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È entrato formalmente a giugno 2023 il regolamento europeo sulla deforestazione, noto come EUDR (Regolamento UE 2023/1115) e la sua piena applicazione era prevista – dopo un primo rinvio di un anno – per il 30 dicembre 2025, con una proroga fino a giugno 2026 per micro e piccole imprese. Nelle ultime settimane, però, la Commissione europea ha avanzato la proposta di un ulteriore rinvio di 12 mesi, che sposterebbe l’avvio degli obblighi effettivi al dicembre 2026. La motivazione ufficiale riguarda problemi tecnici del sistema informativo centrale, ritenuto ancora incapace di gestire il flusso massiccio di dati richiesto dalle dichiarazioni di due diligence. Diversi analisti, invece, sostengono che il rinvio rifletta anche pressioni politiche e commerciali esterne, in particolare dagli Stati Uniti, preoccupati per l’impatto che la normativa potrebbe avere sulle loro esportazioni agricole verso l’Europa. Insomma, non è difficile credere che ci siano condizionamenti geopolitici dietro i rallentamenti, mentre i problemi tecnici sembrano un utile pretesto più che la vera causa.
Cosa prevede l’EUDR
Al momento però, di là delle dispute sulle tempistiche, la sostanza dell’EUDR resta invariata. Il regolamento vieta l’immissione sul mercato europeo – e l’esportazione dall’Unione Europea – di sette materie prime considerate “a rischio deforestazione”. L’obiettivo è garantire che i prodotti commercializzati nell’Unione europea, o esportati da essa, non siano collegati a deforestazione o degrado forestale. Ciò comporta la protezione delle foreste globali, la riduzione delle emissioni di gas serra e la tutela della biodiversità. Perché un bene possa circolare liberamente, deve rispettare tre condizioni: non provenire da terreni deforestati o degradati dopo il 31 dicembre 2020; essere conforme alla normativa nazionale del Paese d’origine; e avere alle spalle una procedura di due diligence completa, che comprenda raccolta di informazioni, valutazione del rischio e, se necessario, misure di mitigazione.
Vediamo nello specifico le previsioni più rilevanti del Regolamento.
Materie prime e prodotti rilevanti (Scope / Allegato I, “Relevant commodities and relevant products”). Il testo include le materie prime seguenti: bovini, soia, cacao, caffè, olio di palma, gomma, legno, oltre a prodotti derivati o contenenti queste materie prime. Per immettere sul mercato o esportare questi prodotti bisogna rispettare tre requisiti cumulativi: il prodotto dev’essere “deforestation-free”, dunque non provenire da terreni deforestati né essere coinvolti in processi di degrado forestale avvenuti dopo il 31 dicembre 2020; il prodotto deve essere conforme alla legislazione del paese di origine: infine, una dichiarazione chiamata Due diligence statement (DDS) attesta la verifica preventiva, la valutazione del rischio, le eventuali misure di mitigazione e che il rischio residuo non è significativo.
Soggetti obbligati. Il regolamento EUDR coinvolge i cosiddetti operatori, vale a dire chi immette per la prima volta i prodotti rilevanti nel mercato UE, o esporta prodotti soggetti all’EUDR; i trader, cioè chi rende disponibili i prodotti sul mercato UE o li commercia, anche se non è l’operatore originario; le piccole, micro e medie imprese (PMI e SME), soggette agli obblighi, ma con tempistiche e modalità leggermente differenziate per dare margine di adattamento.
Sanzioni e conseguenze della non conformità. Il regolamento prevede che gli Stati membri applichino misure sanzionatorie proporzionate, che possono comprendere multe, esclusione dagli appalti pubblici o ritiro dal mercato dei prodotti non conformi.

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Le linee guida della commissione
Per dare concretezza a questi principi, la Commissione ha pubblicato una serie di linee guida interpretative (Gazzetta Ufficiale UE C/2025/4524) chiarendo alcuni punti ancora incerti del regolamento: la definizione di “degrado forestale”, la gestione dei casi in cui i dati sulla geolocalizzazione siano incompleti, il trattamento delle partite miste di materie prime e il coordinamento con la disciplina pre-esistente sul legno (EUTR). Il testo offre alle autorità nazionali e agli operatori economici un quadro interpretativo uniforme, riducendo il rischio di applicazioni divergenti tra Stati membri. Elenchiamo di seguito i chiarimenti più significativi.
Definizioni operative. Si precisano le definizioni di “placing on the market”, “making available on the market” ed “export”. Queste definizioni sono fondamentali perché stabiliscono quando scattano gli obblighi. Si introduce anche una definizione più dettagliata di “operatore” ai fini dell’EUDR, distinguendo chi è effettivamente obbligato, in base al ruolo nella catena di approvvigionamento.
Data di effetto e periodo applicativo. Le linee guida confermano che le obbligazioni principali si applicheranno dal 30 dicembre 2025 per medie e grandi imprese, con un differimento al 30 giugno 2026 per micro e piccole imprese.
Due diligence e concetto di “rischio trascurabile” (“negligible risk”). Le linee guida chiariscono quali elementi deve contenere la valutazione del rischio, come deve essere condotta, quali dati e documenti raccogliere (geolocalizzazione, conformità legale, uso del suolo, cambiamenti di uso del suolo, ecc.). Il concetto di “negligible risk” è specificato come una situazione in cui “evidence is solid” che il prodotto sia conforme agli obblighi EUDR. Il documento precisa che non tutte le incertezze cancellano l’obbligo, ma che certe garanzie (es. dati verificabili, documenti che supportano la storia del suolo, controllo upstream, cioè a monte della filiera) possono ridurre il rischio residuo al punto che sia accettabile.
Ruolo delle PMI. Le linee guida precisano come le imprese più piccole possano beneficiare di procedure semplificate, ma anche che alcuni obblighi restano invariati (per esempio, il dovere di dichiarazione, la responsabilità in caso di non conformità). Per le imprese “downstream” o in posizioni successive nella catena (non le prime), è chiarito che esse possono “fare affidamento” su DDS upstream raccogliendo i riferimenti (numeri identificativi) dei DDS dei fornitori, verificandone la validità, anziché raccogliere nuovamente tutti i dati da zero.
Complessità della filiera (“complexity of the supply chain”). Le linee guida aiutano a interpretare come applicare la due diligence in catene molto articolate, dove ci possono essere molte trasformazioni, varietà di fornitori, importazioni parziali da diversi Paesi. In tali casi, la trasparenza e documentazione upstream diventano particolarmente importanti.
Legalità e norme del Paese di produzione. Su questo fronte le linee guida chiariscono cosa si intende per “legislazione rilevante”: include norme ambientali, norme sul uso del suolo, titolarità e diritti di uso del suolo, norme su diritti delle comunità locali, norme sul lavoro etc. Per verificare, invece, che un produttore rispetti la normativa locale le linee guida suggeriscono modalità quali audit, documentazione ufficiale, utilizzo di fonti indipendenti, possibilità di contestazione in casi di dubbio.
Le sfide per rendere operativo l’EUDR
Dal portato del regolamento e dai chiarimenti delle linee guida emergono una serie di implicazioni che le imprese e le autorità dovranno affrontare concretamente. Innanzitutto si evidenzia con chiarezza l’importanza della tracciabilità: geolocalizzazione coerente, documenti legali affidabili, dati storici sul suolo, informazioni ambientali e normative del luogo di origine. L’altro impegno rilevante è legato all’obbligo di redigere e archiviare i due diligence statement (DDS), con registrazione nel sistema informativo UE; il fatto che i DDS upstream possano essere richiamate in quelle downstream semplifica il flusso, ma non elimina la responsabilità dell’ultimo operatore.
Anche il benchmarking dei Paesi avrà un ruolo centrale: sapere se il Paese di origine è classificato “low risk”, “standard risk” o “high risk” influisce notevolmente sul carico delle procedure di due diligence e in questo grado soprattutto le PMI dovranno pianificare con anticipo le loro procedure, perché nonostante le deroghe temporali alcune parti degli obblighi rimarranno stringenti.
In questo quadro, sarà di grande rilievo l’atteggiamento delle autorità competenti nazionali, che dovranno assicurare coerenza nell’applicazione, definire modalità di controllo, cooperare, eventualmente coordinare interpretazioni, e assicurarsi che la documentazione richiesta sia sufficientemente chiara per essere verificabile.

Cosa si rischia con un nuovo rinvio
La questione che emerge in questi giorni, però, è che la prospettiva di un secondo rinvio rischia di compromettere la credibilità del regolamento europeo. Se da un lato un tempo supplementare può aiutare imprese e fornitori a completare l’adeguamento dei propri sistemi di tracciabilità, dall’altro diluisce gli effetti ambientali attesi e manda un segnale ambiguo ai partner internazionali. Chi si è mosso per tempo potrebbe sentirsi penalizzato, mentre chi ha atteso guadagnerebbe margine senza subire conseguenze e magari sperare in ulteriori rinvii. Inoltre, i Paesi produttori potrebbero interpretare la scelta come un indebolimento della posizione europea, aprendo la strada a contestazioni politiche o commerciali.
In questo scenario, l’equilibrio fra rigore normativo e pragmatismo operativo resta delicato. Senza un sistema informativo robusto, il rischio di blocchi, errori o sanzioni ingiustificate è reale. Allo stesso tempo, senza una scadenza chiara e vincolante, l’EUDR resterebbe una promessa incompiuta. Nelle prossime settimane, il confronto in senso al Parlamento e al Consiglio sarà decisivo: se la proposta di rinvio non venisse approvata, le imprese europee dovranno essere pronte all’appuntamento di dicembre 2025, affidandosi alle linee guida della Commissione e accelerando i propri programmi di compliance.
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