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mercoledì, Gennaio 8, 2025

Trattato sulla Plastica, Luppi (Osservatorio riutilizzo): “Realistico un accordo non particolarmente vincolante”

Pietro Luppi ha partecipato ai lavori di Busan (Corea del Sud) per un trattato vincolante sull’inquinamento da plastica come delegato dell’Alleanza Internazionale dei Waste Pickers

Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Giornalista ambientale, un passato nell’associazionismo e nella ricerca non profit, collabora con diverse testate

Abbiamo raccontato i lavori – e gli scarsi risultati – del quinto e ultimo incontro del Comitato Intergovernativo di Negoziazione (INC-5) per il trattato globale sulla plastica, a Busan, in Corea del Sud. Pietro Luppi, presidente dell’Osservatorio sul Riutilizzo, ha seguito i lavori nel Busan Exhibition and Convention Center.

 

Pietro Luppi, a Busan rappresentavi i waste pickers: chi sono?

I cosiddetti waste pickers, così definiti internazionalmente e anche in atti formali delle Nazioni Unite, sono la vastissima popolazione invisibile che ogni giorno raccoglie rifiuti recuperabili, nelle strade così come nelle discariche, per avviarli alle filiere delle materie secondarie. Un lavoro informale, compiuto da soggetti socialmente vulnerabili, che agiscono soprattutto in modo spontaneo. Sono soggetti che non riescono ad accedere al mercato del lavoro formale, e che non hanno la capacità economica per avviare imprese formali. Storicamente, la raccolta e rivendita informale dei rifiuti è per i settori più poveri della popolazione la principale alternativa alla piccola delinquenza.

In paesi importanti come Brasile, Colombia, Argentina, Sudafrica e India, i waste pickers sono oggetto di interventi normativi e programmi di sostegno che puntano alla loro emersione e al loro coinvolgimento formale nella gestione dei rifiuti. Ovviamente non mantenendo lo stesso modo di lavorare, che è informale e privo di standard igienici, di sicurezza e di tracciabilità, ma creando modelli operativi, di governance e di controllo che siano pienamente all’altezza degli obiettivi ambientali dati dalla collettività. La loro emersione e coinvolgimento produce, in modo simultaneo, sia vantaggi sociali che ambientali, e rappresenta nella maggior parte dei casi la soluzione più efficiente negli ambiti di gestione dei rifiuti che sono ancora poco strutturati.  A Busan c’erano dieci delegati dell’Alleanza Internazionale dei Waste Pickers, un sindacato mondiale che affilia in modo diretto circa 400.000 addetti e che rappresenta l’unica componente organizzata di un universo di almeno 20 milioni di persone. Io ero uno dei dieci delegati.

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I waste pickers li troviamo solo nei Paesi meno industrializzati?

Assolutamente no. Anche i paesi più ricchi sono pieni di waste pickers, anche se in proporzione minore rispetto a quelli in via di sviluppo. Negli Stati Uniti, così come nei paesi dell’Europa occidentale, esistono centinaia di migliaia di waste pickers. Solo in Italia stimiamo che ne esistano tra i 60.000 e i 70.000.

A differenza dei Paesi in via di sviluppo, dove i waste pickers intercettano soprattutto materiali da riciclare, i nostri waste pickers operano soprattutto nel campo del riutilizzo. Ossia, raccolgono beni riutilizzabili e poi li rivendono direttamente nei mercati delle pulci, nelle strade e nelle fiere; intercettano questi beni rovistando i cassonetti, presso i centri di raccolta comunali o facendo il lavoro di “svuotacantine”.

La loro associazione di categoria di riferimento è Rete ONU, che ormai da molti anni avanza proposte per normalizzare questo tipo di lavoro e renderlo pienamente funzionale rispetto al sistema rifiuti. Questo ovviamente implicherà dei profondi cambiamenti nel modo di lavorare dei waste pickers, ma sono necessari anche degli interventi legislativi, perché oggi questa figura professionale, nonostante sia diffusa, è totalmente ignorata dalla norma. Un vero peccato, perché basterebbero poche regole mirate a far emergere un’economia popolare che dà lavoro a migliaia di persone in stato di vulnerabilità, le quali, tra l’altro, garantiscono risultati di riutilizzo molto importanti. In termini di impiego, nel settore del riutilizzo europeo, non esiste un altro player che offra risultati comparabili. 

Qual è il punto di vista dei waste pickers sui lavori di Busan e in genere sul futuro trattato sulla plastica?

I waste pickers puntano a ottenere un pieno riconoscimento formale in tutti i passaggi del Trattato che riguardano Economia Circolare e Gestione dei Rifiuti, di avere la giusta centralità nella parte dedicata alla “Transizione Giusta” e di essere oggetto di specifici programmi di emersione. Tutte le trasformazioni, inclusa la transizione ecologica, generano delle disruption, e notoriamente queste disarticolazioni colpiscono soprattutto gli attori più deboli del sistema: le grandi imprese si riconvertono e delocalizzano, le microimprese e i lavoratori dipendenti, specialmente quelli meno qualificati, tendono invece ad essere brutalmente espulsi dal sistema.

Non si tratta di negoziare privilegi, ma di esigere forme di transizione che tengano conto di tutti gli attori e stakeholder coinvolti, includendo quelli più deboli, quelli che hanno più difficoltà a far sentire la propria voce nelle concertazioni e che hanno meno risorse per riorganizzarsi.

Il Trattato sulla plastica potrebbe diventare a breve il più importante strumento internazionale di promozione dell’Economia Circolare, per i waste pickers essere coinvolti in questo strumento ha un’importanza fondamentale: se questo accadrà, potranno poi andare dai loro governi e pretendere di essere ascoltati sulla base del diritto internazionale.

In Corea avete fatto squadra con altri soggetti?

A Busan, così come negli altri round di negoziazione del Trattato, abbiamo fatto squadra con i sindacati, con gli ecologisti del movimento GAIA e con i movimenti indigeni. Tutti quanti siamo uniti nella Coalizione per la Transizione Giusta.  Ma a sostenerci sono state anche un gran numero di fondazioni e ONG che a Busan avevano le loro delegazioni, prime fra tutti WIEGO ed AVINA, e punti di convergenza profondi sono stati raggiunti anche con soggetti che sono più vicini al mondo corporation, come ad esempio la fondazione Ellen McArthur.

trattato globale inquinamento plastica
Foto: Unep (via Flickr)
Come vi hanno visto e trattato i delegati dei Paesi?

L’Alleanza Internazionale dei waste pickers è presente in tutte le regioni del mondo, e pertanto a Busan le sue istanze sono state percepite come del tutto trasversali e immuni ai conflitti geoeconomici che rendono così difficile trovare un accordo globale in beneficio dell’ambiente. Abbiamo avuto incontri costruttivi con un gran numero di delegazioni governative, anche quelle che hanno le posizioni più antitetiche, e alla fine siamo stati sostenuti da tutti: dagli Stati Uniti come dalla Russia, dalla Commissione Europea come dalla Cina, dal Sudafrica come dall’Arabia Saudita. Abbiamo poi fatto un formidabile lavoro di squadra con le delegazioni governative del GRULAC, il gruppo dei paesi latinoamericani e dei Caraibi, e in primis con il Brasile: ci hanno sostenuto con determinazione in tutti i tavoli e in tutte le sedi, con grandissima determinazione, ponendo l’inclusione dei waste pickers tra le loro proposte di importanza strategica.

Hai visto all’opera i lobbisti della plastica e delle fonti fossili? Che impressione hai avuto?

Ce ne erano 220, e 135 di loro erano statunitensi. A quanto si dice, era la maggiore rappresentanza industriale nell’intera storia dei trattati. Credo sia normale, perché raramente la preparazione di un trattato promette di incidere così profondamente sulle fondamenta dell’economia globale. Va anche detto che i delegati della società civile erano molti di più, probabilmente più di 1500, quindi anche la loro voce era ascoltata. Sta ai governi trovare le giuste mediazioni, operando sempre nell’interesse dell’utilità collettiva. Il vero problema è che spesso i governi valutano i loro interessi nazionali esclusivamente in funzione del fattore economico, e si fa difficoltà a considerare la protezione dell’ambiente come un fattore realmente strategico D’altronde, nel mezzo di un conflitto commerciale ed economico così esasperato come quello che stiamo vivendo, è difficile che sia il contrario: dato che tutti su questo aspetto si sentono sotto attacco, la difesa delle economie nazionali sul breve-medio termine diventa prioritaria rispetto alla salvezza dell’ecosistema.

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Ci puoi fare una previsione? Alla fine, secondo te, che tipo di trattato avremo?

Il trattato, se si arriverà a un trattato, sarà il frutto di una mediazione tra i governi più influenti, ossia tra quelli di area BRICS, cioè i Paesi emergenti che esprimono gran parte della produzione di plastica e combustibili fossili, e quelli occidentali, , che sono quelli che consumano più plastica e producono più rifiuti e che diventano sempre più dipendenti economicamente dai Paesi emergenti. Ognuno cerca di spostare sugli altri l’onere economico dell’inquinamento della plastica: i Paesi che producono chiedono a quelli che consumano di farsi responsabili della gestione dei rifiuti, mentre quelli che consumano chiedono ai produttori di diminuire la produzione della plastica e farsi carico finanziariamente della gestione dei rifiuti nei Paesi dove essa avviene. Manca una visione d’insieme, un’istanza che sia in grado di redistribuire in maniera giusta e razionale gli oneri della soluzione del problema, tenendo conto che le filiere sono globalizzate: se i pezzi della filiera, con i rispettivi governi, sono in conflitto tra di loro, è difficile che se ne esca. In questo senso è apparsa molto interessante la proposta della Cina, che ha parlato di gestione e tracciabilità delle filiere, di ciclo integrale del prodotto e di accordi di cooperazione globale. Ma ciò è possibile solo in un contesto di pace. Sembra quindi più realistico che a Ginevra, fra sei mesi, quando dovrebbe tenersi l’incontro finale e risolutivo, si trovi un accordo di minima, e non particolarmente vincolante, sull’Economia Circolare e sulla riparazione dei disastri. Si tratterebbe comunque, con tutti i suoi limiti, di un passo avanti verso un’Economia Circolare globale.

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Foto: Canva

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