Con un preoccupante effetto domino, la crisi del riciclo della plastica, che in alcune aree del paese (Sicilia e Sardegna) è già diventata crisi della raccolta differenziata, potrebbe contagiare anche la raccolta della carta, con conseguenze importanti non solo sulla gestione di rifiuti urbani ma, probabilmente, anche sul tessuto industriale. Lo fa sapere l’Unione nazionale imprese raccolta, recupero, riciclo e commercio dei maceri e altri materiali (Unirima), che riunisce appunto chi gestisce i rifiuti di carta quando diventano nuova materia prima per le cartiere. “Senza soluzioni immediate, il conferimento delle raccolte differenziate comunali rischia di fermarsi” ha detto Francesco Sicilia, direttore generale dell’associazione Unirima.
Il motivo sta nel fatto che le due differenti filiere di raccolta e riciclo, quella della plastica e quella della carta, hanno un punto d’intersezione: i cosiddetti centri comprensoriali. È proprio lì che i pesanti rallentamenti della prima (di cui EconomiaCircolare.com ha scritto) rischiano di trasferirsi anche alla seconda.

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Centri comprensoriali al limite
“I circa 250 Centri comprensoriali (CC) attivi sul territorio rappresentano il primo anello della filiera e svolgono un ruolo essenziale per garantire la continuità del sistema” afferma Unirima in una nota. Distribuiti capillarmente su tutto il territorio nazionale, “sono il primo anello della filiera impiantistica del settore riciclo plastica”.
E cosa c’entra Unirima coi centri comprensoriali? Lo spiega l’associazione in una lettera inviata il 14 scorso al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica e al Ministero delle imprese e del made in Italy: “I nostri Associati, pur svolgendo in prevalenza attività di trattamento dei rifiuti di carta e cartone per la produzione di carta da macero, spesso utilizzano uno spazio significativo dei loro impianti per svolgere l’attività in qualità di Centri Comprensoriali (CC) per conto dei Comuni/Gestori del servizio pubblico”. È lì che arriva circa il 70% dei rifiuti plastici della raccolta urbana; è lì che bottiglie, film, contenitori vengono pressati per prendere poi la via dei centri di selezione e stoccaggio (CSS) da cui poi gli impianti di riciclo li prelevano per sottoporli ai trattamenti che ne fanno nuova materia prima.
Tutto questo flusso virtuoso, nel quale l’Italia è paese virtuoso per eccellenza, si inceppa se, come avvenuto, si blocca l’ultimo ingranaggio, quello che trasforma i rifiuti. E così il blocco risale la catena: se gli impianti non riciclano e non ritirano i rifiuti, i centri di selezione sono schiacciati tra i materiali in arrivo (finché la raccolta procede) e la mancanza di prelievi da parte dei riciclatori. Ancora un gradino più su, e ancora vicino ai comuni dove i rifiuti si raccolgono: se i CSS non hanno più capienza si arrestano i prelievi dai centri comprensoriali, dove gli scarti si accumulano. “Nelle ultime settimane – si legge nella lettera di Unirima – si stanno verificando in diversi Centri Comprensoriali consistenti ritardi nel ritiro dei carichi pressati di imballaggi in plastica da parte dei CSS Corepla”. Fatto che “si sta verificando in diverse località del territorio nazionale”, tanto da creare ormai “notevoli problematicità agli impianti e ai gestori del servizio di raccolta, poiché il mancato ritiro dai CC dei carichi pressati di imballaggi in plastica, si ripercuote anche sul conferimento in ingresso della raccolta differenziata”.
Gli impianti pieni non possono accettare altri rifiuti, visti i limiti di capienza: “Limiti autorizzativi relativi allo stoccaggio istantaneo dei rifiuti per categoria, ma anche limiti relativi al massimo carico di incendio imposto nel CPI (certificato prevenzione incendi, ndr), che non possono essere superati”, precisa l’associazione. Che chiarisce cosa potrebbe succedere nel caso “non ci siano soluzioni immediate”: “Si arriverà a breve al superamento dei quantitativi massimi di stoccaggio degli impianti e/o dei limiti del CPI, con la inevitabile conseguenza di bloccare i conferimenti delle raccolte differenziate e con danni economici e ambientali per l’intero settore”.

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Il tavolo di domani al Ministero dell’ambiente
La lettera dei riciclatori si conclude mostrando la propria “disponibilità a partecipare, con tutte le parti interessate, agli incontri già avviati dai Ministeri per discutere della vicenda sopra descritta e poter dare il nostro contributo nell’individuazione di soluzioni concrete e rapide che pongano un rimedio immediato alla situazione eccezionale. Contribuendo altresì a elaborare soluzioni strutturali a lungo termine”. Anche Unirima, dunque, chiede di prendere parte al tavolo sulla crisi dei rifiuti in plastica che si riunisce domani al MASE (e a quelli presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy) per dire la sua – – richiesta ancora senza successo, al momento della pubblicazione di questo articolo.
“Vogliamo che si sappia che se ci fermassimo noi che siamo i centri comprensoriali, veri polmoni del sistema, sarebbe un grosso problema” mi dice Francesco Sicilia. Ovviamente c’è la questione delle soluzioni strutturali alla crisi, riflette, ma sono altre le misure da mettere in campo nell’immediato, secondo il direttore di Unirima: “Con provvedimenti d’urgenza si potrebbero incrementare le quantità stoccabili negli impianti – riflette – ma questo non risolverebbe comunque il problema. Ora la soluzione è che COREPLA trovi il modo di svuotare i centri di selezione e stoccaggio”. Con gli impianti pieni “si deve liberare spazio, e l’unico modo per liberare spazio è trovare delle soluzioni temporanee, aree dove stoccare questo materiale in maniera tale permettere poi il deflusso e intervenire con soluzioni strutturali”.
E visto che in questi giorni si rinnova l’accordo ANCI – COREPLA che definisce i dettagli degli accordi per la raccolta, Sicilia mette sotto i riflettori un altro problema: “Per la plastica purtroppo ci siamo sempre preoccupati della quantità della raccolta. C’è la rincorsa a chi è più bravo a fare più rapporta differenziata. E oggi può essere conferito un rifiuto che contiene fino al 20% di frazione estranea (cioè materiali che non sono imballaggi in plastica, ndr): lo prevede l’allegato tecnico ANCI – COREPLA”. Ovviamente il corrispettivo economico ricevuto in cambio dai comuni decresce col crescere della frazione estranea. “Certo, c’è un tema di sensibilizzazione dei cittadini, e questo vale per tutta la raccolta differenziata. Ma un 20% di frazione estranea permette di non preoccuparsi di risolvere il problema. Se invece il corrispettivo venisse azzerato a fronte di alti livelli di contaminazione allora forse le cose cambierebbero”.
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