giovedì, Novembre 6, 2025

Le contraddizione della plastica: in mare funzionano le regole ma se ne produce di più

Un studio statunitense dimostra che divieti e tariffe sulla plastica sono efficaci, ma serve un approccio integrato ed ecologista per difendere biodiversità ed ecosistemi. Intanto a Ginevra dal 5 al 15 agosto si terrà una nuova fase di trattative per un trattato globale sulla plastica

Alessandro Bernardini
Alessandro Bernardini
Nella redazione del progetto di podcasting Sveja, ha scritto per la rivista di letteratura Arti & Mestieri Laspro e per la cooperativa editoriale Carta. Per il quotidiano online Giornalettismo ha tenuto una rubrica settimanale sul conflitto Palestina-Israele. Ha collaborato con Lettera Internazionale e lavorato in Medio Oriente come videomaker. Si occupa di comunicazione, educazione e formazione in ambito formale e non formale per il Terzo Settore. Fa parte dell’area Formazione di A Sud Ecologia e Cooperazione. Autore dei romanzi “La vodka è finita” (Ensemble) e ’“Nonostante febbraio. Morire di lavoro” (Red Star Press)

Il problema dell’inquinamento da plastic bag, cioè i sacchetti di plastica che usiamo nella quotidianità soprattutto per fare la spesa, rappresenta una delle sfide più urgenti a livello globale. Recentemente, uno studio pubblicato su Science, condotto da Anna Papp della Columbia University e da Kimberly L. Oremus dell’University of Delaware, ha fornito dati quantitativi significativi sull’efficacia delle politiche di regolamentazione, quali divieti e tariffe, nel ridurre la presenza di rifiuti plastici lungo le coste statunitensi. 

Questo lavoro rappresenta un passo avanti importante nel monitoraggio e nella valutazione delle misure di sostenibilità ambientale dedicate al contrasto dei sacchetti di plastica monouso, evidenziando le implicazioni sia tecniche che ecologiche di tali interventi.

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Quello che mancava

L’inquinamento marino causato dai sacchetti di plastica è un fenomeno ormai consolidato, con ripercussioni gravi sulla biodiversità e sugli ecosistemi marini. Trasportati dal vento e dalle correnti marine questi rifiuti si accumulano su spiagge e fondali. La fauna marina, dall’avifauna alle tartarughe, spesso ingerisce o si impiglia in sacchetti che vengono scambiati per cibo o si annidano negli habitat naturali

sacchetti plastica

Nonostante oltre 100 Paesi abbiano adottato misure restrittive o di tassazione sui sacchetti di plastica, fino ad ora mancava una valutazione sistematica di vasta scala sugli effetti concreti di queste politiche. La necessità di dati quantitativi e affidabili è alla base di un approccio più efficace e scientificamente fondato alla gestione del problema. 

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La metodologia dello studio Usa sulla plastica

L’indagine di Papp e Oremus si è basata su due principali fonti di dati. La prima comprende oltre 45.000 operazioni di pulizia costiera condotte tra il 2017 e il 2023, raccolte nel database TIDES dell’Ocean Conservancy attraverso l’app Clean Swell. Questi dati permettono di quantificare i rifiuti plastici, con un focus particolare sui sacchetti, e di confrontare le variazioni nel tempo e tra le diverse aree geografiche. La seconda fonte consiste in un inventario di 611 regolamenti locali e statali degli Stati Uniti, che includono divieti totali, parziali o tariffe applicate sui sacchetti di plastica.

Per stimare l’efficacia delle politiche, le autrici hanno applicato tecniche di causal inference, un approccio metodologico utilizzato per determinare le relazioni causa-effetto tra variabili. Questo processo è indispensabile in numerose discipline scientifiche, tra cui le scienze sociali, l’epidemiologia e l’informatica, poiché consente a ricercatrici e ricercatori di trarre conclusioni sui meccanismi causali anziché su semplici correlazioni. Queste tecniche, quindi, sono state utili a isolare l’effetto diretto delle regolamentazioni sulla quantità di sacchetti trovati nelle operazioni di pulizia rispetto al totale di rifiuti raccolti. 

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I risultati dello studio sui sacchetti di plastica

I dati evidenziano che l’implementazione di divieti o tariffe sui sacchetti di plastica comporta una riduzione significativa del 25% – 47% della presenza di sacchetti rispetto alle aree senza regolamentazioni. In particolare le tariffe, ovvero un costo aggiuntivo imposto ai consumatori per ogni sacchetto, si sono dimostrate leggermente più efficaci rispetto ai divieti semplici, probabilmente perché incentivano un comportamento più consapevole e riducono l’uso complessivo di sacchetti monouso.

Le restrizioni parziali, che consentono l’utilizzo di sacchetti riutilizzabili più resistenti, risultano meno incisive, evidenziando la necessità di politiche ancor più restrittive o di incentivi economici più mirati. Un’altra evidenza interessante riguarda la maggiore efficacia delle politiche nelle aree con elevati livelli di inquinamento preesistente: in tali contesti, la riduzione dei sacchetti inquinanti si avvicina al 50%. Non sono state riscontrate tendenze di rebound, cioè di ritorno ai livelli precedenti, anzi, l’effetto si mantiene stabile o si accentua nel tempo.

plastica mare

Implicazioni ambientali e politiche

L’aspetto più rilevante (e lapalissiano) di questo studio è il suo valore quantitativo: conferma che le politiche di regolamentazione sui sacchetti di plastica producono effetti concreti e misurabili, contribuendo alla riduzione dell’inquinamento marino. La distinzione tra strumenti economici e divieti evidenzia che le tariffe possono rappresentare una leva più efficace, favorendo comportamenti più sostenibili senza ricorrere a restrizioni totali.

Inoltre i risultati sottolineano come l’utilizzo di dati ambientali diretti, come le analisi sui rifiuti raccolti nelle spiagge, sia fondamentale per valutare l’efficacia delle misure. In assenza di una normativa federale unificata negli Stati Uniti, la frammentazione normativa ha rappresentato un’opportunità di confronto tra diverse strategie, consentendo di identificare quelle più efficaci in contesti specifici.

Limiti e prospettive future

Nonostante i risultati incoraggianti, la riduzione del 25% – 47%, ovviamente, non equivale a una scomparsa totale dei sacchetti inquinanti: la quantità assoluta di plastica distribuita nell’ambiente continua a crescere, seppur più lentamente nei siti regolamentati. Ciò suggerisce che le politiche attuali devono essere integrate da altre strategie, come il miglioramento delle tecnologie di riciclo, la promozione di materiali alternativi biodegradabili e campagne di sensibilizzazione più estese. Ma soprattutto non si può escludere un approccio critico alle politiche di produzione globale: le grandi multinazionali della plastica producono sempre più prodotti monouso, spesso promuovendo campagne di marketing che rappresentano i loro prodotti come sostenibili e riciclabili, quando in realtà non lo sono. 

Un’ulteriore area di interesse riguarda la tutela della fauna marina: stime preliminari indicano che le politiche di restrizione potrebbero ridurre del 30% – 37% il rischio di impigliamento e ingestione di plastica da parte degli animali. Tuttaviai dati sono ancora insufficienti per quantificare con precisione questo impatto.

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Il ruolo di un quadro normativo globale

Il contesto internazionale si trova in una fase cruciale: le trattative dell’United Nations Environment Programme per un trattato globale sulla plastica, previste a Ginevra dal 5 al 15 agosto, rappresentano un’opportunità storica per adottare misure coordinate e di ampia portata.

Lo studio di Papp e Oremus, quindi, rafforza un’idea che può sembrare ovvia: le politiche di regolamentazione a livello mondiale, basate su dati scientifici e tecnici, sono essenziali per contrastare efficacemente l’inquinamento plastico, superando le frammentazioni normative a livello locale e statale.

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