Gli edifici di nuova costruzione nell’Unione europea non dovranno avere emissioni da combustibili fossili entro il 2030 e le caldaie che utilizzano tali fonti saranno vietate entro il 2040 in base al nuovo accordo sull’energia e le abitazioni. Le regole, concordate tra gli eurodeputati e gli Stati membri ma non ancora formalmente adottate, stabiliscono obiettivi per far sì che gli edifici sprechino meno energia. I sussidi per le caldaie autonome a gas e a petrolio cesseranno entro il 2025. Sono i punti principali contenuti nella direttiva sull’efficienza energetica approvata a marzo dal Parlamento europeo, meglio conosciuta in Italia come direttiva case green.
E proprio in Italia questa normativa, con cui l’Unione europea punta a “ridurre progressivamente le emissioni di gas serra e i consumi energetici nel settore edilizio entro il 2030 e pervenire alla neutralità climatica entro il 2050” ha suscitato un vespaio politico, con la netta opposizione dei partiti di centrodestra che hanno parlato di salasso per le tasche dei cittadini italiani. La realtà dei fatti non è così polarizzata come vuole farla apparire il governo, già proiettato verso la campagna elettorale per le europee e la narrazione “eco-follie volute dai burocrati”, per citare il commento di Matteo Salvini alla misura. E di efficienza energetica c’è davvero bisogno se si vuole seriamente decarbonizzare le nostre economie.
Il vero problema è che abbiamo un testo ammorbidito e modificato più volte e restano ancora molti aspetti da chiarire. L’intesa politica andrà ora sul tavolo degli ambasciatori Ue al Coreper il 10 aprile per poi approdare sul tavolo del Consiglio Ecofin il 12 aprile, quando si chiuderà l’iter legislativo. Una volta entrate in vigore le norme, l’Italia e gli altri Stati avranno due anni di tempo per preparare, supervisionati da Bruxelles, piani nazionali di ristrutturazione, ovvero tabelle di marcia per indicare la via che intendono seguire per centrare gli obiettivi. Per quella data, si spera, sarà stata fatta chiarezza sui punti in sospeso.
Il contenuto della direttiva case green
Ma cosa stabilisce nel dettaglio il testo a cui ha dato il via libera il Parlamento europeo? Tutti i nuovi edifici dovranno essere a emissioni zero a partire dal 2030. Inoltre gli edifici pubblici dovranno essere a emissioni zero a partire dal 2028. In base alla nuova direttiva, gli Stati membri dovranno inoltre ristrutturare il 16% degli edifici non residenziali con le peggiori prestazioni entro il 2030 e il 26% entro il 2033, introducendo requisiti minimi di prestazione energetica.
Per gli edifici residenziali i Paesi membri dovranno adottare misure per garantire una riduzione dell’energia primaria media utilizzata di almeno il 16% entro il 2030 e di almeno il 20-22% entro il 2035. La direttiva pone un unico vincolo: la maggior parte delle ristrutturazioni dovranno riguardare il 43% degli immobili meno efficienti dal punto di vista energetico. Questo significa che dei 12,5 milioni di edifici residenziali presenti in Italia quelli da ristrutturare con priorità saranno, secondo le prime stime, circa 5 milioni. Gli interventi necessari sono quelli finanziati fino a pochi mesi fa dal Superbonus: cappotto termico, sostituzione degli infissi, nuove caldaie a condensazione e pannelli solari.
L’obbligo di installare pannelli solari sugli edifici sarà limitato agli edifici pubblici (dal 2026) e a quelli privati non residenziali di grandi dimensioni (dal 2030), con un’applicazione graduale degli obblighi. Mentre nei prossimi mesi entrerà in vigore lo stop agli incentivi per l’acquisto di caldaie a metano: a partire dal 2025 sarà vietata la concessione di sovvenzioni alle caldaie autonome a combustibili fossili. Saranno ancora possibili incentivi finanziari per i sistemi di riscaldamento che usano una quantità significativa di energia rinnovabile, come quelli che combinano una caldaia con un impianto solare termico o una pompa di calore.
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Le specificità del caso italiano
Che l’Italia sia in una situazione differente (e svantaggiata) rispetto ad altre nazioni dei 27 è un dato di fatto: sia per nostro demerito, sia per specificità legate al territorio e alla storia. Come si legge in un articolo della Reuters sull’argomento, “il patrimonio edilizio italiano è tra i più obsoleti in Europa. Infatti il 60% degli edifici si trova nelle due classi energetiche peggiori, contro, ad esempio, il 17% in Francia e il 6% in Germania”.
Secondo i dati del 2014, citati sempre nell’articolo Reuters, nel territorio dell’Ue il 23% delle abitazioni è stato costruito prima del 1945 e il 26% tra il 1945 e il 1969. Ciò significa che il 49% delle abitazioni è stato edificato prima dell’introduzione dei primi standard termici negli anni Settanta. Solo il 23% è stato costruito dopo il 1990. Il Belgio e la Danimarca hanno la quota più alta di case realizzate prima del 1945.
Eppure l’Italia, secondo un altro studio citato da Reuters, non è neppure il Paese con il peggior isolamento termico in Europa: Belgio, Francia, Paesi Bassi e Spagna, infatti, hanno un isolamento delle abitazioni di qualità inferiore a quello dell’Italia. Il fatto è che circa il 74% degli italiani è proprietario della casa o dell’appartamento in cui vive, contro il 65% della Francia e il 50% della Germania e questo rende più esposti i proprietari per le eventuali spese di ristrutturazione.
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Le spese per le ristrutturazioni: ma è davvero così?
Ecco allora la preoccupazione per le spese dovute ai lavori di ristrutturazione. In base alla stima di Scenari Immobiliari realizzata per il Sole 24 Ore il costo delle singole ristrutturazioni potrebbe oscillare tra i 20mila e i 55mila euro. Il Codacons calcola che gli interventi di riqualificazione energetica hanno un costo medio tra 35mila e 60mila euro ad abitazione. Una caldaia a condensazione costa tra i 3 e gli 8.000 euro e per una pompa di calore la spesa può arrivare a 16.000 euro. Il cappotto termico ha un costo medio compreso tra i 180 e i 400 euro al metro quadrato, mentre per gli infissi la spesa varia in media da 10 a 15.000 euro. Alcuni mesi fa l’Ance, associazione dei costruttori, aveva stimato un costo di 400 miliardi di euro per ammodernare circa 1,8 milioni di edifici residenziali, cioè il 15% del patrimonio più energivoro.
Si tratta però di stime poco accurate, perché l’ultima versione della direttiva case green approvata dal Parlamento Ue, assai ammorbidita rispetto alla prima bozza della Commissione europea, lascia ampio spazio agli Stati membri nell’applicazione. Non si sa ancora il numero esatto degli edifici da riqualificare, in quale ordine e, soprattutto, se ci saranno obblighi e sanzioni. Per il momento, dopo l’ultimo trilogo, non sembra, visto che sono state eliminate le norme che imponevano l’obbligo di effettuare gli interventi sugli immobili, né sono previste sanzioni per chi si rifiuta di adeguare la propria casa ai nuovi standard entro i tempi richiesti da Bruxelles.
Oltre alle varie esenzioni: la nuova normativa non si applica agli edifici agricoli e agli edifici storici, e i Paesi membri possono decidere di escludere anche gli edifici protetti per il particolare valore architettonico o storico, gli edifici temporanei, le chiese e i luoghi di culto (particolarmente importante per l’Italia). Sono previste misure di flessibilità: ad esempio le ristrutturazioni dal 2020 saranno conteggiate ai fini dell’obiettivo e c’è una clausola che mira a premiare “gli sforzi iniziali e tempestivi” dei governi.
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C’è bisogno di trovare finanziamenti per le spese di riqualificazione
Sarebbe meglio per i governi, dunque, lavorare a trovare i fondi per la direttiva. La Commissione europea calcola che entro il 2030 saranno necessari 275 miliardi di euro di investimenti annui per la svolta energetica del parco immobiliare, vale a dire 152 miliardi di euro di investimenti all’anno in più rispetto alle risorse attuali. Non sono previsti finanziamenti dedicati, ma i Paesi potranno attingere ai fondi Ue per sostenere gli interventi. In particolare al Fondo sociale per il clima, al Recovery fund e ai Fondi di sviluppo regionale. In base a un accordo stipulato con l’Unione europea dal precedente governo, Roma utilizzerà 15,3 miliardi di euro dal Pnrr per migliorare l’efficienza energetica degli edifici. Si tratta solo di una frazione di quanto necessario.
La direttiva ammette tra le forme di sostegno quelle che garantiscono la riduzione delle tasse (come le detrazioni e i crediti fiscali, già abbondantemente usati in Italia) e lo sconto in fattura. Che difficilmente, però, tornerà in Italia dopo il no del governo Meloni al Superbonus (che ha permesso lavori in 480.815 edifici – dati Enea), mentre l’Ecobonus ordinario se ha avuto effetti sul cambio degli infissi e caldaie, difficilmente viene visto dai cittadini come un incentivo per la riqualificazione energetica poiché non coprirebbe tutte le spese.
Possibili soluzioni di finanziamento alternative ci sono, come ha fatto notare l’Abi (Associazione Bancaria Italiana) in un recente programma per favorire la riqualificazione degli immobili. Tra le varie proposte figurano l’introduzione di specifici strumenti pubblici per la mitigazione del rischio di credito, l’ampliamento delle possibilità di raccolta da parte delle banche per l’erogazione di finanziamenti “green” e mutui verdi finalizzati all’acquisto di abitazioni con elevate prestazioni energetiche o alla riqualificazione energetica degli immobili di proprietà e, infine, la valutazione della sostenibilità ambientale del finanziamento in linea con i criteri della tassonomia, in modo che anche la finanza sostenibile possa contribuire a raccogliere i fondi necessari.
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Non bisogna scordarsi i benefici per ambiente ed economia circolare
Nonostante gli alti costi, non bisogna poi dimenticarsi dei benefici della riqualificazione energetica delle abitazioni. Secondo i dati della Commissione europea gli edifici sono responsabili a livello Ue di circa il 40% del consumo energetico e del 36% delle emissioni dirette e indirette di gas a effetto serra legate al consumo di energia. Il riscaldamento degli ambienti, i condizionatori in estate e l’acqua calda per uso domestico rappresentano l’80% dell’energia consumata dalle famiglie.
Questa direttiva è dunque un tassello necessario per raggiungere gli obiettivi climatici dell’Unione europea per il 2030 (riduzione del 55% delle emissioni di gas serra) e il 2050 (neutralità climatica). I due pilastri per arrivare al traguardo sono, da un lato, il maggior ricorso alle fonti di energia rinnovabile per la produzione di energia anche in ambito domestico con l’installazione dei pannelli solari. Dall’altro migliorare l’efficienza energetica degli edifici per ridurre il consumo di energia e quindi dei combustibili fossili necessari per produrla e l’adozione diffusa delle pompe di calore è lo strumento principale per farlo.
La narrazione che tutto ciò rappresenti solo un costo insostenibile per i cittadini è, però, lontana dalla realtà. Forme di autoproduzione di energia grazie alle fonti rinnovabili avranno un’immediata ricaduta positiva sulle bollette dei cittadini e delle aziende e in futuro addirittura di guadagno. L’indotto e l’occupazione legata alla transizione energetica ha enormi potenzialità di sviluppo, perché serviranno nuove figure professionali per installare gli impianti casalinghi di energia rinnovabile o le pompe di calore o aziende edili che si occupino dei lavori di ristrutturazione.
La riduzione al minimo delle emissioni di gas a effetto serra degli edifici lungo l’intera vita utile richiede un uso efficiente delle risorse favorendo la ristrutturazione e il riutilizzo rispetto alla demolizione e alla nuova costruzione e l’impiego di materiali sostenibili e, dunque, anche se non se ne parla molto, è un altro passaggio verso lo sviluppo dell’economia circolare. Se i cittadini possono temere spese aggiuntive non bisogna infine dimenticare quale è la realtà di molte periferie italiane costruite nel secondo dopoguerra: dei colabrodi termici, con edifici in condizioni inaccettabili per la dignità di chi li abita.
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