punto vendita mondiale di Shein al Bazar de l’Hotel de Ville (Bhv), tra i grandi magazzini più antichi ed emblematici di Parigi, il governo del premier Sébastien Lecornu ha annunciato l’avvio di una procedura di “sospensione” della piattaforma.

In una nota ufficiale delle autorità francesi si legge che “su istruzione del primo ministro, il governo avvia la procedura di sospensione di SHEIN, il tempo necessario affinché la piattaforma dimostri che l’insieme dei suoi contenuti siano finalmente conformi alle nostre leggi e regolamenti’.

Ma i guai in Francia per SHEIN non si limitano allo store ufficiale. Sotto accusa, infatti, anche il portale di e-commerce. La Direzione Generale per la Politica della Concorrenza, gli Affari dei Consumatori e la Repressione delle Frodi ha annunciato infatti di aver segnalato alle autorità la vendita di “bambole sessuali infantili simili a bambine”, dopo averne scoperto la presenza sul sito di SHEIN. Il gigante asiatico dell’e-commerce ha assicurato di averle rimosse dalla sua piattaforma e il ministro dell’Economia, Roland Lescure, ha avvertito che avrebbe chiesto il divieto per SHEIN di operare in Francia se dovesse vendere nuovamente bambole gonfiabili pedopornografiche.

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