domenica, Dicembre 7, 2025

Eventi estremi in Italia, non è vero che “ha sempre piovuto così”

Analisi dei dati e complessità degli indici su crisi climatica e andamento delle precipitazioni

Cristina Cozzoli
Cristina Cozzoli
Nata e cresciuta a Milano, attualmente fa base in Romagna. Durante gli studi universitari nel campo delle scienze politiche e della criminologia si è concentrata su questioni come la criminalità organizzata, la criminologia ambientale e l’ecologia politica. L’attivismo nei movimenti occupa una grossa parte della sua vita, nell’antimafia dal basso e con percorsi in associazioni locali su temi di giustizia sociale e ambientale. Da sempre interessata a guardare con occhio critico ciò che la circonda, lavora nel terzo settore e sta muovendo i suoi primi passi come giornalista

Il cambiamento climatico di origine antropica sta modificando gli eventi atmosferici, esponendo sempre più persone al rischio di essere vittime di fenomeni estremi. Questa lettura è ormai ampiamente condivisa dalla comunità scientifica, a partire dall’Intergovernmental Panel of Climate Change (IPCC), che anche nel suo ultimo report sottolinea chiaramente la relazione tra crisi climatica e aumento degli eventi estremi per frequenza e intensità. Concentrandoci sulle precipitazioni, nel 2024 l’European Severe Weather Database ha registrato in Italia 2313 eventi estremi tra piogge intense e grandinate e gli ultimi dati ISPRA ci dicono che una persona su 30 in Italia vive in una zona ad alto rischio alluvionale. Capire a quali dati possiamo guardare e in che modo farlo per leggere come le precipitazioni stiano cambiando è quindi un passo fondamentale verso una maggior consapevolezza del presente che stiamo vivendo e del futuro che ci aspetta.

Non tutti gli indicatori sono adatti

Si potrebbe pensare di guardare alle serie storiche dei dati sulle anomalie degli estremi climatici (come quelle a cura di ISPRA): indicatori meteorologici che ci dicono, ad esempio, quanti millimetri di pioggia sono caduti nei giorni più piovosi dell’anno o qual è stata la temperatura nei giorni più caldi. Guardando a queste serie si evince chiaramente un aumento vertiginoso delle temperature e dei relativi indici estremi, ma questa tendenza non emerge per le precipitazioni. Si può quindi concludere che in Italia non è in atto un cambiamento delle piogge per frequenza e intensità? Che piove come ha sempre piovuto? Niente affatto: occorre piuttosto capire perché ciò che sta avvenendo non sia così evidente dagli indicatori che abbiamo e come e quali interrogare a seconda di ciò che si vuole sapere.

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Le piogge? Fenomeni complessi

Innanzitutto, non si può prescindere da alcune premesse fondamentali riguardo alla complessità dei fenomeni precipitativi. Come ci spiega Guido Rianna del Centro euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) “è chiaro che le variazioni di temperatura siano più evidenti, proprio perché l’incremento di gas climalteranti essenzialmente incide sulla temperatura, mentre la modalità con cui la temperatura impatta sul regime di precipitazione è indiretta: per ogni grado di incremento della temperatura atmosferica è atteso, teoricamente, un aumento dell’umidità atmosferica del 7%, che essenzialmente significa che diminuiscono i giorni di pioggia, ma laddove è atteso un evento intenso piove di più”. Tuttavia, ciò si presenta con caratteristiche diverse a seconda dei territori di riferimento, “perché i contesti geomorfologici e l’orografia sono differenti, così come la capacità di osservare la precipitazione”. Il sistema di osservazione è infatti disomogeneo in termini di risoluzione sia spaziale – con zone che prima erano completamente scoperte mentre oggi vengono tracciate – che temporale, con un sistema che ad oggi ci consente osservazioni con molti meno buchi che in passato e più dettagliate. Inoltre, le precipitazioni sono un fenomeno che di per sé ha una sua naturale variabilità: le piogge estreme hanno probabilità di verificarsi anche a prescindere dal cambiamento climatico. Infine, alcuni eventi precipitativi estremi sono molto localizzati e di breve durata, difficilmente ricostruibili anche da sistemi di rilevazione molto raffinati. Guido Rianna lo spiega chiaramente: “Spesso quello che crea problemi nelle città sono precipitazioni su scala anche suboraria, su 15, 30 o 45 minuti; se tu le vedi sul giorno perché il tuo pluviometro ha quella risoluzione, a te non sembrano estreme: prendiamo ad esempio un cumulo di 50 mm, se piovono in mezz’ora o un’ora si crea un’alluvione, ma se non hai la capacità di apprezzarli e li rivedi su un giorno quel valore lo perdi, perché 50mm in un giorno non è assolutamente un valore estremo”. In sintesi, per via di tutti questi elementi di complessità, Rianna ci dice che “le tendenze sulle precipitazioni, qualsiasi indicatore si prenda, non saranno mai così definite e chiare come le risposte che si hanno sulla temperatura”.

Leggi anche: Clima e dissesto, perché in Italia cresce il rischio per la popolazione

Quali dati interrogare

Un altro elemento da tenere in considerazione è che molti degli indici che vengono tradizionalmente usati ci consentono di registrare o la frequenza di un certo fenomeno – quanto spesso piove in modo estremo – o la sua intensità – la severità dell’evento in termini di quantità di pioggia – ma non di cogliere entrambe le misure insieme. Proprio per poter superare questo limite sono stati sviluppati anche altri indicatori, come l’European Extreme Events Climate Index (E3CI), elaborato dal CMCC insieme alla fondazione IFAB e Leithà, solution factory del gruppo Unipol. Per come è costruito, l’E3CI permette di tenere in considerazione sia quanto spesso la precipitazione estrema si è verificata sia il suo cumulo in termini di quantità di pioggia, restituendoci un valore numerico che ci dice che quel mese in quel dato luogo è stato più estremo rispetto al valore storico della base di riferimento 1981-2010.

Insomma, guardare ai dati è complesso e comprendere come il cambiamento climatico stia incidendo sulle precipitazioni – tanto in termini di siccità quanto di eventi estremi – non è affatto scontato. La cosa migliore è fare riferimento a risoluzioni temporali e spaziali piuttosto ridotte, circoscrivendo il proprio campo d’indagine e potendo così guardare più da vicino ciò che accade. Il fatto che non sia facile capire quali dati interrogare e come farlo, non significa però che non sia in atto un aumento degli eventi estremi a livello globale in termini di frequenza e intensità. In merito alle alluvioni e alle precipitazioni estreme, nel report del 2024 del World Weather Attribution si legge chiaramente che “delle 16 alluvioni studiate, 15 sono state causate da precipitazioni amplificate dal cambiamenti climatico” e, ad esempio, questa relazione è stata rilevata anche nelle precipitazioni del centro Europa di metà settembre 2024, rese più probabili e più intense dal riscaldamento globale.

Infine, come sottolinea anche Rianna, occorre non solo considerare il rischio – in termini di intensità e frequenza di eventi estremi – ma anche la vulnerabilità e l’esposizione: territori più fragili da un punto di vista idrogeologico, insediamenti urbani sempre più estesi, l’aumento delle aree cementificate… sono tutti fattori che rendono non più rimandabile un’inversione di rotta in termini tanto di mitigazione quanto di adattamento. Inoltre, se aumentano i disastri e i loro effetti, diventa urgente anche lo sviluppo di strategie di supporto alle popolazioni colpite per far fronte alle conseguenze economiche, sociali e psicologiche che gli eventi estremi hanno sulle comunità.

 
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Foto: Canva

Leggi anche: Perché l’Italia ha bisogno di una legge quadro sul clima (e non solo)

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Questo articolo è uno degli elaborati pratici conclusivi della nona edizione del corso online di giornalismo d’inchiesta ambientale organizzato da A SudCDCA – Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali ed EconomiaCircolare.com in collaborazione con il Goethe Institut di Roma, il Centro di Giornalismo Permanente e il Constructive Network

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