Le indicazioni europee sono chiare: nuovi menù che integrano una quota maggiore di proteine vegetali, che limitano prodotti ad alto impatto come le carni rosse e favoriscono ingredienti stagionali, locali o provenienti da filiere certificate. Il Joint Research Centre, il centro studi della Commissione Europea, ha elaborato una serie di nuovi criteri per le mense pubbliche dei 27 Stati membri dell’UE in modo che i nuovi menu siano “più ecologici e più sani”.
Dalle scuole agli ospedali, passando per gli edifici pubblici, sono tante le realtà che dovranno adeguarsi. Non è solo un questione di mitigazione: l’obiettivo è anche nutrizionale, in linea con l’evidenza scientifica che associa diete più vegetali a minori rischi cardiovascolari e metabolici.
Il cibo, tema spesso relegato alle scelte individuali, diventa leva strutturale della transizione ecologica. Il principio è semplice: se il settore pubblico è uno dei maggiori committenti di pasti – milioni al giorno in tutta l’UE – allora anche piccole variazioni nei capitolati possono generare effetti sistemici lungo la filiera. Il nuovo pacchetto del JRC si inserisce nel quadro del Green Public Procurement (GPP), oggi aggiornato con un approccio più integrato che tiene insieme salute, ambiente, nutrizione e riduzione degli sprechi.
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Il ruolo degli appalti pubblici
I criteri fissati dal JRC non sono meri suggerimenti: sono la base tecnica per gli appalti pubblici verdi, strumenti che gli Stati membri sono spinti caldeggiati a integrare nei bandi. È qui che la transizione alimentare dovrebbe incontrare la politica industriale. Favorire filiere locali e sostenibili significa creare domanda stabile per agricoltori, cooperative, centri di trasformazione e imprese di ristorazione collettiva capaci di innovare sul fronte dell’efficienza e della qualità.
La stessa Commissione sottolinea come l’alimentazione nelle mense sia un laboratorio perfetto per politiche che uniscono clima, economia circolare e salute pubblica: meno emissioni, meno rifiuti, più qualità nel piatto.
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Lotta allo spreco
Un altro asse centrale riguarda la lotta allo spreco alimentare. Il JRC propone criteri chiari per la misurazione delle eccedenze, la revisione delle porzioni, l’ottimizzazione delle cucine e la formazione del personale. In alcune realtà europee, come già abbiamo raccontato, il potenziale di riduzione dello spreco supera il 30% semplicemente intervenendo sulla gestione del servizio.

La questione però è più politica ed esce dalle mense o dai provvedimenti della Commissione. Le mense non cambiano solo acquistando ingredienti diversi, ma ripensando il rapporto tra cittadini e cibo. Per questo il JRC insiste su formazione, sensibilizzazione e coinvolgimento degli utenti, soprattutto nelle scuole, dove la mensa può diventare uno dei primi spazi educativi alla sostenibilità. Allo stesso tempo, il report evidenzia come molti enti pubblici temano costi aggiuntivi. In realtà quando si riduce lo spreco – le stime italiane parlano di circa 120 g di cibo buttato via ogni giorno per ciascun alunna/o, circa il 22% della quantità preparata – si acquistano prodotti stagionali e si ottimizzano le cucine, la sostenibilità non aumenta i costi, li rende semplicemente più mirati.
Le mense, spesso considerate un’infrastruttura secondaria, rappresentano un’opportunità per influenzare l’intera filiera alimentare, dalla produzione al consumo. I nuovi criteri del JRC sono un passo concreto per misurare il cambiamento del sistema alimentare europeo partendo da un ambiente conosciuto: il menù scolastico.
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Perché non è così semplice
Queste linee, pur essendo un passo importante, non sono vincolanti per i Paesi europei. Se è pur vero che le indicazioni vanno verso la limitazione di prodotti ad alto impatto come le carni rosse e favoriscano ingredienti stagionali, locali o provenienti da filiere certificate, il mondo delle mense scolastiche non è una monade indipendente dal sistema capitalistico. Senza un cambiamento strutturale delle dinamiche di produzione alimentare attuale, le linee guida del JRC rischiano di tradursi in momenti virtuosi ma non sistemici.

Si tratta di migliorare la qualità dei pasti nelle mense, ma anche di rivedere l’intero processo che li porta sulla tavola. Se l’obiettivo è davvero quello di promuovere un sistema alimentare più sostenibile, occorre che il cambiamento parta dalla base e coinvolga tutta la filiera, dai produttori agli utenti finali, in un processo che vada oltre la semplice applicazione di indicazioni, pur se della Commissione Europea.
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