mercoledì, Dicembre 3, 2025

Cop30, i leader del mondo tra ammissioni e nuove promesse

Al vertice che precede la Cop30 di Belém i leader mondiali hanno verificato gli impegni dell’Accordo di Parigi. Il presidente brasiliano Lula, padrone di casa, chiede azioni concrete contro deforestazione e fossili. Assenti Trump, Xi e Meloni. Lanciato il TFFF da 5 miliardi per tutelare le foreste e sostenere gli indigeni

Enrica Muraglie
Enrica Muraglie
Giornalista indipendente, ha scritto per il manifesto, Altreconomia, L'Espresso. Fa parte della rete FADA.

Si apre oggi la 30ª Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, nota anche come Cop 30, a Belém, in Brasile. A dare il via alla Conferenza il vertice dei leader del Pianeta, che si è svolto il 6 e 7 novembre.  “Un incontro cruciale nel cuore dell’Amazzonia per dimostrare che il multilateralismo può dare risultati nella lotta esistenziale contro il cambiamento climatico”, ha scritto su X (ex Twitter) alla vigilia del vertice Antonio Costa, presidente del Consiglio europeo. 

Vertice che è stato pensato per una verifica delle promesse fatte con l’Accordo di Parigi, a dieci anni dalla sua entrata in vigore, e degli impegni presi più di recente alla Cop 28 a Dubai. Le sessioni tematiche della riunione hanno attraversato alcune questioni chiave: transizione energetica, Accordo di Parigi, i Contributi determinati a livello nazionale (NDC) per ridurre i gas effetto serra e il finanziamento di azioni per combattere la crisi climatica. 

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I grandi assenti alla Cop30

Nell’idea del presidente ospitante Luiz Inacio Lula da Silva, la Cop 30 dovrà essere “la Cop della verità”: meno parole e più impegni concreti. “Abbiamo bisogno di una tabella di marcia per pianificare un modo giusto per porre fine alla deforestazione, superare i combustibili fossili e mobilitare le risorse necessarie per raggiungere questi obiettivi”, ha detto Lula rivolgendosi ai leader presenti al vertice, tra cui il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Friedrich Merz e il primo ministro britannico Keir Starmer. 

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Sul vertice è pesata però l’assenza di molti leader dei G20, tra cui Donald Trump e Xi Jinping, presidenti dei Paesi responsabili rispettivamente dell’11 e del 29% delle emissioni globali. Tra i posti vuoti anche quello dell’India di Modi e della presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni, che ha inviato a Belém il ministro degli Esteri Antonio Tajani a fare le sue veci. “Un segnale eloquente del disinteresse del governo verso una delle più gravi crisi del nostro tempo” ha commentato Chiara Campione, direttrice esecutiva di Greenpeace Italia. “E Tajani non ha deluso le aspettative, vantandosi di un accordo europeo che Greenpeace ha già definito un fallimento: un obiettivo di riduzione delle emissioni debole, costruito su trucchi contabili e sulla possibilità di scaricare parte dei tagli fuori dall’Unione Europea”.

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I fallimenti

Mentre il segretario generale dell’ONU António Guterres denunciava al vertice il fallimento comune nel mantenere il limite di 1,5 gradi, definendo questa inazione da parte degli Stati  “una negligenza mortale”, Tajani ha presentato il nucleare e altre soluzioni, che la scienza climatica reputa dannose, come inevitabili. Questo “serve solo a giustificare l’inazione e a suggellare la dipendenza fossile del nostro Paese. Un discorso che sembra scritto da Eni, non da un ministro della Repubblica italiana, e che conferma l’allineamento del governo con chi alimenta la crisi climatica invece di contrastarla”, ha proseguito Campione. 

Intervenendo al vertice, il presidente della Commissione dell’Unione africana, Mahmoud Ali Youssouf, ha chiesto di interrompere le politiche della carità a favore di “giustizia climatica, accesso equo ai finanziamenti, alla tecnologia e alle opportunità. I meno responsabili di questa crisi non devono sopportare il fardello più pesante”. Il continente africano “che ospita il 40% del potenziale rinnovabile globale, riceve meno del 12% dei finanziamenti per il clima”, ha aggiunto Youssouf, denunciando la fine del “tempo delle mezze misure”. 

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Il cardinale Pietro Parolin, a Belém per guidare la delegazione della Santa Sede, ha sottolineato che i cambiamenti climatici causano più “sfollati dei conflitti”, e ha esortato i leader a “dare esecuzione agli impegni già presi”.  La maggior parte dei leader al vertice, circa 70, ha ammesso che il mondo non riuscirà a mantenere il riscaldamento al di sotto di 1,5 °C, il limite più ambizioso fissato nell’accordo di Parigi dieci anni fa. Gaston Browne, primo ministro di Antigua e Barbuda, nei Caraibi, ha inveito contro i grandi inquinatori che “continuano a distruggere deliberatamente i nostri ambienti marini e terrestri con i loro combustibili fossili”. 

E proprio l’uscita dal petrolio torna di attualità per molti Paesi europei. Ogni Stato membro dovrà “elaborare la propria strategia per eliminare gradualmente i combustibili fossili”, ha proposto il presidente francese Emmanuel Macron. Per la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen l’Europa mantiene la rotta sugli obiettivi climatici, ma non è chiaro come questo sia compatibile con le politiche del riarmo europeo. 

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Il lancio del TFFF

Il WWF Italia ha espresso rammarico per la mancata attenzione del governo italiano al TFFF, il cui lancio rappresenta uno dei momenti più significativi della Cop 30 di Belém e un passaggio decisivo per la tutela delle foreste a livello globale. 

Un piano che è già “un’eredità determinante della Cop di Belém, non solo per il Brasile, ma per l’intero pianeta, in particolare per il Sud Globale, dove si trova la quasi totalità delle foreste tropicali del mondo. Riunisce, come mai successo prima, la responsabilità dei governi, il ruolo delle popolazioni locali e la forza del settore finanziario attorno a un obiettivo condiviso”, ha dichiarato Mauricio Voivodic, direttore esecutivo di WWF Brasile. 

Il TFFF (del valore iniziale di 5 miliardi di dollari) getta le fondamenta per una soluzione a lungo termine. Ricompensa i paesi per la conservazione delle foreste in funzione di benefici globali come lo stoccaggio del carbonio, la tutela della biodiversità, acqua pulita e resilienza climatica. Uno degli aspetti più importanti è che almeno il 20% dei pagamenti fluirà direttamente ai popoli indigeni e alle comunità locali, rendendo potenzialmente il TFFF la più grande fonte internazionale di finanziamento diretto per coloro che da sempre sono i custodi delle foreste tropicali. 

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