Il minimo indispensabile: è ciò che stanno facendo i supermercati per ridurre l’uso della plastica monouso. È questo il dato più forte che emerge dal rapporto di Break free from plastic (BFFP) pubblicato lo scorso 16 settembre e che si basa su 496 audit (verifica delle procedure di un’azienda) di 247 rivenditori in 27 Paesi.
I supermercati sono attori chiave nella “catena” della plastica: si trovano a metà tra produttori e consumatori, e perciò hanno (o potrebbero avere) una grande influenza sia sui prodotti sia sul comportamento dei consumatori. Un potenziale che non viene sfruttato in favore dell’ambiente. Le potenzialità nel contrasto alla crisi globale legata all’inquinamento da plastica sono fotografate dal rapporto “Supermarket Audits: Stores’ Untapped Potential in Fighting Plastic Pollution” di BFFP. Un’iniziativa globale di citizen science che identifica le principali aziende inquinatori da plastica negli ultimi sei anni.
I risultati del rapporto
Quasi nessun negozio nel mondo ha implementato azioni semplici contro l’inquinamento da plastica, come la sezione di prodotti secchi sfusi (solo il 14% dei negozi controllati dal rapporto lo fa) o la rimozione dei sacchetti di plastica per frutta e verdura (11%).
Il fatto che il 58% dei negozi controllati non fornisca sacchetti monouso alla cassa, o li metta in vendita con un piccolo sovrapprezzo è probabilmente dovuto alla diffusione di regolamenti contro i sacchetti di plastica in oltre 100 Paesi. Le principali azioni positive contro la plastica e per la salvaguardia dell’ambiente vengono infatti intraprese solo nei Paesi in cui la legge li obblighi a farlo. Questo sottolinea quanto sia essenziale una seria legislazione per spingere le misure di riduzione della plastica.

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Le buone pratiche possibili
Esistono comunque delle pratiche commerciali positive implementate in qualche parte del mondo, recepite e accettate facilmente dai consumatori. Il 53% dei negozi controllati a livello globale, ad esempio, vende borse riutilizzabili in tela come alternativa ai sacchetti di plastica.
Tra le buone pratiche: sezioni di prodotti secchi sfusi, sistemi di cauzione per bottiglie, i banchi gastronomia e macelleria che permettono ai clienti di portare i propri contenitori da casa e le alternative ai sacchetti di plastica per la frutta e verdura.
I numeri della plastica
Che i supermercati facciano la propria parte nella lotta all’inquinamento da plastica è piuttosto urgente. Ogni anno vengono prodotte circa 400 milioni di tonnellate metriche di plastica, una cifra che se divisa per gli 8 miliardi di abitanti della Terra si tradurrebbe nell’equivalente di 50 kg di plastica a testa. Circa il 40% di tutta questa plastica viene utilizzata solo per imballaggi.
Se non si interviene politicamente sul tema, secondo le proiezioni di OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) nel 2040 la produzione e l’uso annuale di plastica potrebbero aumentare del 70% rispetto al 2020. E nel lungo periodo, entro il 2060, l’uso globale della plastica potrebbe addirittura triplicare.
Grazie al loro potere d’acquisto e al controllo sugli spazi negli scaffali, i supermercati sono in una posizione unica per incentivare le aziende a usare meno plastica nell’imballaggio dei propri prodotti. Potrebbero spingere i fornitori a innovare radicalmente i prodotti. I supermercati potrebbero anche facilitare le infrastrutture necessarie per soluzioni di imballaggio riutilizzabili, come già avviene in alcune località con i sistemi di cauzione per le bottiglie riutilizzabili. Capire di avere un ruolo cruciale nel processo di produzione e smaltimento della plastica è il passo fondamentale per invertire la rotta.
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La campagna “A Buon Rendere”
In occasione del World Cleanup Day, di cui abbiamo parlato nel nostro giornale, milioni di cittadini si sono mobilitati in oltre 211 Paesi contro la crisi dei rifiuti. Molte associazioni che si occupano di ambiente e di ecologia hanno organizzato giornate di raccolta rifiuti nelle strade, nelle spiagge e nei parchi.
Si stima che oltre 8 miliardi di contenitori sfuggono ogni anno al riciclo, un dato molto elevato, specialmente se rapportato alla dipendenza dell’Italia dall’importazione di materie prime, stimata da BFFP intorno al 48%. Mentre i produttori di bevande attribuiscono di frequente la responsabilità ai consumatori, dai dati emerge che nei 17 Paesi europei in cui è attivo un sistema di deposito cauzionale (SDC) l’abbandono dei contenitori per bevande è crollato drasticamente.
Come EconomiaCircolare.com ha raccontato, si tratta di un sistema che prevede l’introduzione di un piccolo deposito aggiuntivo al prezzo di vendita, rimborsato per intero alla restituzione del contenitore vuoto. Questo garantisce tassi di raccolta dei rifiuti che superano il 90%. In Paesi come la Germania sono stati raggiunti picchi del 98%.
La campagna A Buon Rendere e Acqua Sant’Anna hanno dunque svelato le responsabilità dei grandi marchi nell’inquinamento legato ai contenitori per bevande. “Non c’è più tempo da perdere: il sistema di deposito cauzionale rappresenta una svolta indispensabile per ridurre drasticamente l’abbandono dei contenitori per bevande e garantire un riciclo di qualità”, ha dichiarato Alberto Bertone, presidente e amministratore delegato di Acqua Sant’Anna.
I marchi con maggiori responsabilità nel littering, ossia la dispersione dei rifiuti nell’ambiente, secondo l’analisi di A Buon Rendere e Acqua Sant’Anna, risultano Moretti, Red Bull, Coca-Cola e San Benedetto. Tra i gruppi industriali figurano invece Heineken (proprietario di Moretti e Ichnusa) al primo posto, seguito da Coca-Cola, AB InBev e San Benedetto. La plastica è il materiale più presente tra i rifiuti dispersi (42,2% secondo A Buon Rendere), seguita da alluminio e vetro.
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