L’Italia è in linea con le altre nazioni Occidentali nella lotta al cambiamento climatico. Non è, però, una buona notizia. Pochi giorni prima dell’inizio della Cop27 in Egitto le Nazioni Unite avevano lanciato l’allarme: se i Paesi occidentali non accelerano con le misure di decarbonizzazione, sarà impossibile rispettare gli Accordi di Parigi e restare sotto la soglia di 1,5 °C di aumento delle temperature rispetto ai livelli pre-industriali. Invece, finora, in tutto l’Occidente si è sprecato tempo e fatto poco. Anzi, probabilmente rispetto ad altre nazioni europee, le cose in Italia vanno addirittura peggio.
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Il disinteresse italiano è politico
Il senso lo ha dato, durante la Cop27 di Sharm el-Sheikh, l’atteggiamento di distanza del governo. Non era presente nessun rappresentante di Roma a dare un indirizzo politico per questioni fondamentali nei decenni a venire, destinate ad avere conseguenze profonde nell’economia, nell’energia, nelle relazioni internazionali. Della premier Giorgia Meloni si è visto solo la passerella con il presidente al-Sisi, mentre il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha addirittura utilizzato la Cop27 per parlare di temi spendibili nel dibattito politico nazionale, come il nucleare, ma irrilevanti per quanto discusso a Sharm el-Sheikh.
Un disinteresse che si è riverberato nell’assenza dell’Italia da tutti i tavoli negoziali alla Conferenza sul clima. L’Unione europea prende le decisioni come un unico blocco, è vero, ma ai tavoli negoziali ci vanno i rappresentanti dei singoli Stati, che si dividono le questioni chiave per gruppi di lavoro. L’Italia non era presente in nessuno di questi. Certo, c’erano alcuni tecnici, coordinati dall’inviato italiano per il clima, Alessandro Modiano: ma a differenza di John Kerry o altri ruoli equiparabili, non è membro del governo e non ha alcuna investitura politica.
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Il piano italiano di riduzione delle emissioni e ambizioni per il 2050
Rispetto a Paesi come Germania, Francia, Regno Unito e Spagna, l’Italia non ha mai individuato un target di riduzione delle emissioni aggiuntivo rispetto al contributo fissato dagli obiettivi comunitari. Nel marzo 2020 è stato approvato il Piano per la Transizione Ecologica: all’interno si trova l’obiettivo di ridurre le emissioni entro il 2030 del 51% rispetto ai livelli del 1990, ma non ha valore vincolante. In attesa di rivedere i target, resta operativo il PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima 2030), che delinea il “primo tratto” del percorso di decarbonizzazione, per il periodo 2021-2030.
Il PNIEC ha individuato obbiettivi puntuali relativamente alla crescita delle fonti rinnovabili (30% sui consumi finali), al miglioramento dell’efficienza energetica (-43% rispetto allo Scenario tendenziale) e alla riduzione delle emissioni di gas serra, declinate tra settori “ETS” e “non-ETS” (rispettivamente almeno -43% e -33% rispetto al dato del 2005). “Confermando ed estendendo al ventennio successivo le dinamiche energetico-ambientali virtuose del PNIEC – si legge nel documento del Mite – nello Scenario di Riferimento, al 2050, residuano circa 220 Mton CO2 equivalenti che, tenuto conto degli assorbimenti del settore LULUCF (utilizzo del suolo ndr), scendono appena sotto le 200 Mton CO2 equivalenti: saremmo grossomodo al 40% del livello del 1990”.
Secondo Climate Analytics, associazione no-profit che si occupa di analisi climatiche, invece l’Italia per contribuire a restare sotto la soglia di 1,5 °C di innalzamento della temperatura rispetto ai livelli pre-industriali “dovrebbe tagliare le emissioni di gas climalteranti di circa il 61-71% rispetto al 1990 e arrivare a 149-201 MtCO2e di emissioni entro il 2030”. Significherebbe quasi raddoppiare gli impegni da oggi al 2030 rispetto a quanto previsto dal Piano nazionale integrato per l’Energia e il Clima. Ancora più ambizioso il target per il 2050, con un taglio del 94% delle emissioni registrate nel 1990, arrivando intorno a 33 MtCO₂e di emissioni annuali.
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Trasformare interi settori dell’economia con l’elettrificazione
Per arrivarci è indispensabile decarbonizzare i settori dell’economia caratterizzati da un grande consumo di energia (trasporti, produzione elettrica, edilizia e industria). Sono settori dominati dai combustibili fossili (nel 2019 la quota era dell’81%) e responsabili dell’80% delle emissioni nazionali, se si esclude il settore foreste e agricoltura. C’è stato un miglioramento negli ultimi anni, ma resta di fondo l’eccessivo utilizzo dei combustibili fossili.
I trasporti sono il primo responsabile delle emissioni. La decarbonizzazione dei trasporti sarebbe possibile solo attraverso l’elettrificazione, che però attualmente ha un peso residuale del 5%. Secondo le stime citate da Climate Analytics sarebbe necessario arrivare al 57% nel 2030 e, a seconda degli scenari, fino al 75% nel 2040. Tutti gli scenari prevedono non solo l’elettrificazione, ma anche una significativa riduzione dei consumi di energia.
Tuttavia, allo stato attuale, l’Italia è solo dodicesima tra le nazioni Ue in termini di percentuale di automobili elettriche in strada e la quota di mercato dell’elettrico sommando i veicoli a batteria e gli ibridi plug-in è inferiore al 10%. Servirebbe ben altro e in poco tempo. Per essere compatibili con la soglia degli 1,5 °C, le emissioni generate dal settore dei trasporti dovrebbero ridursi tra il 51-67% entro al 2030 rispetto al 2019. Per farlo, secondo le stime del think tank ECCO, serviranno tra i 13 e i 18 milioni di veicoli elettrici, tre volte di più rispetto a quanto previsto dal Piano per la Transizione Ecologica italiano. Né sono incoraggianti le prese di posizione di esponenti del governo come il vice-presidente del Consiglio Matteo Salvini che chiede, invece, di rivederli al ribasso, questi obiettivi.
Il terzo settore responsabile delle emissioni nazionali è l’edilizia. Restare lungo il percorso indicato dalla soglia degli 1,5 °C significherebbe dimezzare le emissioni dirette di CO2 entro il 2030 e decarbonizzare completamente il settore nel decennio tra il 2040 e il 2050. Anche in questo caso l’unica via è accrescere il tasso di elettrificazione, passando dal livello del 28% registrato nel 2019 al 48-50% nel 2030.
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Rivedere la strategia energetica: il peso delle rinnovabili
Tuttavia, elettrificare interi settori dell’economia per l’Italia si accompagna a un altro problema. Nel 2021 l’elettricità prodotta in Italia era per il 14% generata da centrali a carbone o petrolio e nel 50% dei casi da centrali a metano. È evidente quanto la dipendenza dal settore del gas, che è molto climalterante, rischi di rallentare l’efficacia delle misure. Per questo, nota Climate Analytics, “a causa della dipendenza dall’import per il fabbisogno di energia, l’Italia avrebbe bisogno di rivedere la sua strategia energetica, passando dall’utilizzo dei combustibili fossili, in particolare gas, alle fonti di energia rinnovabili”.
L’impronta di carbonio del settore dell’energia, per essere compatibile con la soglia degli 1,5 °C dovrebbe arrivare dai 260 gCO2/kWh registrati nel 2019 a circa 60-70 gCO2/kW entro il 2030: ovvero una riduzione del 75-76%. Per farlo, si dovrebbe passare dall’attuale quota dell’80% di utilizzo di combustibili fossili nel mix energetico ad almeno la metà nel 2040 e alla drastica riduzione tra il 2% e il 22% nel 2050.
Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, la capacità produttiva di energia da fonti rinnovabili dell’Italia crescerà di 17 GW nel 2026, di cui il 75% verrà dal solare. Le rinnovabili dovrebbero ricoprire almeno il 44% nel mix energetico entro il 2050, ma l’ambizione sarebbe attestarsi intorno all’82-87% nel 2030 e al 100% bel 2040. Invece, l’obiettivo nazionale del 30% di rinnovabili entro il 2030 è ritenuto il minimo indispensabile per restare all’interno del percorso degli 1,5 °C.
Peraltro, la quota minore di rinnovabili è contrastata nelle previsioni dall’utilizzo di combustibili fossili dotati di tecnologia CCS (Cattura e stoccaggio del carbonio): una scommessa, considerati i risultati incerti finora raggiunti dalla Carbon Capture and Storage e secondo molti ambientalisti e tecnici persino dannosa, visto che potrebbe rallentare la transizione verso le rinnovabili. Un approccio in linea con quanto già visto alla Cop27: rimandare le azioni fondamentali, come se l’obiettivo reale fosse, invece, prendere tempo. L’unica cosa, però, che davvero manca.
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