Di clima si muore. Lo scrivono chiaro e tondo gli autori del Rapporto 2025 del “Lancet Countdown on Health and Climate Change” pubblicato oggi. “I molteplici impatti dei cambiamenti climatici stanno convergendo e stanno creando una minaccia senza precedenti alla salute e alla sopravvivenza delle persone in tutto il mondo”, si legge nel rapporto. La crisi climatica causata dalla combustione dei combustibili fossili sta “destabilizzando sempre più i sistemi planetari e le condizioni ambientali da cui dipende la vita umana”. E mentre in tutto il mondo di clima si muore, i governi, le imprese che estraggono combustibili fossili e le banche che le finanziano non fanno quello che è in loro potere per ridurne i drammatici costi umani.
I numeri del rapporto – presentato due settimane dall’apertura dei lavori della COP 30 di Belem sul clima – sono da brividi: 2,5 milioni i decessi nel 2022 per l’inquinamento atmosferico causato dalla combustione di carbone, gas e petrolio; milioni di morti evitabili per diete ancora centrate sul consumo di carne; aumento del 63% dei decessi correlati alle ondate di calore, rispetto agli anni ’90; oltre 150.000 decessi per il particolato prodotto dal numero crescente di incendi. Ma il report pubblicato oggi su Lancet mostra anche tendenze positive: come i 160.000 morti evitati dalla riduzione nei consumi di carbone.
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Una questione di metodo: valutare gli effetti combinati e sinergici
Il Rapporto 2025 del Lancet Countdown on Health and Climate Change è stato elaborato da 128 esperte ed esperti multidisciplinari di tutto il mondo: è “la nona, e più completa, valutazione dei legami tra cambiamenti climatici e salute”.
Dei 20 indicatori impiegati per monitorare i rischi per la salute dovuti agli impatti dei cambiamenti climatici, 12 hanno registrato nuovi “livelli preoccupanti” nell’ultimo anno.
Fondamentale nella valutazione è stato un approccio che non dimentica la complessità delle questioni legate al clima e alla salute. “Gli indicatori presenti in questo rapporto rivelano le crescenti minacce alla salute poste dal cambiamento climatico in ogni dimensione monitorata. Tuttavia – sottolineano gli autori – se valutati isolatamente, questi indicatori possono oscurare gli effetti combinati e sinergici di molteplici impatti sulla salute che si verificano simultaneamente”. Lo studio è insomma un inno alla complessità. Tiene infatti insieme aspetti economici, politici e sanitari evidenziando il paradosso irresponsabile nel quale ci hanno condotto governi, banche e imprese fossili: aumentano i danni causati dalla crisi climatica, aumentano i costi umani dell’emergenza, ma non aumenta l’impegno per abbandonare i carburanti fossili e per l’adattamento alle nuove condizioni del Pianeta.
Scrivono le scienziate e gli scienziati che “la priorità attribuita alle azioni contro il cambiamento climatico nelle agende politiche sta diminuendo: i riferimenti alla salute e al cambiamento climatico da parte dei governi nelle loro dichiarazioni annuali al dibattito generale delle Nazioni Unite sono diminuiti dal 62% nel 2021 al 30% nel 2024”. E la gravità della situazione viene denunciata “principalmente dai paesi che sono i meno responsabili dei cambiamenti climatici, ma che ne sono maggiormente colpiti, mentre l’impegno sta diminuendo in alcuni dei maggiori responsabili delle emissioni di gas serra a livello mondiale”. È l’annosa questione della giustizia climatica.
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Se la crisi climatica diventa crisi sanitaria
Anche i precedenti lavori del Lancet Countdown avevano evidenziato l’urgenza di combattere i cambiamenti climatici e “le opportunità sanitarie offerte da una transizione equa e incentrata sulla salute, in linea con l’Accordo di Parigi. Tuttavia, tali opportunità rimangono in gran parte inutilizzate, causando ogni anno milioni di morti evitabili”. Proviamo ad entrare nei dettagli, evidenziando che accanto ai numeri drammatici di decessi e patologie in aumento, nelle analisi su Lancet colpisce la presenza pressoché costante della parola “evitabili”.

MORTI DA COMBUSTIBILI FOSSILI. Sono 2,5 milioni i decessi attribuibili all’inquinamento atmosferico causato dalla combustione di combustibili fossili a livello globale nel 2022, “decessi che potrebbero essere in gran parte evitati passando a energie pulite e rinnovabili”.
DIETE HIGH-CARBON. “Anche i potenziali benefici per la salute derivanti da diete più sostenibili e rispettose del clima rimangono in gran parte non realizzati”, si legge nello studio. Che spiega che la mortalità correlata a diete “malsane ad alto contenuto di carbonio” e è aumentata da 148 per 100 000 persone a 150 per 100 000 persone in un solo anno (tra il 2021 e il 2022), “causando 11,8 milioni di decessi in gran parte evitabili”.
ONDATE DI CALORE. Inquinamento e alimentazione, ma anche caldo estremo: 16 (cioè l’84%) dei 19 giorni di ondate di calore potenzialmente letali a cui le persone sono state esposte ogni anno tra il 2020 e il 2024 non si sarebbero verificati senza il cambiamento climatico. Se si prende come riferimento il periodo dal 1986 al 2005, i giorni di ondate di calore alle quali nel 2024 sono state sottoposte le fasce più vulnerabili della popolazione, bambini di età inferiore a 1 anno e adulti sopra i 65 anni, sono aumentate in media rispettivamente del 389% e del 304%. “L’aumento delle temperature e delle dimensioni delle popolazioni vulnerabili ha portato a un incremento del 63% dei decessi correlati al calore rispetto agli anni ’90, raggiungendo una media stimata di 546.000 decessi all’anno nel periodo 2012-2021”.
INCENDI E MALATTIE RESPIRATORIE. Il clima più caldo e secco aumenta il rischio di incendi, e con essi il numero di persone decedute per patologie polmonari: “Il 2024 ha registrato un record di 154.000 decessi causati dall’inquinamento atmosferico da particolato fine (PM2,5) derivante dal fumo degli incendi boschivi”.
PATOGENI LEGATI AL CLIMA. I casi sempre più numerosi, anche alle nostre latitudini, di malattie i cui nomi abbiamo imparato a conoscere, come chikungunya e dengue, ci dicono che il clima che cambia sta ridisegnando la geografia dei patogeni. “Le mutevoli condizioni climatiche stanno influenzando anche il rischio di trasmissione di malattie infettive mortali”, scrivono i ricercatori. “Il potenziale medio di trasmissione della dengue è aumentato rispettivamente del 48,5% e dell’11,6% dal 1951-60 al 2015-24, contribuendo almeno in parte ai 7,6 milioni di casi di dengue segnalati a livello globale all’inizio del 2024”. E rispetto agli anni ’50, 364 milioni di persone in più sono a rischio di contrarre malattie trasmesse dalle zecche.
INSICUREZZA ALIMENTARE. Il maggior numero di giorni di ondate di calore e mesi di siccità nel 2023 rispetto al periodo 1981-2010 è stato associato a un aumento di 123,7 milioni di persone in condizioni di insicurezza alimentare moderata o grave nei 124 paesi analizzati dallo studio.
ASSISTENZA SANITARIA SOTTO STRESS. I sistemi sanitari “sono sempre meno in grado di assorbire i danni causati dai cambiamenti climatici”. E visto che le la copertura assicurativa delle crescenti perdite legate agli eventi meteorologici estremi è scesa dal 67% nel periodo 2010-2014 al 54% nel periodo 2020-2024, “i costi ricadono sempre più sui sistemi pubblici e sui singoli individui, compromettendo la salute e il benessere socioeconomico, riducendo la capacità delle persone di far fronte e riprendersi dagli impatti legati ai cambiamenti climatici e aggravando ulteriormente la loro vulnerabilità”.

ORE DI LAVORO PERSE. La crisi climatica macina record. Oltre a quelli delle ondate di calore e delle piogge estreme, va registrato anche il record delle giornate di lavoro perse, raddoppiate rispetto alla media degli anni ’90: nel 2024 si è arrivate a 639 miliardi di ore lavorative potenziali perse. Che corrispondono a perdite economiche potenziali superiori a 1 trilione (migliaia di miliardi) di dollari USA: “Quasi l’1% del prodotto interno lordo” globale.
DANNI DA EVENTI ESTREMI. Gli eventi meteorologici estremi nel 2024 hanno causato perdite economiche globali pari a 304 miliardi di dollari, con un aumento del 58,9% rispetto alla media annuale del periodo tra il 2010 e il 2014 (solo 10 anni fa).
PIÙ SUSSIDI ALLE FONTI FOSSILI. La mancata riduzione delle fonti fossili nel mix energetico ha comportato, in modo variabile tra paese e paese, costi aggiuntivi che hanno privato di investimenti altri settori come il welfare. Lo studio ricorda come in risposta all’impennata dei prezzi dei combustibili fossili seguita all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la maggior parte dei paesi, ancora fortemente dipendenti da petrolio e gas, ha fatto ricorso a sussidi per mantenere l’energia a prezzi accessibili. Di conseguenza, “73 (cioè l’84%) degli 87 paesi esaminati (che rappresentano il 93% delle emissioni globali di gas serra) hanno fornito sussidi netti espliciti ai combustibili fossili nel 2023, stanziando un totale netto di 956 miliardi di dollari a questo scopo, il secondo valore più alto mai registrato, solo inferiore ai 1.400 miliardi di dollari stanziati nell’anno precedente”. Di questi paesi, 15 (il 17%) hanno stanziato più fondi per i sussidi netti ai combustibili fossili che per i bilanci sanitari nazionali.
BANCHE E IMPRESE FOSSILI. “I giganti dei combustibili fossili (tra cui Shell, BP, ExxonMobil e Chevron) hanno sospeso, ritardato o ritirato i loro impegni climatici, spingendo sempre più il mondo verso un futuro pericoloso” ricordano i ricercatori. Esplorazioni, perforazione ed estrazioni aumentano nonostante il caos climatico e le sue vittime: le strategie di produzione indicate nel marzo 2024 dalle 100 maggiori compagnie petrolifere e del gas le avrebbero portate a superare del 183% nel 2040 la loro quota di produzione compatibile con un riscaldamento di 1,5 °C. Un anno dopo (marzo 2025) sono a + 189%. Un ruolo decisivo lo hanno avuto poi le banche, come EconomiaCircolare.com racconta spesso. Le banche private, afferma lo studio, hanno sostenuto l’espansione dei combustibili fossili, “poiché i loro prestiti alle attività del settore sono aumentati del 29%, raggiungendo i 611 miliardi di dollari nel 2024, superando del 15% i prestiti al settore verde”.
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Il protagonismo crescente della società
Nella messe di analisi negative, il 9° rapporto annuale del Lancet Countdown on Health and Climate Change evidenzia anche “importanti opportunità per accelerare l’azione e prevenire gli impatti più catastrofici dei cambiamenti climatici”. Nonostante il contesto geopolitico sempre più difficile, infatti, “alcuni segnali positivi indicano un crescente slancio”.
Ad esempio lo studio ricorda come l’abbandono del carbone, in particolare nei paesi più ricchi e industrializzati, abbia portato tra il 2010 e il 2022 a una riduzione del 5,8% dei decessi attribuibili al PM2,5 legato alla combustione del più inquinante dei combustibili fossili: 160 000 decessi evitati l’anno. E quando si prendono le distanze dalle fonti fossili anche l’economia è in buona salute. Nel 2023, si ricorda ad esempio, il settore dell’energia pulita ha rappresentato il 10% della crescita del PIL globale. “Quando il Regno Unito è diventato la prima grande economia a dimezzare le emissioni globali rispetto ai livelli del 1990, la sua economia verde è cresciuta tre volte più velocemente dell’economia in generale. In Cina, il più grande singolo emettitore di gas serra al mondo, le energie rinnovabili hanno contribuito per la prima volta al 10% del PIL nel 2024 e le emissioni di CO2 sono diminuite per la prima volta, garantendo aria più pulita e migliorando i risultati sanitari”.
Pil vuol dire anche occupati. A livello globale, l’occupazione diretta e indiretta nel settore delle energie rinnovabili è aumentata del 18,3% nel 2023, raggiungendo 16,2 milioni di dipendenti in tutto il mondo “e offrendo opportunità di lavoro più sane e sostenibili rispetto al settore dei combustibili fossili”. Nel frattempo, a fronte della riduzione dell’uso del carbone e nonostante l’espansione della produzione di gas e petrolio, l’occupazione diretta nel settore dei combustibili fossili è diminuita dello 0,7%, attestandosi a 9 milioni di posti di lavoro.
“I paesi che si impegnano a dare priorità a questa transizione trarranno i maggiori benefici in termini di salute ed economia e potranno ancora aprire la strada a un futuro prospero per le generazioni attuali e future, sia all’interno che all’esterno dei propri confini nazionali”, afferma lo studio. Che nel panorama di pessimismo legato alle scelte negazioniste dell’amministrazione Trump ricorda come “la crescente leadership di altri attori – governi locali, organizzazioni della società civile, organizzazioni del settore privato, comunità locali e, soprattutto, il settore sanitario – offra la speranza di realizzare la trasformazione sistemica urgentemente necessaria”. Ricorda come “le azioni guidate dalla comunità, i contenziosi legali e le organizzazioni della società civile stanno aprendo nuove strade per responsabilizzare i governi e le aziende nel loro dovere di rispondere alle prove scientifiche e proteggere la vita, la salute e il benessere delle persone”.
AGGIORNAMENTO DEL 4 NOVEMBRE 2025
Riportiamo, per completezza di informazioni, il commento di ISDE, l’associazione italiana dei medici per l’ambiente, che pone l’accento sull’importanza di un’azione politica e collettiva che sia immediata. Un appello che, alla vigilia della Cop30 di Belem, non si può che sottoscrivere.
Cambiamenti climatici e salute: l’Italia paga il prezzo più alto dell’inazione
Il report evidenzia quanto sia grave continuare a ignorare o sottovalutare il problema. In Italia il cambiamento climatico danneggia sempre più la salute, causando vittime, perdita di mezzi di sussistenza e impatti economici crescenti. Dal 2012 al 2021 si sono registrati circa 7.400 decessi l’anno legati all’aumento delle temperature, oltre il doppio rispetto agli anni ’90. Se si considera anche l’inquinamento atmosferico – generato dalle stesse cause – l’impatto è ancora maggiore: tra il 2019 e il 2023 quasi il 99% della popolazione italiana è stato esposto a livelli di PM10 superiori ai limiti OMS.
Questi costi, prodotti da pochi e da politiche inadeguate, ricadono su tutti i cittadini. Eppure l’Italia continua a sovvenzionare i combustibili fossili per un valore di 30,2 miliardi di dollari, pari al 15,5% della spesa sanitaria nazionale.
Nel 2022 il nostro Paese ha avuto il più alto tasso europeo di mortalità per inquinamento da combustibili fossili: 63.700 decessi da PM2.5, di cui 27.800 legati ai fossili (soprattutto benzina per i trasporti) e 19.900 alla biomassa domestica.
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