Sul nucleare osserviamo posizioni spericolate, provocazioni e falsità: non è indulgente il commento di Gianni Silvestrini, una delle voci più autorevoli dell’ambientalismo italiano, un passato da ricercatore e da direttore generale al ministero dell’Ambiente, oggi direttore scientifico del Kyoto Club, di QualEnergia, presidente onorario del Coordinamento FREE (Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica) e di Exalto. Perché, anche nel caso in cui si volesse tornare a parlare di energia nucleare – come il ministro Cingolani, che pochi giorni fa ha dipinto le centrali “di ultima generazione” come l’unica alternativa per dire addio alle fonti fossili – sebbene Silvestrini sia apertamente contrario, la politica dovrebbe discutere su altri temi.
Non con annunci e informazioni inesatte, come nel caso dei tagli prospettati alle bollette degli italiani, che sicuramente non ci sarebbero, visti gli spropositati costi del nucleare. E poi perché la priorità deve essere data ad aspetti imprescindibili, come individuare luoghi sicuri dove costruire le centrali e soprattutto dove depositare le scorie radioattive. Il fatto è che, secondo Silvestrini, parlare di questi argomenti porterebbe solo a rendersi conto di come il nucleare non sia un percorso fattibile per l’Italia.
Come vede nell’attuale campagna elettorale le posizioni sul nucleare? Pensa ci sia un convincimento supportato dai fatti o sia uno dei tanti argomenti sollevati per ragioni meramente elettorali?
Ogni tanto ritornano. Parlo dei fantasmi del nucleare. In effetti nella campagna elettorale è rispuntato l’atomo. Il centrodestra («La sfida dell’autosufficienza energetica») lo inserisce, anche se in modo sfumato, parlando di ricorso alla produzione energetica attraverso la creazione di impianti di ultima generazione senza veti e preconcetti, valutando anche il ricorso al nucleare pulito.
Le posizioni più nette e spericolate sono quelle di Calenda che ipotizza uno scenario al 2050 con 40 GW nucleari. Significativamente, il suo programma non parla però di realizzazioni in questo decennio. E poi ci sono le provocazioni di Salvini: “La prima centrale nucleare italiana? Fatela a Milano, a casa mia, nel mio quartiere a Baggio”.
Nel caso di un cambiamento nell’orientamento politico o nelle idee della popolazione, avrebbe senso ripartire oggi con il nucleare? Quali ostacoli si incontrerebbero?
Ammessa una maggiore sensibilità sul tema, che in effetti oggi si avverte, bisognerebbe organizzare un altro referendum. In caso di vittoria, che ritengo molto improbabile, dei pro-nuke, bisognerebbe iniziare a discutere delle tecnologie da utilizzare e, soprattutto, della localizzazione molto problematica dei siti. Un alto ostacolo riguarda la loro fattibilità economico-finanziaria. Quale gruppo industriale investirebbe in Italia sul nucleare? Interverrebbe lo Stato, come per Alitalia o le acciaierie di Taranto?
E, molti chiederanno, giustamente, che prima di riavviare questa filiera, venga realizzato il deposito delle scorie radioattive di cui si parla a vuoto da più di due decenni. Ma l’aspetto più preoccupante di una ripresa della discussione sul nucleare sta nel fatto che rischia di distogliere l’attenzione e di rallentare la corsa delle rinnovabili (cosa che è successo, ad esempio, in Francia).
Sono immaginabili tecnicamente e teoricamente centrali nucleari in grado di risolvere alcuni dei problemi che questa fonte di energia comporta?
Visto il fallimento delle attuali tecnologie (EPR in Europa e AP1000 negli Usa con costi e tempi moltiplicati per 2-3 volte), molti puntano sui reattori di piccola scala, gli SMR, rispetto ai quali fattibilità, costi e rischi si conosceranno però solo alla fine di questo decennio. Ma dopo il 2030 le rinnovabili domineranno gli scenari energetici, con il 70-80% di elettricità verde in diversi paesi.
Pensa sia possibile immaginare una riduzione dei costi in bolletta con l’adozione del nucleare oppure proprio perché è una tecnologia costosa la situazione resterebbe inalterata?
L’impatto in bolletta si vedrebbe certamente, come dimostrano moli esempi, ma in senso negativo. L’accordo con EDF per realizzare la centrale nucleare inglese di Hinkley Point prevede il pagamento ai francesi di un prezzo per kWh prodotto più che doppio rispetto a quello delle grandi centrali eoliche offshore in costruzione negli UK. Una follia che pagheranno i cittadini britannici.
Lo stesso si può dire per i pochi altri impianti in costruzione o appena ultimati (Francia, Finlandia, Usa). I due reattori Vogtle, i primi costruiti negli Usa dopo 30 anni, con un costo finale superiore ai 30 miliardi $ e il fallimento della società costruttrice Westinghouse, e con un aumento delle bollette dei cittadini della Georgia.
In un rapporto dell’IEA (Agenzia internazionale dell’energia) si ritiene che il nucleare consentirebbe ai sistemi elettrici di integrare quote maggiori di energia solare ed eolica e che potrebbe essere utilizzato come fonte energetica di transizione. Cosa ne pensa?
L’Agenzia internazionale per l’energia (IEA) nello studio Net Zero Emissions by 2050, pur prevedendo una crescita della potenza atomica installata, valuta che il contributo nella generazione elettrica scenderebbe all’8% a metà secolo, a fronte di una crescita esplosiva delle rinnovabili. Peraltro, il nucleare, per la sua scarsa flessibilità è poco adatto in un contesto di forte crescita del solare e dell’eolico. Serviranno invece sistemi di accumulo di lunga durata, capaci di stoccare elettricità per giorni e settimane. E, non a caso, quello del Long Term Storage è un settore che già vede le prime sperimentazioni.
Quali sono le sue previsioni? Assisteremo a una crescita delle nazioni che utilizzano il nucleare nei prossimi anni se i consumi di energia continueranno a crescere?
Il nucleare si svilupperà in alcuni paesi, come la Cina. Ma, attenzione, anche in questo paese, il contributo delle rinnovabili sta crescendo più rapidamente rispetto a quello nucleare. In Francia, Macron aveva ipotizzato un rilancio del nucleare, ma deve fare i conti con l’attuale débâcle delle centrali esistenti che, proprio in questa fase di prezzi altissimi del gas, sono per metà ferme per manutenzione o per problemi di corrosione.
E, significativamente, nell’ultimo provvedimento da 433 miliardi $ di Biden, l’Inflation Reduction Act, sono previsti 30 miliardi $ per sostenere il nucleare che non riesce a competere con il gas e con le rinnovabili, impedendo così il ritiro di centrali per 10-20 GW entro il 2030. Insomma, gli alti costi e i lunghi tempi di costruzione fanno del nucleare un’anatra zoppa sulla via della decarbonizzazione.
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