[ di Susanna De Candia]
Recupero, restyling e nuova identità.Quando il design restituisce dignità e vita nuova a mobili e oggetti scartati
Sinossi
Revì è una start up che recupera e dà vita nuova a mobili e oggetti di arredamento, secondo i principi dell’economia circolare che recupera, rivitalizza e rimette in circolo prodotti del tutto nuovi. Un’idea che fa del design il mezzo attraverso cui restituire dignità o ridisegnare identità a mobili e oggetti che altrimenti sarebbero gettati o trascurati. Un progetto sviluppato da Barbara, un’eco-designer di Bisceglie (Puglia) che vuole lavorare in autonomia valorizzando anche le competenze altrui, senza impatti negativi sull’ambiente e, soprattutto, in un contesto prediletto: la propria terra d’origine. Revì è relazione, creatività, tenacia, integrazione e attenzione all’ambiente.
Barbara ha gli occhi verdi, lo sguardo acceso e tanta grinta.
È la mente di Revì, una start up che recupera e dà nuova vita a mobili e oggetti di arredamento. Un’eco-designer pugliese, di Bisceglie precisamente. La sua idea nasce in forma embrionale durante lo “Start up Weekend” del 2015, presso l’Impact Hub a Bari, quando ipotizzava solo un progetto digitale. E pensare che in un primo momento la sua proposta era stata scartata, come accade ai mobili di cui oggi si prende cura. Poi, le parole giuste, l’entusiasmo suscitato, l’approvazione e il 3° posto.
Due anni dopo vince il bando PIN della Regione Puglia, ma la creatività quasi mai prende strade lineari: Barbara e l’altro ideatore decidono di rinunciare al finanziamento. Segue un periodo di stasi, ma le fermate a volte sono necessarie per ripartire con carica e nuovi compagni di viaggio.
Barbara incontra Luca, «che è un vero maker, cioè un artigiano, uno che fa grafica reale» e dà vita a Revì. Sì, potrebbe sembrare un gioco di parole, ma in realtà è un giro di vite. La mission è «prendere mobili che si possono recuperare e dare nuova identità» e allungare il ciclo vitale.
Il nome scelto per questa start up – Revì – fa leva sul concetto di recupero e di vita, secondo i principi del riciclo e dell’economia circolare che riutilizza, rivitalizza e reintegra, contrastando lo spreco a più livelli.
Revì sostiene la creatività sotto vari aspetti (da quello progettuale a quello manuale, da quello economico a quello ecologico). Non solo ha una mission, ma è una missione: vuole ribaltare la visione distorta per cui il design è solo estetica e si rivolge solo ai facoltosi.
Il sogno è diventato realtà, una realtà in evoluzione e capace di contagiare. Una commessa numericamente importante ricevuta l’anno scorso ha richiesto una squadra eterogenea: disponibilità e competenze diversificate che hanno sostenuto il progetto.
Barbara ha investito tanto sulla sua formazione, studiando Design a Firenze e conseguendo lì ben due Master. Ha constatato sulla propria pelle cosa vuol dire rigenerare e rigenerarsi. Chi sceglie di tornare a Sud, dopo un periodo formativo e lavorativo fuori, è pieno di intenzioni, caparbietà e determinazione.
Ma capita non di rado di infrangersi col muro delle lungaggini burocratiche, dei tempi dilatati, delle fatiche contingenti. E l’inventiva lascia il posto alla rabbia. Barbara tuttavia ha modellato quest’emozione, rendendola stimolo e incentivo. Unica meta possibile per lei: lavoro autonomo, che valorizzi anche competenze altrui, che non impatti l’ambiente e che abbia come contesto la propria terra d’origine.
Recuperare e conferire la bellezza dei mobili artigianali a oggetti di scarto suggella l’unicità di ogni pezzo e crea un indotto per tutti i lavoratori artigianali che contribuiscono all’esito (artistico) finale. Il design non nasce come settore elitario, ma come “cosa” per tutti, come artigianato prestato all’industria. Questa è la convinzione più tenace di Barbara.
Revì recupera il lavoro manuale e rilancia le competenze artigianali che si stanno perdendo, esalta il decoro e la fierezza degli artigiani.
Punti di forza sono proprio il contatto umano e il lavoro in rete, che consente di superare i “ma”. In tanti hanno creduto nelle potenzialità di Revì, fornendo all’inizio anche supporto materiale (un furgone, un locale). Questa start up è anche scambio e integrazione. Per un certo periodo ha fatto parte di quest’avventura anche Sidia, giovane rifugiato politico proveniente dal Gambia, ma soprattutto «gran lavoratore».
La volontà per Barbara è un motore, permette di andare oltre le paure e far accadere le cose belle. In molti l’hanno contattata personalmente, grazie al passaparola o tramite i social, per consegnare mobili desueti, commissionare un restyling degli stessi o acquistare quelli che tornano a vivere con un’identità nuova.
«Che Revì possa crescere, diventare forte e dare lavoro all’altra gente» augura Barbara alla sua start up. «Sarebbe bello se assumesse la prospettiva di un’azienda media» sogna ad occhi aperti e intanto pensa ad allestire la nuova sede a Molfetta, perché ogni sogno cerca il posto giusto nel mondo.