giovedì, Novembre 6, 2025

EPR tessili, De Salvo (Corertex): Col decreto si rischia di aumentare costi economici e ambientali, a scapito dei cittadini

Il presidente del consorzio pratese per il riuso ed il riciclo tessile rileva nel decreto ministeriale, la cui consultazione si è appena conclusa, “parecchie criticità di cui alcune gravi”

Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Giornalista ambientale, redattore di EconomiaCircolare.com e socio della cooperativa Editrice Circolare

Sono giorni cruciali per il mondo tessile e per il cammino verso la responsabilità estesa del produttore (EPR) dei prodotti della filiera: i legislatori europei hanno concluso le trattative sulla revisione della direttiva quadro sui rifiuti che istituisce sistemi EPR obbligatori mentre si è da poco conclusa (il 4 scorso) la consultazione che il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica italiano ha avviato su una bozza di decreto. Ne parliamo con Raffaello De Salvo, presidente del Corertex, il consorzio pratese per il riuso ed il riciclo tessile.

Partiamo dalla revisione della direttiva: vi convince la definizione del perimetro di prodotti da sottoporre a regime EPR contenuta nelle nuove norme europee?

Premetto che abbiamo collaborato con il JRC all’ultima consultazione con gli stakeholders e consegnato una serie di risposte alle domande che ci sono state rivolte, sottolineando alcune criticità sia sulla Responsabilità estesa del produttore che sull’End of Waste (EoW). Per quanto riguarda l’EPR siamo sostanzialmente d’accordo con il perimetro di prodotti da sottoporre a regime anche se abbiamo fatto notare che l’eventuale esclusione di biancheria intima non è comprensibile trattandosi di un articolo riusabile, come gli altri, dopo le dovute operazioni di selezione.

Ben diverso il punto di EoW ipotizzato poiché l’idea è quella di portarlo, per quanto riguarda il riciclo, al livello della fibra tessile: questo sarebbe un grande errore poiché tutte le aziende che si trovano a monte di questo processo, tipo le sfilacciature meccaniche e i commercianti di materia prima seconda non lavorata, si troverebbero di fatto a trattare rifiuti; la cessazione di qualifica di rifiuto deve essere dopo la cernita del rifiuto stesso poiché dopo tale processo esso si trasforma o in riuso o in materia prima seconda. Comprendiamo le difficoltà del legislatore europeo dato che questo sistema di filiera del recupero è presente solo in Italia ma proprio per questo motivo il “modello Prato“ dovrebbe essere preso come linea guida per tutti gli altri Paesi, soprattutto il nostro.  

Cosa ne pensate dell’esclusione di tappeti e materassi dall’EPR europeo?

Siamo d’accordo, poiché sono materiali che devono essere riciclati in maniera diversa dai tessili in generale.

La direttiva include nella responsabilità anche le microimprese. Una scelta corretta?

Non sono previste esenzioni ma tempi più lunghi per gli adeguamenti del caso e con rendicontazioni obbligatore non troppo invasive. Siamo sostanzialmente d’accordo.

A differenza di altri schemi EPR, l’Europa non prevede in questo caso la possibilità per i produttori di adempiere agli obblighi singolarmente, ma impone l’adesione ad una Producer Responsibility Organization. Condividete la scelta? Perché?

Non essendo noi produttori possiamo solo dare un parere; partendo dal concetto che gli schemi di EPR servono per una migliore gestione e conseguente controllo dei rifiuti tessili circolanti, sicuramente il raggruppamento delle aziende in consorzi dei produttori facilita il compito. Prendendo come esempio lo schema di decreto italiano, il futuro CORIT controllerà i futuri consorzi dei produttori e tutta la conseguente filiera del rifiuto tessile; il proposito è buono ma vedremo all’atto pratico. Soprattutto sarà da valutare il potere contrattuale dei futuri proprietari del rifiuto di influenzare le condizioni degli accordi per ottenere un risultato più vantaggioso: se non adeguatamente normato e controllato, tale risultato potrebbe non essere a favore di un’etica ambientale ma a favore di un esclusivo interesse economico.  

Epr tessili

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Nelle nuove norme europee non sono indicati obiettivi vincolanti: questo può essere un limite?

Sicuramente sì. Come già detto, comprendiamo la difficoltà del legislatore europeo ma il “modello Prato“ rappresenta una linea guida che rispetta i principi di efficienza ed efficacia ed andrebbe preso come esempio.

Guardando poi all’ultima bozza di decreto EPR nazionale, prescrive di recuperare entro il 2026 il 15%, 2030 il 25% e 2035 il 40% in peso sull’immesso nel mercato dai produttori, mentre l’anno scorso si ipotizzava rispettivamente il 25%, il 40% e il 50%. Questo è un obiettivo molto deludente visto che oggi fra riuso e riciclo in Italia (e sottolineo in Italia perché questo tipo di valorizzazione lo facciamo solo nel nostro Paese) si recupera già almeno l’80%. Ancora più preoccupante la mancanza di un tetto massimo al recupero energetico (che in prima battuta era stato fissato al 10% e poi è completamente sparito): poiché questo crea un chiaro conflitto di interessi, visto che bruciare questi rifiuti è la strada più facile ed economicamente vantaggiosa. Il rischio è quindi che si possa spingere per bruciare quanti più rifiuti possibile a discapito dell’ambiente e con uno spreco di materie prime. Dato che il futuro ecocontributo sarà versato dagli utenti finali affinché i rifiuti tessili vengano inseriti in un circolo virtuoso di crescita economica e sostenibilità ambientale, non comprendiamo la spinta in favore del solo interesse economico.

Vi soddisfano le norme europee introdotte sul fast fashion?

La vera sfida sarà proprio questa, regolamentare questo settore. Siamo sempre stati contrari al fast e ultra fast fashion poiché colpevole di consumare grandi quantità di materie prime a fronte di una produzione di pessima qualità, difficilmente riusabile e riciclabile e con un codice etico di produzione alquanto discutibile. Sicuramente un buon inizio ma bisogna cercare di arginare il problema con regole puntuali e inficianti poiché il rischio che in futuro verranno aggirate in qualche maniera è piuttosto probabile.”

L’eco-contributo andrà versato nel Paese “per i prodotti che il produttore mette a disposizione nel territorio di uno Stato membro in cui tali prodotti possono diventare rifiuti”. Come giudicate questa scelta?

Direi una scelta corretta.

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In Europa è stato scelto lo strumento legislativo della direttiva: secondo voi verrà garantita una sufficiente omogeneità tra i Paesi?

Essendo una direttiva ovviamente tutti gli Stati membri avranno una forbice di manovra, l’importante è che questa forbice non diventi un abisso! Il rischio è che in un Paese convenga fare una cosa mentre in un altro convenga farne un’altra, questo genererebbe caos e disuguaglianze creando solo danno. È importante che l’EPR e l’EoW vengano applicati in modo armonizzato negli Stati membri: se un articolo ha raggiunto lo status di rifiuto/non rifiuto o di materia prima seconda la sua classificazione come prodotto non dovrebbe essere messa in discussione dagli altri Stati membri. Forse sarebbe meglio prevedere dei limiti invalicabili sia in eccesso che in difetto.

A quali condizioni il combinato disposto di Regolamento Ecodesign ed EPR (anche l’eco contributo verrà modulato in base alle indicazioni per i prodotti tessili che arriveranno dal regolamento) potrà essere efficace dal punto di vista ambientale ed industriale?

Sicuramente, per il futuro, l’Ecodesign sarà importante ed efficace per l’ambiente e porterà benefici. Ma avrà un costo industriale importante dato che i principi di durabilità,  ecosostenibilità e eticità non saranno a buon mercato E bisogna considerare anche la (probabile) minor produzione, con tutto ciò che ne consegue.

La sensibilità delle persone verso la problematica ambientale sta sensibilmente crescendo, ma poi si deve combattere con salari stagnanti e inflazione crescente, un binomio che spinge il consumatore a considerare il prezzo basso fattore determinante per l’acquisto di un capo d’abbigliamento. Sarà fondamentale far capire alle persone che bisogna comprare meno e meglio.

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Come giudicate l’attenzione riservata dalla nuova direttiva alle imprese sociali?

Il principio è giusto ma andrebbe dettagliato e applicata qualche regola.

Innanzitutto bisogna dividere in due le imprese sociali ovvero raccoglitori e venditori. Attualmente il grosso del servizio di raccolta dei rifiuti post consumo viene svolto da cooperative sociali che utilizzano spesso categorie di lavoratori con problematiche particolari (ex detenuti, fragili, disabili, ex tossicodipendenti, etc.) e poi utilizzano i ricavi della vendita di queste raccolte per il sostentamento della loro struttura: siamo perfettamente d’accordo nel salvaguardare questo genere di impresa sociale.

Altra questione sono le imprese sociali che “scremano“ la frazione maggiormente valorizzabile delle raccolte per poi venderla nei loro negozi e cedere il resto allo stesso prezzo di “ merce originale “: questo genera una sorta di concorrenza sleale nei confronti delle attuali imprese selezionatrici delle raccolte differenziate tessili che, ricordo, per operare in perfetta legalità hanno bisogno di adempiere a molte pratiche burocratiche onerose, e il sostentamento economico dell’intera filiera del recupero tessile dipende proprio dalle frazioni maggiormente valorizzabili. Appare evidente che le imprese sociali venditrici che non hanno alcun obbligo di autorizzazione, sanificazione, certificazione e via dicendo, avranno una posizione troppo privilegiata se non adeguatamente normata: si corre il rischio di danneggiare pesantemente il resto della filiera del recupero tessile con conseguenze disastrose per Comuni e cittadini.

Ci tengo poi a fare una precisazione.

Mi dica.

Fino ad oggi e grazie alla funzionale filiera esistente, la raccolta del tessile non è stata un grande problema per i Comuni e per i cittadini. Tuttavia, se il meccanismo dovesse “incepparsi” a causa delle novità introdotte dal decreto italiano vi sarebbe il concreto rischio di aumentare costi economici e ambientali che ricadranno inevitabilmente sui cittadini.  

Quali novità del decreto la preoccupano di più?

Dovrebbe essere scongiurato l’effetto contrario rispetto all’obiettivo dell’EPR e dell’EoW. Nella bozza di decreto italiano troviamo parecchie criticità di cui alcune gravi. Per citarne alcune: le basse percentuali di obiettivi di recupero; la mancanza di limitazione al recupero energetico; il rischio di applicazione del REACH al riuso e al riciclo; la limitazione di impiego di indumenti usati nel downcycling; la non equa distribuzione dell’ecocontributo, che andrebbe spalmato sull’intera filiera; la problematica dei centri per il riutilizzo; la spinta per il riuso solo per i materiali che non hanno ancora la qualifica di rifiuto mentre invece andrebbe spinto il riuso in generale.

Ci spieghi qual è la problematica dei centri di riuso?

Risulta potenzialmente problematica l’ipotesi di centri per raccolta/riutilizzo che avrebbero un ruolo importante nello schema di decreto EPR. Come più volte specificato esistono già i centri di raccolta/riutilizzo nell’attuale filiera (le aziende che si occupano di cernita di indumenti usati) che svolgono attività di prevenzione, attività consolidata nel tempo e fondamentale per la sostenibilità economica delle aziende: questo rende poco comprensibile l’imposizione di una gestione diversa o alternativa dei futuri centri per il riutilizzo, poiché, così facendo, si troverebbero in una sorta di posizione concorrenziale privilegiata con gli operatori dell’usato anche perché sembrerebbe che questi futuri centri non avranno bisogno di alcuna autorizzazione. La possibile collocazione di questi centri per il riutilizzo, prevista dal decreto, è spesso localizzata presso i centri di raccolta, con lo scopo di finalizzare lo scambio tra privati dei beni usati e idonei al riutilizzo. Appare evidente che sia possibile una scrematura delle frazioni maggiormente valorizzabili, ovvero quelle che garantiscono la sostenibilità economica degli impianti di trattamento che lavorano secondo le procedure di legge. Tale sistema potrebbe ipoteticamente generare flussi alternativi e meno controllati di beni che, oltre a danneggiare le basi economiche del sistema attuale, andrebbero anche ad alimentare quelle situazioni poco chiare e poco tracciabili volte a scavalcare i processi e le buone pratiche messi in atto fino ad ora dagli attuali operatori del settore, situazioni che proprio la bozza di decreto EPR intende contrastare. Inoltre, le fasi di cernita e igienizzazione sono fondamentali nella lavorazione dei cicli di post consumo perché garantiscono un prodotto sicuro e controllato per la salute pubblica. E ricordo che un operatore professionale in grado di svolgere questo tipo di lavoro ha bisogno di mesi di formazione per essere abilitato a farlo. “

Che ne pensate del ruolo assegnato dal decreto al Centro per il Coordinamento dei Rifiuti Tessili (CORIT)?

Il futuro CORIT, ente pubblico governativo, dovrebbe prevedere un ruolo non solo di coordinamento e promozione, ma di indirizzo preciso e puntuale di quelle che devono essere le migliori pratiche di riuso e riciclo in termini di efficienza e sostenibilità ambientale che i consorzi dei produttori devono favorire. Risulterebbe opportuno creare uno statuto tipo per i consorzi dei produttori, il quale preveda l’obbligo di rappresentanza e partecipazione ai sistemi di gestione dell’intera filiera tessile ed in particolar modo agli operatori che si occupano delle fasi di riuso e riciclo, fondamentali per la circolarità; così come la costituzione di un Comitato di controllo e garanzia, preferibilmente all’interno del futuro CORIT, formato da stakeholder rappresentativi di tutta la filiera, quindi raccoglitori, selezionatori dei primi impianti, riciclatori, sistemi consortili e produttori

È necessario che l’intera filiera possa dare il proprio contributo di competenza sfruttando il più possibile il know how che il comparto industriale in cui opera Corertex riesce a fornire, verificando che i principi di efficienza e sostenibilità siano raggiunti. Su questo tema l’ultima bozza di decreto si sta affinando ma ci sono ancora notevoli margini di manovra.

rifiuti tessili epr

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Che ruolo avrà la raccolta nei punti vendita?

Questa novità andrà vista in corso d’opera, personalmente non credo che darà i frutti sperati, per molte ragioni. Ma vedremo con il passare del tempo.

Nel decreto, secondo voi, è sufficientemente chiara la distinzione tra prodotti per il second hand e prodotti per il riciclo/smaltimento?

Diciamo che è chiaro per gli addetti ai lavori. Il decreto e il legislatore non sono in grado di conoscere la differenza tra riuso e riciclo, questo è il lavoro che svolgono gli operatori delle imprese selezionatrici di rifiuti tessili che, facendo la cernita dei cicli post consumo, decidono sul momento cosa è riuso e cosa è riciclo. È su questo si basa la filiera del recupero tessile.

Vorrei fare ancora una volta la solita precisazione, che ritengo necessaria: la fase di prima cernita dei rifiuti tessili post consumo effettuata da operatori professionali esperti (ovvero l’apertura del sacchetto contenente il rifiuto tessile eterogeneo per la sua suddivisione in riuso e riciclo) può essere effettuata in maniera efficace ed efficiente solo manualmente: ad oggi non esistono macchinari o tecnologie in grado di sopperire alla componente umana in questo passaggio.

Lo specifico perché molto spesso leggo di fantomatici macchinari che sono in grado di farlo ma questo non corrisponde alla realtà: ci sono macchinari e tecnologie efficienti ma funzionano solo a valle della prima cernita, quindi per il riciclo.

Il ministero chiarisce sufficientemente come dovrà avvenire il coordinamento tra le raccolte previste e gestite dagli schemi collettivi e la raccolta da parte dei gestori del servizio urbano?

Il decreto definisce le nuove modalità e regole delle raccolte che modificano in maniera sostanziale l’attuale sistema, spostando la proprietà del rifiuto in capo ai produttori: la definizione è abbastanza chiara. Ma bisognerà vedere se il nuovo sistema influirà negativamente o positivamente sull’attuale filiera del recupero tessile. Fino ad oggi il sistema non era perfetto ma funzionava: i Comuni italiani (e ribadisco il concetto, italiani, perché solo in Italia esiste questa filiera) non hanno mai avuto particolari problemi di gestione dei cicli post consumo; i cittadini non avevano costi per lo smaltimento dei loro rifiuti tessili; le cooperative sociali che si occupano della raccolta differenziata si autofinanziavano; tutta la filiera di riuso e riciclo tessile funzionava generando profitti e lavoro con oltre l’90% del rifiuto tessile trasformato in riuso e riciclo. Bisognerà vedere se il nuovo sistema sarà all’altezza di questi numeri.

Facendo un esempio, secondo i dati ISPRA in Italia si raccolgono circa 160 mila tonnellate di rifiuti tessili urbani (tendenza in aumento) e l’attuale filiera tessile italiana del recupero di questi materiali è in grado di assorbirla. Certo ci sono alcuni passaggi che potrebbero essere migliorati, poiché alcune lavorazioni sono state delocalizzate all’estero per problematiche economiche ma, sfruttando il futuro ecocontributo, si potrebbero prevedere delle fasi di reshoring migliorando l’impronta di carbonio e creando nuovi posti di lavoro su base nazionale.

In caso contrario, se il nuovo sistema non dovesse funzionare per qualche motivo e si fermasse la filiera, ci troveremo cumuli di rifiuti tessili per le strade con un danno ambientale ed economico enorme.

© Riproduzione riservata

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