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venerdì, Dicembre 13, 2024

Clima, per rispettare gli Accordi di Parigi serve più economia circolare

Quasi la metà delle emissioni di gas serra proviene dalla produzione di automobili, vestiti, cibo e altri prodotti, ma allora perché nell’arginare i danni legati alla crisi climatica si parla così poco di economia circolare? Gli studi di Ellen MacArthur Foundation e UK Green Building Council (UKGBC)

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Redazione EconomiaCircolare.com

“È giunto il momento di porre l’economia circolare al centro degli sforzi per mitigare il cambiamento climatico” con queste parole un articolo pubblicato nel 2020 da James Woolven, della Ellen MacArthur Foundation, evidenziava la necessità di porre più attenzione alla materia, insieme a energia ed emissioni.

Dopo due anni, una pandemia, un crisi energetica e una guerra ai confini dell’Europa che spinge verso un ritorno in grande stile delle fonti fossili, l’esortazione suona ancora più urgente e rischia di restare inascoltata ancora a lungo nonostante si moltiplichino gli allarmi sui pericoli connessi alla crisi climatica.

Le misure messe in atto dai governi si rivelano insufficienti ad arginare il rischio di un innalzamento della temperatura oltre il 1,5° e voci autorevoli come quella di Inger Andersen, direttrice esecutiva del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), parlano di “disastro” in corso e non più di rischio: ciò nonostante la prima settimana della 27a sessione della Conferenza delle parti sul Clima dell’UNFCCC (COP27), in corso a a Sharm el-Sheikh, in Egitto, non lascia ben sperare rispetto all’assunzione di impegni più puntuali e vincolanti rispetto a quelli fin qui assunto dai vari Paesi.

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Tra le azioni che andrebbero assunte nell’immediato c’è senza dubbio anche un massiccio investimento sull’economia circolare, che avrebbe un ruolo chiave nel raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi: un tassello troppo spesso dimenticato nel grande quadro legato ai provvedimenti mirati a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, i cui costi per l’economia globale si prevede che raggiungeranno i 54.000 miliardi di dollari entro il 2100.

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Come progettiamo, produciamo e utilizziamo i prodotti

“Per raggiungere l’obiettivo di net-zero entro il 2050, dobbiamo affrontare il modo in cui produciamo e utilizziamo prodotti, materiali e alimenti. Abbiamo bisogno di un’economia circolare”, scrive Woolven.

Secondo la Ellen MacArthur Foundation, finora gli sforzi per affrontare la crisi si sono concentrati sulla transizione verso le energie rinnovabili, e sull’efficienza energetica. Sebbene siano cruciali e del tutto coerenti con le prospettive dell’economia circolare, queste misure possono affrontare solo il 55% delle emissioni, quelle derivanti dai sistemi di approvvigionamento energetico, dal consumo di energia negli edifici e dai trasporti. Il restante 45% proviene dalla produzione di automobili, vestiti, cibo e altri prodotti che utilizziamo ogni giorno, dunque dall’industria, dall’agricoltura e dall’uso del suolo. Alcuni processi all’interno di questi settori poi sono particolarmente critici per le emissioni di gas serra: i processi chimici per la produzione di cemento, i processi ad alte temperature come la fusione dei metalli, lo smaltimento in discarica, l’incenerimento, la deforestazione e l’agricoltura.

Una situazione simile richiede quindi una revisione del modo in cui progettiamo, produciamo e utilizziamo prodotti e materiali. Viene da sé che per avere successo in un’impresa così difficoltosa è necessario andare ad intervenire su tutte le fonti di emissioni di gas serra, ed è qui che entra in gioco l’economia circolare: incorporare i principi dell’economia circolare nei piani di azione per il clima non è solo utile, ma essenziale.

Il ruolo dell’economia circolare nel limitare le emissioni

Secondo il report “Completing the Picture: How the Circular Economy Tackles Climate Change” della Ellen MacArthur Foundation, l’economia circolare offrirebbe infatti una risposta sistematica alla crisi, riducendo le emissioni e aumentando la resilienza ai suoi effetti: i benefici, come sappiamo, sono molteplici e comprendono il raggiungimento di altri obiettivi come una maggiore vivibilità della città, uno stimolo all’innovazione ma anche un miglioramento della qualità dell’aria, dell’acqua e la protezione della biodiversità. L’economia circolare può contribuire, ovviamente, a raggiungere anche altri Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU, primo fra tutti l’SDG 12 (l’obiettivo che riguarda consumo e produzione responsabili).

Non una novità per i lettori di EconomiaCircolare.com: anche nel documento del 2018 della Commissione europea “Un pianeta pulito per tutti. Visione strategica europea a lungo termine per un’economia prospera, moderna, competitiva e climaticamente neutra” l’economia circolare viene indicata, insieme agli stili di vita, come una delle scelte strategiche più convenienti per abbattere le emissioni: nel documento si ricorda, ad esempio, che ogni tonnellata di plastica riciclata permette di risparmiare l’equivalente delle emissioni annuali di un’auto.

E i dati di riscontro non finiscono qui: l’applicazione di strategie di economia circolare, fa sapere ancora Woolven, per i cinque materiali più comuni nella nostra economia – cemento, alluminio, acciaio, plastica e cibo – può eliminare quasi la metà delle emissioni rimanenti dalla produzione di beni, ovvero 9,3 miliardi di tonnellate di CO2e entro il 2050, equivalenti a tutte le attuali emissioni globali dei trasporti.

Nel settore dei trasporti, i sistemi di mobilità multimodale, se progettati anche per durare nel tempo, riducono le emissioni globali di CO2 del 70% o di 0,4 miliardi di tonnellate di CO2 nel 2040. Nel sistema alimentare, l’applicazione dei principi dell’economia circolare potrebbe ridurre le emissioni annue di gas serra di 4,3 miliardi di tonnellate di CO2, paragonabili a togliere definitivamente dalla circolazione quasi un miliardo di automobili del mondo. Inoltre, l’agricoltura rigenerativa migliora la salute del suolo portando, ad esempio, a una maggiore capacità di assorbire e trattenere l’acqua, e aumentando la resilienza contro le piogge e alla siccità.

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Il settore edilizio e la riduzione delle emissioni

Anche mantenere in circolo materiali da costruzione può ridurre significativamente l’impatto climatico del settore edilizio: la lavorazione di aggregati riciclati, ad esempio, genera il 40% in meno di emissioni di gas serra rispetto a quella degli aggregati vergini; come attesta anche “How Circular Economy Principles can impact carbon and value”, lo studio dello UK Green Building Council (UKGBC). Il documento raccoglie una serie di casi studio che dimostrano l’impatto positivo che la circolarità sta già producendo in alcuni progetti edilizi nel Regno Unito. Dimostra che la circolarità non porta benefici solo in termini di emissioni di carbonio, ma è in grado di soddisfare obiettivi più ampi: sociali, ambientali e finanziari.

Secondo Julia Hirigoyen, Chief Executive Officer dell’UKGBC, e come riportato da Resource: “L’economia circolare rappresenta un’enorme opportunità per il settore dell’edilizia. La ricerca dimostra che, attraverso l’applicazione intelligente di pratiche circolari, è possibile ottenere significativi risparmi di carbonio lungo l’intero ciclo di vita di un edificio, oltre a produrre benefici in termini di costi e fornire opportunità per aumentare il valore sociale”.

“Se da un lato – ha aggiunto – la Roadmap dell’UKGBC ha confermato che un ambiente costruito a zero emissioni di carbonio è raggiungibile entro il 2050, dall’altro ha rafforzato il fatto che per raggiungere questo obiettivo sarà necessario un cambiamento trasformativo nel modo in cui affrontiamo e realizziamo i progetti edilizi, con la circolarità come parte fondamentale della soluzione.”

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La direzione è davvero circolare?

Eliminare rifiuti e l’inquinamento, mantenere in circolo prodotti e materiali e rigenerare i sistemi naturali, oltre a fornire un quadro chiaro per contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi, può aiutare a creare le condizioni per una ripresa economica in grado di funzionare sul lungo periodo, a differenza di qualsiasi piano ancorato ai principi legati all’economia lineare: questo perché può creare una maggiore resilienza agli shock nell’industria e nella società, basti pensare a come il riciclo può ovviare alla carenza di materie prime e alle difficoltà legate al loro approvvigionamento.

Secondo Woolven, vi è spinta positiva da parte dei governi, non da ultimo nell’Unione Europea, dove l’economia circolare è uno degli elementi chiave del Green Deal europeo ed è stato adottato un nuovo piano d’azione per l’economia circolare.

Ma se da una parte negli ultimi anni possiamo registrare una maggiore attenzione, almeno nelle dichiarazioni di intenti, da parte di aziende e governi verso l’economia circolare, si può affermare che non vi è ancora una visione sistemica entro cui operare. Non di meno, spesso gli accordi presi in tal senso, si rivelano una delusione, o addirittura una possibile manovra di greenwashing, come spiega il report Global Commitment 2022, prodotto in collaborazione con l’UNEP, dover emerge come i marchi responsabili del 20% del packaging prodotto a livello globale stiano disattendendo le loro promesse e come alcuni obiettivi, legati al riciclo della plastica e alla riduzione di plastica vergine, non potranno essere raggiunti entro il 2025.

E se la pandemia non è bastata per un’inversione di rotta del modello economico, l’auspicio è che una maggiore consapevolezza del disastro climatico ma anche delle possibili attenuanti che potremmo mettere in atto, non dimentichi, almeno questo volta che sarà difficile limitare i danni muovendosi dentro un sistema economico lineare.

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