E se le ambizioni ambientali dell’Unione europea sui prodotti sostenibili fossero messe a rischio dall’e-commerce? L’allarme arriva da un gruppo di soggetti del mondo ambientalista (come European Environmental Bureau, Deutsche Umwelthilfe, Fundación Vida Sostenible, Amici della terra Francia) e di quello produttivo: da Euric, le imprese europee del riciclo, a En Mode Climat, che rappresenta l’industria della moda francese, a Euratex, le industrie tessili europee, all’industria del giocattolo (Toy Industries Of Europe – TIE) o dello sport (Federation of the European Sporting goods Industry – FESI) ma anche il WEEE Forum, che raccoglie i soggetti che gestiscono la responsabilità estesa del produttore per i prodotti elettrici ed elettronici. “Milioni di prodotti venduti online, tra cui prodotti tessili, elettronici, mobili e cosmetici – avvertono le Ong e l’industria europea – potranno sfuggire al quadro normativo dell’UE sulla sostenibilità dei prodotti attualmente in fase di negoziazione” (la proposta di regolamento sull’Ecodesign (ESPR-Ecodesign for Sustainable Products Regulation).
Spiegano i firmatari dell’appello: “La vendita online di beni ai consumatori nei casi in cui i commercianti sono situati al di fuori dell’UE e non hanno un operatore economico con sede nell’UE che possa essere ritenuto responsabile per i prodotti e le attività dei commercianti, rappresenta una grave lacuna per le politiche di Green Deal che cercano di migliorare la sostenibilità dei prodotti, minacciando la competitività delle imprese europee e gli obiettivi ambientali dell’Europa, oltre a fuorviare i consumatori”.
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L’e-commerce bypassa le regole ambientali e di sicurezza europee
L’allarme di imprese e Ong si basa su una serie di ricerche che negli ultimi anni hanno dimostrato come i prodotti acquistati online che arrivano direttamente nelle casei dei consumatori europei non rispettano, in larga parte, le regole vigenti (la nota della coalizione parla di “prove esistenti di non conformità relative alle vendite online”). Un elenco da brividi che vi riportiamo di seguito:
- Il 15% dei prodotti venduti su SHEIN (piattaforma di ultra-fast faschion di cui abbiamo scritto) supera i limiti chimici dell’UE (Fonte: Greenpeace);
- Il 5-10% delle tasse EPR (responsabilità estesa del produttore) rimane non pagato per i prodotti elettronici venduti online (OCSE);
- Due terzi dei prodotti provenienti dai mercati online non superano i test europei di sicurezza (BEUC). L’84% dei giocattoli offerti da venditori extracomunitari sui marketplace digitali non rispetta i requisiti di sicurezza dell’UE (Progetto CASP – Coordinated Activities on the Safety of Products). 10 luci di natale su 12 acquistate online non rispettano le norme di sicurezza elettrica (Which);
- Solo l’8% dei prodotti per l’illuminazione proposti dall’algoritmo dei marketplasce per queta tipologia di prodotti rispetta gli obblighi di informazione previsti dalla normativa europea. Su un campione di 30 prodotti consegnati a domicilio, il 77% non era conforme alle norme UE (Lighting Europe);
- Il 95% dei prodotti venduti attraverso marketplace online non è conforme alle leggi sulle sostanze chimiche: REACH, CLP e BPR (European Chemical Agency).
“Alcuni venditori online mineranno il Green Deal eludendo la legislazione UE attuale e futura senza dover affrontare alcuna conseguenza”, commentano le associazioni firmatarie dell’appello: “L’Europa sta già sperimentando una flagrante non conformità legata ai prodotti venduti online e importati da paesi terzi, con alti tassi di parassitismo (free-riding), elusione fiscale, concorrenza sleale nei confronti dell’industria europea, rischi per la sicurezza dei prodotti, tossicità e impatto ambientale negativo”.
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Le falle nella normativa
Secondo le associazioni ambientalisti e quelle delle imprese “le definizioni eterogenee presenti nella legislazione esistente – quali produttori, importatori, distributori e rivenditori – non si adattano bene al mercato online soprattutto quando i commercianti sono situati al di fuori dell’Europa e non hanno una sede d’importazione nell’UE”.
Nella sua forma attuale, secondo le associazioni, “il testo dell’ESPR (Ecodesign for Sustainable Products Regulation )consentirà alle aziende dei Paesi terzi di vendere e generare ingiustamente ricavi da prodotti non conformi”. Le falle riguardano diverse norme vigenti. “La misura inizialmente introdotta dal nuovo regolamento sulla vigilanza del mercato (Market Surveillance Regulation) per designare una persona responsabile all’interno dell’UE rimane insufficiente e comporta obblighi limitati. In molti casi, non ci sarà un operatore economico responsabile per i prodotti non conformi venduti online sul mercato dell’UE”. E ancora: “La legge sui servizi digitali (DSA- Digital Services Act) introduce nuove regole per le piattaforme online. Tuttavia, le norme non si applicano a tutte le piattaforme e la DSA non attribuisce chiaramente la responsabilità quando non c’è un operatore economico nell’UE. Questa rimane una lacuna legale da colmare”.
I rischi di elusione non riguarderebbero solo il futuro regolamento sull’ecodesig, ma anche “molte altre politiche esistenti e future, tra cui ma non solo: la Direttiva sulla sostenibilità aziendale e la due diligence (Corporate Sustainability and Due Diligence Directive); la Direttiva sulla responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde (Empowering the Consumers for the Green Transition Directive); il Regolamento sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (Packaging and Packaging Waste Regulation)”.
La proposta di Regolamento sulla progettazione ecocompatibile di prodotti sostenibili
Il 30 marzo dell’anno scorso, nel quadro del Piano d’azione per l’economia circolare, la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento che abrogherebbe la direttiva 2009/125/CE (Direttiva Ecodesign) oggi vigente e limitata ai soli aspetti energetici del prodotti. La proposta di regolamento stabilisce un quadro per “l’elaborazione delle specifiche di progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili”. Come abbiamo già spiegato altrove, la Commissione europea vorrebbe estendere il campo di applicazione a tutti i prodotti fisici. Come ricorda il Ministero delle imprese e del Made in Italy, sulla base di uno studio preliminare del Centro comune di ricerca della Commissione (Joint Reserch Centre), sono stati individuati una serie di nuovi prodotti finali che potrebbero avere la priorità nell’ambito delle regole dell’ESPR: tessili e calzature; mobili; prodotti ceramici; pneumatici; detergenti; materassi da letto; lubrificanti; pitture e vernici; prodotti cosmetici; giocattoli; reti e attrezzi da pesca; prodotti igienici assorbenti.
Per una valutazione corretta e condivisa delle priorità, la Commissione europea ha lanciato una consultazione pubblica (che si chiuderà il 12 maggio prossimo) sulle “Nuove priorità per la progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili”. “La proposta di regolamento in discussione infatti – spiega il ministero – presenta un quadro generale, mentre le singole specifiche di progettazione ecocompatibile saranno definite in una fase successiva. Sulla base dei criteri fissati nell’articolo 16, la proposta individua la necessità di definire l’ordine di priorità dei prodotti oggetto di specifiche grazie a un piano di lavoro periodicamente aggiornato”.
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Le proposte delle associazioni per limitare i danni
Le associazioni che hanno lanciato l’allarme sulle falle che l’e-commerce ha aperto nella normativa europea presente e futura chiedono alle istituzioni di “garantire che per tutti i canali di vendita online vi siano operatori economici con sede nell’UE o nell’Europa sudorientale (SEE -South East Europe) responsabili della conformità dei prodotti venduti nell’UE”. Per raggiungere questo obiettivo, i marketplace digitali “dovrebbero avere obblighi distinti per garantire che i commercianti che vendono sulla loro piattaforma soddisfino i requisiti dell’ESPR o che dimostrino di avere un operatore economico responsabile registrato nell’UE o nel SEE – questi requisiti dovrebbero equivalere a un obbligo non solo di monitoraggio (raccolta dei dati, ndr) ma di controllo”. L’applicazione delle norme sui dettaglianti extra-UE che vendono direttamente ai consumatori dell’UE “deve essere rafforzata, con la possibilità di bloccare i pacchi e/o i siti dei venditori per i quali viene dimostrata la non conformità”.
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